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Appunti di teologia pastorale. Pratica del ministero sacerdotale per il giovane clero
(Giacomo Alberione: opere, biografie)EAN 9788821547706
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DETTAGLI DI «Appunti di teologia pastorale. Pratica del ministero sacerdotale per il giovane clero»
Tipo
Libro
Titolo
Appunti di teologia pastorale. Pratica del ministero sacerdotale per il giovane clero
Autore
Alberione Giacomo
A cura di
Virginia Odorizzi, Angelo Colacrai
Editore
San Paolo Edizioni
EAN
9788821547706
Pagine
432
Data
febbraio 2003
Peso
517 grammi
Altezza
21,5 cm
Larghezza
14 cm
Collana
Giacomo Alberione: opere, biografie
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Recensione di Gaudenzio Zambon della rivista Studia Patavina
G. Alberione (1884-1971), il prete piemontese che ha dato vita alla Famiglia Paolina e che ha anticipato le scelte della Chiesa a favore dei mezzi di comunicazione sociale, è persona poliedrica dotata di un carisma plurale. Paolo VI, con il quale ebbe diversi incontri, durante una Udienza concessa alla Famiglia Paolina nel 1969, lo descrisse per un verso come un uomo “umile, silenzioso, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i ‘segni dei tempi’, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime” e per un altro verso come una persona intraprendente che “ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo e con mezzi moderni”. I segni più grandi che egli ha lasciato non sono le numerose opere sociali bensì la cifra sorprendente di figli e figlie spirituali che ha trascinato con sé nella scelta della sequela radicale a Cristo (ha fondato quattro congregazioni femminili e altrettanti istituti aggregati). E il libro ATP (Appunti di teologia pastorale), che qui viene recensito, rappresenta, in un certo senso, la spiegazione remota del suo successo apostolico e dell’interesse personale con il quale Alberione guardava ai diversi settori della vita pastorale.
L’Autore dell’opera è un direttore spirituale nelle vesti di un docente di teologia pastorale. Incaricato di tenere le lezioni di teologia pastorale dal 1911 in poi ai chierici del Seminario di Alba e ai giovani preti, egli decide di metterle per iscritto sotto forma di “appunti”. In realtà, nel loro insieme, essi si presentano come un piccolo manuale, un trattato di teologia pastorale per il clero degli inizi del secolo scorso. L’impostazione data agli argomenti è quella che ci si può aspettare tenendo conto della definizione di teologia pastorale dello Swoboda (teologo pastoralista di Vienna) fatta propria da Alberione: “L’azione di Gesù Cristo e della Chiesa, esercitata dal sacerdozio per la salvezza delle anime”, dove per “sacerdozio” si doveva intendere unicamente quello ordinato. Pertanto, il punto di partenza non può che essere “Il sacerdote” (cap. I). Da esso prendono sviluppo le tre parti del libro: “Dei fondamenti dello zelo” (parte prima); “Della cura pastorale e dei suoi mezzi” (parte seconda); “Di alcune opere particolari proprie dello zelo sacerdotale” (parte terza). All’interno si trova tutto ciò che può interessare l’esercizio del ministero sacerdotale: dalle pratiche di pietà alla amministrazione dei beni materiali, dall’ufficio pastorale in genere alle relazioni più importanti (del parroco con il cappellano, con le autorità civili, con le famiglie ed altri), dalle “opere particolari” (sacramenti) alla organizzazione delle feste e alla pulizia nelle chiese. All’inizio di ciascuna parte, il lettore viene avvertito che gli “si diranno solo cose pratiche e tra esse si sceglierà quelle che oggi sembrano più adatte nei presenti bisogni” (p. 135). L’Autore, infatti, di proposito non si dilunga in considerazioni astratte e di carattere teorico-scientifico. Egli sapeva bene che i giovani preti non avrebbero letto gli ATP se non vi trovavano indicazioni utili e dirette ad affrontare con serenità le situazioni che avrebbero incontrato nei primi anni del loro ministero. Per questo, Alberione tratta gli argomenti dedicando pochissime righe alla loro “importanza” ed invece diversi paragrafi alla loro “pratica” ossia alla esposizione dettagliata dei casi e delle situazioni pastorali in cui si sarebbero imbattuti i giovani preti.
A distanza di quasi 100 anni dalla prima edizione (ATP ebbe tre edizioni: 1912, 1915 e 1960), ci si può chiedere se l’opera sia ancora valida. Per rispondere occorre tenere presenti due elementi decisivi che oggi caratterizzano la riflessione teologica sulla pastorale: la convinzione - almeno a livello teorico - che il soggetto primo della “cura pastorale” non è il “pastore d’anime” bensì la comunità cristiana situata sul territorio; inoltre, l’esistenza di diversi modelli di esercizio del ministero presbiterale, ciascuno dei quali rappresenta una particolare esemplificazione del rapporto che il prete ha con Dio, con la comunità cristiana e con il mondo. Pertanto, gli ATP di Alberione, se presi alla lettera, troveranno consenso soltanto in una parte del clero attuale; se invece, vengono ritenuti come un tentativo del passato di dare forma concreta ad un principio di fondo sul quale pensiamo di essere d’accordo anche oggi, allora essi possono essere suscitare efficacia spirituale anche nel lettore di oggi. Il principio di fondo, che Alberione trae dalla “Esortazione al clero” (1908) di Pio X e alla quale ispira gli ATP, è “Il sacerdote dunque non può essere solo un uomo che vive per sé: non può avere come motto le parole: Io - Dio. È assolutamente necessario che egli lavori per la salvezza degli altri, che scriva sulla propria bandiera: Io-Dio-Popolo» (p. 59). Fatte le debite distinzioni di ordine culturale tra oggi e ieri, il principio costituisce un punto di partenza condivisibile e, anzi, auspicabile affinché oggi si elabori una figura di prete che vada al di là di quelle impostazioni che contrappongono l’immagine di “prete tutto uomo di Dio” all’immagine di “prete tutto uomo di popolo”. Se Alberione fosse invitato a sottoscrivere una nuova edizione degli ATP del 1910, certamente non accetterebbe di porre la sua firma ma si impegnerebbe a ripensarli radicalmente da uomo come era “sempre vigile” e “intento a scrutare i ‘segni dei tempi’”.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
L’Autore dell’opera è un direttore spirituale nelle vesti di un docente di teologia pastorale. Incaricato di tenere le lezioni di teologia pastorale dal 1911 in poi ai chierici del Seminario di Alba e ai giovani preti, egli decide di metterle per iscritto sotto forma di “appunti”. In realtà, nel loro insieme, essi si presentano come un piccolo manuale, un trattato di teologia pastorale per il clero degli inizi del secolo scorso. L’impostazione data agli argomenti è quella che ci si può aspettare tenendo conto della definizione di teologia pastorale dello Swoboda (teologo pastoralista di Vienna) fatta propria da Alberione: “L’azione di Gesù Cristo e della Chiesa, esercitata dal sacerdozio per la salvezza delle anime”, dove per “sacerdozio” si doveva intendere unicamente quello ordinato. Pertanto, il punto di partenza non può che essere “Il sacerdote” (cap. I). Da esso prendono sviluppo le tre parti del libro: “Dei fondamenti dello zelo” (parte prima); “Della cura pastorale e dei suoi mezzi” (parte seconda); “Di alcune opere particolari proprie dello zelo sacerdotale” (parte terza). All’interno si trova tutto ciò che può interessare l’esercizio del ministero sacerdotale: dalle pratiche di pietà alla amministrazione dei beni materiali, dall’ufficio pastorale in genere alle relazioni più importanti (del parroco con il cappellano, con le autorità civili, con le famiglie ed altri), dalle “opere particolari” (sacramenti) alla organizzazione delle feste e alla pulizia nelle chiese. All’inizio di ciascuna parte, il lettore viene avvertito che gli “si diranno solo cose pratiche e tra esse si sceglierà quelle che oggi sembrano più adatte nei presenti bisogni” (p. 135). L’Autore, infatti, di proposito non si dilunga in considerazioni astratte e di carattere teorico-scientifico. Egli sapeva bene che i giovani preti non avrebbero letto gli ATP se non vi trovavano indicazioni utili e dirette ad affrontare con serenità le situazioni che avrebbero incontrato nei primi anni del loro ministero. Per questo, Alberione tratta gli argomenti dedicando pochissime righe alla loro “importanza” ed invece diversi paragrafi alla loro “pratica” ossia alla esposizione dettagliata dei casi e delle situazioni pastorali in cui si sarebbero imbattuti i giovani preti.
A distanza di quasi 100 anni dalla prima edizione (ATP ebbe tre edizioni: 1912, 1915 e 1960), ci si può chiedere se l’opera sia ancora valida. Per rispondere occorre tenere presenti due elementi decisivi che oggi caratterizzano la riflessione teologica sulla pastorale: la convinzione - almeno a livello teorico - che il soggetto primo della “cura pastorale” non è il “pastore d’anime” bensì la comunità cristiana situata sul territorio; inoltre, l’esistenza di diversi modelli di esercizio del ministero presbiterale, ciascuno dei quali rappresenta una particolare esemplificazione del rapporto che il prete ha con Dio, con la comunità cristiana e con il mondo. Pertanto, gli ATP di Alberione, se presi alla lettera, troveranno consenso soltanto in una parte del clero attuale; se invece, vengono ritenuti come un tentativo del passato di dare forma concreta ad un principio di fondo sul quale pensiamo di essere d’accordo anche oggi, allora essi possono essere suscitare efficacia spirituale anche nel lettore di oggi. Il principio di fondo, che Alberione trae dalla “Esortazione al clero” (1908) di Pio X e alla quale ispira gli ATP, è “Il sacerdote dunque non può essere solo un uomo che vive per sé: non può avere come motto le parole: Io - Dio. È assolutamente necessario che egli lavori per la salvezza degli altri, che scriva sulla propria bandiera: Io-Dio-Popolo» (p. 59). Fatte le debite distinzioni di ordine culturale tra oggi e ieri, il principio costituisce un punto di partenza condivisibile e, anzi, auspicabile affinché oggi si elabori una figura di prete che vada al di là di quelle impostazioni che contrappongono l’immagine di “prete tutto uomo di Dio” all’immagine di “prete tutto uomo di popolo”. Se Alberione fosse invitato a sottoscrivere una nuova edizione degli ATP del 1910, certamente non accetterebbe di porre la sua firma ma si impegnerebbe a ripensarli radicalmente da uomo come era “sempre vigile” e “intento a scrutare i ‘segni dei tempi’”.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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