Il mistero della pietà
-Lectio divina sulla Prima Lettera a Timoteo
(Parola di Dio. Seconda serie) [Con sovraccoperta]EAN 9788821564413
L’impianto dell’opera realizza un’equilibrata sintesi tra Scrittura e teologia, come auspicato da Benedetto XVI, conseguita con una forte sensibilità spirituale e pastorale, che ci invita a una profetica accoglienza delle attuali e urgenti sfide. Timoteo è “figlio verace nella fede” (Introduzione), cui Paolo affida “la bella battaglia” (cap. I), impegnato a testimoniare Colui che si è dato “in riscatto per tutti” (cap. II) nella chiesa, “la casa di Dio” (cap. III); che ha riposto la speranza “nel Dio vivente” (cap. IV), testimone “davanti a Dio e a Cristo” (cap. V); che riceve e accoglie il mandato “custodisci il deposito” (cap. VI). L’autore offre puntuali spunti per la riflessione, formulati con precisi interrogativi, che invitano il lettore a una sincera e profonda verifica del proprio itinerario di crescita nella fede. Nelle riflessioni si evocano le domande che Dio, attraverso la lettera a Timoteo, rivolge all’uomo contemporaneo e nelle preghiere si dà voce alle invocazioni e alle suppliche che l’uomo, situato nel vissuto odierno, rivolge a Dio.
Alla meditatio segue l’oratio e all’oratio segue l’operatio, che padre Edoardo Scognamiglio declina con paragrafi dedicati agli approfondimenti, alle testimonianze e alle proposte. Si richiamano pertinenti enunciazioni del magistero di Benedetto XVI, dell’assemblea del Sinodo dei vescovi, dei padri della chiesa, di san Francesco d’Assisi, al cui ordine appartiene l’autore, e di eminenti pastori e teologi del XX secolo. Nelle sue meditazioni Scognamiglio ci racconta la vita della comunità proto-cristiana di Efeso, convocata dalla Parola e raccolta attorno alla mensa del Signore per la celebrazione della sua pasqua. La presenza di frammenti innologici individua elementi di fede cristologica alla base della crescente tradizione cristiana, che attestano l’inizio e lo sviluppo del rapporto tra kerygma e didaché, dunque una tradizione dinamica. Convocata dalla Parola e adunata per la celebrazione pasquale, l’assemblea cristiana prende atto della sua nuova identità fino ad autodefinirsi popolo di Dio. La comunità delle origini è consapevole di essere coinvolta nella storia della salvezza e di godere del dono di Dio che salva. Tutto ciò avviene nel dialogo sulla Scrittura e nella celebrazione pasquale, con la guida carismatica dell’episcopo-presbitero. La nuova identità dell’ekklêsía ha, dunque, un nome preciso: comunità giudeo-cristiana.
Ma la crescita rischia dei seri ritardi a motivo di opposizioni, contrasti e deviazioni. Alcuni insegnamenti devianti minano tale crescita: la non bontà del matrimonio e la peccaminosità nel consumare certi cibi (gnosi ed essenismo?), la risurrezione e la conoscenza di Dio (gnosi e docetismo), il rapporto con le scritture del Primo Testamento (proto-marcionismo). Il confronto tra insegnamenti sani e devianti sembra far parte della dinamica delle origini e l’autore lo puntualizza con chiarezza in numerosi paragrafi dell’opera. Per Scognamiglio la chiesa, secondo la felice espressione ripresa dall’assemblea sinodale, è la “casa della Parola” (p. 52), dove si sperimenta la relazione amicale, l’ospitalità e l’accoglienza. In essa la Parola risuona per manifestare il mistero di Cristo e irradiare l’uomo della sua luce. L’ekklêsía protocristiana si comprende in analogia alla casa familiare, l’oîkos toû anthrôpou è l’oîkos toû Theoû. Si assiste così a un fenomeno originale e molto funzionale: una trasposizione “analogica” dei ritmi e delle qualità proprie di una famiglia all’interno della più ampia famiglia dell’ekklêsía. Quella della Prima Lettera a Timoteo è una situazione ecclesiologica ben fondata sulla Parola, nella pasqua, nella rigenerazione e nel rinnovamento del fonte battesimale. Episcopo, presbitero, diacono, lungi dall’essere una realtà monarchica-gerarchica, sono il risultato di una prassi ecclesiale carica di potenziale teologico.
Essi espletano un ministero, e non una funzione, che è servizio al popolo di Dio, nella Parola, nella celebrazione della mensa del Signore, nella rigenerazione-rinnovamento lustrale al fonte battesimale, nella preghiera universale e nella riconciliazione-perdono dei peccati, da ultimo nel coordinamento dei carismi. Fare dell’episcopo, del presbitero, del diacono il segno espressivo della funzionalità ecclesiastica, e vedere questo nell’intenzione della redazione di questa Lettera a Timoteo, significa ridurre indebitamente una realtà carismatico-ministeriale al rango di pura rappresentatività, avvilendo il potenziale carismatico-ecclesiale di cui essa è portatrice. L’istituzionalizzazione della comunità è morte della medesima. Ciò che è ordine o ordinamento è necessario provvisoriamente, a mo’ di tutore e di pedagogo, e come tale è utile. Se assolutizzato, uccide la comunità. Il cammino ecclesiale non si muove dall’istituzione alla fede, ma da quest’ultima alla vita ecclesiale. Interventi istituzionali, utili, sono solo e sempre tutoriali e pedagogici, quasi di emergenza e, come tali, destinati a rientrare, una volta abbiano prodotto il loro effetto. Non ha forse l’istituzione il suo senso migliore nel promuovere la vitalità e la creatività della comunità, grazie appunto ai doni e ai carismi di cui è arricchita dallo Spirito? Istituzionalizzare l’istituzione, tuttavia, deistituzionalizzando il carisma che è il vero fattore funzionale istituzionale nell’ekklêsía, significa ridurre di molto la vitalità e la creatività del vangelo, pietra miliare e angolare della vita ecclesiale.
L’istituzione, coordinando i carismi, diverrà essa stessa carisma funzionale, nella fede e nella carità. L’autore ritiene che il vero scopo della Lettera sia condurre il credente all’adozione di un’etica che abbia un impianto cristologico e pneumatologico per vivere a servizio di un’ecclesiologia in crescita. La vita cristiana delle origini trova nella preghiera e nella celebrazione pasquale il cuore delle proprie espressioni ecclesiali. Come pure il rapporto fede e opere buone sembra, pur nel rispetto della componente giudaico-cristiana, indirizzarsi verso gli sviluppi già consolidatisi nelle lettere ai Galati e ai Romani: il dono della fede, accolta e curata, fruttifica in opere. Possiamo perciò affermare che per Scognamiglio la chiesa è saldamente fondata sulla parola di Dio e questa è un dono prezioso e un patrimonio inesauribile per tutti, credenti e non credenti. Nella Lettera, poi, l’uomo di Dio è colui che, attratto e trainato dall’apostolo, resta fedele ai suoi insegnamenti sani e robusti, tramanda il dinamico deposito della fede attraverso una prassi di vita coerente, cura armonici rapporti nella comunità, gode di buona fama nell’ambiente esterno e celebra il tutto nell’anamnesi pasquale. Il Paolo delle Lettere a Timoteo ha lo sguardo fisso sull’epifania di Gesù Cristo Signore: cristologia ed escatologia. La cristologia si caratterizza per la frequenza del vocabolario epifanico: descrive con insistenza la manifestazione del progetto di Dio nella persona storica del Nazareno che è “Gesù Cristo Signore”. Il ricorso alla categoria dell’epipháneia, mutuata dall’ambiente religioso e culturale ellenistico, pone l’accento sull’aspetto soteriologico e kerigmatico. La prospettiva soteriologica sottolinea l’iniziativa gratuita di Dio salvezza, che manifesta e attua “ora” il suo piano salvifico in Cristo Gesù Salvatore. Inoltre, seguendo l’esempio e la testimonianza di Francesco d’Assisi, l’autore manifesta una grande sensibilità ecumenica e un forte anelito all’unità anche quando parla del rapporto tra Paolo e la legge mosaica (cf. p. 24).
Egli si sottrae al rischio di ricadere in una sterile riedizione della teologia della sostituzione, ma si preoccupa di evitare una giudaizzazione del cristianesimo, lasciando aperta la tensione dialettica tra i due poli. Per Scognamiglio il popolo ebraico resta destinatario della promessa di Dio che non ammette revoche o sostituzioni e Dio continua a piangere per i suoi figli. In conclusione, il volume di Scognamiglio contiene delle eccellenti meditazioni sulla Prima Lettera a Timoteo, che si caratterizzano per l’accuratezza interpretativa e per l’efficacia attualizzatrice, che talvolta assume il tono di coraggiosa denuncia (cf. pp. 56-57), utili alla formazione permanente dei presbiteri e al laicato impegnato nella pastorale al fianco dei loro pastori. Preziose sono, infine, le pagine dedicate ai presbiteri, invitati a leggere il testo e ad approfondirne gli insegnamenti biblico-pastorali, in vista di una rinnovata consapevolezza dell’identità del ministero sacerdotale. L’autore ci offre con il presente volume un ulteriore pregevole contributo teologico-spirituale, che arricchisce la prestigiosa collana della San Paolo. La sua opera è frutto di faticose e diligenti ricerche bibliografiche, di sapiente elaborazione teologica e di collaudata esperienza ministeriale e il lettore potrà apprezzare la chiarezza dello stile e la profondità del pensiero.
Ogni opera letteraria riflette e rappresenta il suo autore; ne esprime il pensiero, la logica, la forma, lo stile… Chi scrive crea (o meglio ricrea) nell’opera con l’uso della “parola” il suo universo personale, partecipa il suo vissuto esistenziale ed emozionale, esterna il suo sistema assiologico, codifica le direttrici del suo pensiero, evoca gli eventi nodali della sua parabola esistenziale. Siamo riconoscenti a padre Edoardo Scognamiglio per questa sua ennesima fatica letteraria che ci consente di entrare in pienezza nel “mistero della pietà”, che egli stesso definisce «compendio di tutta la vita cristiana» (p. 65).
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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