Come dire con parole umane la parola di Dio. Riflessioni ed indicazioni liturgico-pastorali sull'omelia
(Nuova biblioteca scienze religiose)EAN 9788821306600
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 16
(http://www.ilregno.it)
La predica fa sempre problema. L'omelia è una questione che investe ogni prete chiamato a celebrare qualche funzione religiosa. Sta di fatto che, dopo i primi tempi di ordinazione e di attività pastorale, il prete se ne occupa all'ultimo momento, spesso ricorrendo alla veloce sbirciatina ai prontuari a stampa. Qualche anno più tardi, poi, esce dalle sue preoccupazioni principali per non farci più ritorno. Così non è per tutti, ovviamente. Molti altri preti, infatti, tornano a preoccuparsene appena si avvedono che la cosiddetta «predica» determina reazioni negative da parte dei fedeli. Ci si accorge allora che l'omelia occupa (un pochino) ma non pre-occupa come dovrebbe: non ha un'adeguata preparazione in termini di contenuti e stile. Avrà pure un senso il fatto che tra le pubblicazioni più stampate, distribuite e richieste nelle librerie religiose figurino le raccolte di omelie. Vabbe' la vanagloria degli autori, ma è sintomatica la significativa domanda dell'utenza-clero.
Il problema fa sempre discutere; sul fenomeno è interessante leggere il saggio di R. Beretta, Da che pulpito... Come difendersi dalle prediche (Piemme, Casale M. 2006). Minimizzare non serve a nessuno e nemmeno rispondere stizziti, come fa spesso l'omileta criticato. Perché non si tratta infine solo di «limiti» congeniti (ancorché vincibili) come ripetitività, moralismo, superficialità, prolissità, paternalismo, aneddottica, ecc., quanto piuttosto dell'incapacità del prete di mettere in gioco se stesso, di essere vero, di essere coinvolto nella Parola in prima persona. Quale «comunicazione» può passare in queste condizioni? E quindi quale evangelizzazione, quale mistagogia può raggiungere l'assemblea?
Bisogna però guardare anche dall'altro versante, quello dell'ascoltatore. Va preso atto che l'assemblea più ordinaria, quella che frequenta settimanalmente la messa non sempre dimostra di suo il benché minimo interesse per quanto viene detto. Peraltro, già dopo qualche minuto dall'aver ascoltato le letture proclamate se ne è già dimenticato il contenuto. Forse l'assuefazione oppure la cronica passività contribuisce al persistere di svagatezze che poi trovano riscontro nell'incuria in cui versa la vita cristiana di molti credenti. Sia ben chiaro fin dall'inizio, che i problemi dell'omelia non vanno sempre riferiti in toto all'«emittente»; per una buona parte gravano sulle spalle del «ricevente» non sempre cosciente delle proprie responsabilità. D'altro canto, la gran parte degli omileti sono persone dotate di virtù e debolezze tipiche di ogni essere umano, e sono rari coloro che di natura palesano doti comunicative eccellenti se non singolari.
Ma com'è la formazione nei seminari? Quanto tempo viene dedicato alla formazione specifica per l'omileta, alle regole del buon comunicare? Ancora oggi negli anni di formazione nei seminari, nei curricula degli studi teologici non si intravede ancora un'adeguata attenzione all'insegnamento del «mestiere» della comunicazione efficace; eppure fa parte della professionalità dell'omileta, del suo dovere legato all'«ufficio». Se poi si considera l'età media del clero, è facile comprendere come una certa abitudine a predicare «come sempre si è fatto» - che significa nient'altro come si è «imparato» nel «fai da te» spontaneo dei primi anni dell'attività diaconale e ministeriale - si riproduca continuamente, indifferente verso il mutato contesto socio-culturale e l'innegabile cambiamento delle «condizioni» qualitative e delle attese dell'attuale assemblea celebrante.
D'altra parte, è convincente la buona volontà che molti dimostrano partecipando ai sempre più numerosi corsi di aggiornamento sulla predicazione. Questo sforzo crescente è positivo e va incentivato proponendo assieme agli assiomi della comunicazione e alle sue valenze «pragmatiche» (pratica, comportamentale e relazionale), anche laboratori pratici fino a modificare stabilmente almeno certo stile. È a questo punto, però, che spesso un gran numero di omileti, anziani e giovani, si arrestano. Andrebbe anche esemplificata la diversa tipologia dell'omelia per rapporto agli altri tipi di predicazione: primo annuncio, evangelizzazione, catechesi, mistagogia, predica generica. Nel contesto della celebrazione l'omelia dovrebbe essere il culmen della proclamazione della parola di Dio (cf. SC 24) e il suo vertice espressivo (cf. SC 35) nel quale i fedeli vengono, da una parte, aiutati a comprendere la Parola proclamata e, dall'altra, introdotti alla celebrazione dei divini misteri (cf. SC 51-52). Ovviamente l'omileta per suscitare tutto questo deve personalmente vivere una profonda esperienza dei misteri che si celebrano e saper «ascoltare» radicalmente la Parola che proclama. Ma ancora non basta. È anche imprescindibile, si direbbe quasi obbligatoria, imperativa una conoscenza altrettanto viva dei linguaggi del proprio tempo e della propria cultura, almeno evitando di saturare il linguaggio di «concettualese» (formalizzazioni intellettuali artificiose, avulse dal reale) e di «ecclesialese» (gergo oscuro, tortuoso, deprimente di tanti ecclesiastici e teologi).
Che nelle Facoltà di teologia e nei Seminari occorra dedicare sempre più tempo ed energie a queste problematiche è innegabile. Negli ultimi anni peraltro la bibliografia si è arricchita di studi sempre più mirati e qualificati che affrontano non solo le problematiche, ma che esplorano anche e rilanciano l'identità ministeriale e il ruolo ecclesiale dell'omelia caratterizzandola nella sua peculiarità per rapporto alla predicazione. A monte di questo rilancio certamente si trovano la riscoperta della centralità della parola di Dio nella vita della chiesa (cf. la Dei verbum e quanto si va preparando in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sulla parola di Dio), e la riscoperta del senso e della rilevanza antropologica del linguaggio liturgico con i suoi specifici «codici linguistici».
Un'ottima introduzione di tutta questa problematica si ha nel volume che presentiamo. L'autore - stimmatino di Verona, docente di liturgia a Bari, Molfetta e Roma - ci presenta un agile manuale che affronta con adeguata sistematicità e chiarezza le questioni teologiche, antropologiche e linguistico-espressive dell'omelia. Il primo capitolo (pp. 11-40) ci presenta la reale situazione in cui versa oggi l'omelia. Il capitolo secondo (pp. 41-61) affronta gli aspetti antropologici della predicazione omiletica con il suo spessore comunicativo atto a realizzare un profondo rapporto dialogico nella comunità celebrante. Il terzo capitolo (pp. 63-113) prende in esame la specificità rituale dell'omelia e i problemi e le prospettive ministeriali fino a tracciare un «identikit dell'omileta». Infine, l'autore, nei capitoli quarto e quinto, espone rispettivamente gli aspetti esegetico-ermeneutici (pp. 115-126) e pastorali (pp. 127-147) dell'omelia. Preziosa la sintesi raccolta nelle Osservazioni conclusive (pp. 149-155) e la ricca Rassegna bibliografica (pp. 157-170).
Il manuale si fa apprezzare per sobrietà, chiarezza di linguaggio e precisione concettuale riuscendo certamente interessante per quanti, laici e ministri della Parola, intendono accostare una problematica che, per ampiezza di connessioni, investe molteplici ambiti disciplinari, rendendo difficoltoso il raggiungimento di una sintesi adeguata. Il volume si fa apprezzare anche per i costanti richiami alla responsabilità dell'omileta - dove la maturità e soprattutto la preparazione lo concedono - nel saper coinvolgere anche gli operatori pastorali interessati alla preparazione della celebrazione eucaristica come un prezioso «laboratorio omiletico».
Per la sua funzionalità e compendiosità, la lettura di questo manuale si rivelerà certamente di grande utilità per tutti.
D. P.
(RL 2008)
Il volume si apre, nell’introduzione, con una costatazione: l’omelia non gode oggi di un momento molto felice all’interno del più ampio contesto della predicazione della Parola di Dio da parte della Chiesa, per diversi motivi: superficialità, lunghezza, tono scontato o moraleggiante, approssimazione culturale. E tali situazioni che, si aggiunge, “non sono affatto rare” (p. 10) pongono seri problemi sia riguardo al problema del contenuto e sia a quello del linguaggio. Per questo motivo l’autore, nel presentare il suo studio, afferma che è suo intento non tanto soffermarsi a rilevare limiti e difetti della predicazione omiletica attuale, anche se poi rilevazioni e segnalazioni vi si trovano abbastanza di frequente nelle pagine del volume, quanto piuttosto “rilevare la vera identità di un ministero liturgico così importante e delicato” e così contribuire a far comprendere sempre meglio la complessità della predicazione omiletica” (p. 10) e così favorirne il rilancio.
Da queste premesse si sviluppa la trattazione che vede assegnare al primo capitolo una descrizione delle varie forme in cui si articola la predicazione della Parola di Dio nella Chiesa. Ve ne sono enumerate sei: il primo annuncio; l’evangelizzazione; la catechesi; l’omelìa; la mistagogia, la predicazione in genere. Ma non si manca di rilevare ben presto che se da una parte la crisi della comunicazione religiosa, che avendo investito gran parte delle forme di annuncio, ha influito non poco anche sulle vicende dell’omelia, d’altra parte la rinascita attuale dell’omelia è legata in gran parte al rinnovamento della predicazione, cosa che è sicuramente uno dei frutti più maturi del rinnovamento conciliare, che ha ridato importanza e centralità alla Parola di Dio all’intera vita della Chiesa. Ed è il caso di ricordare che il recente sinodo su questo tema ha dato all’intera Chiesa sicuramente nuovo slancio e nuove opportunità di riflessione. E così il primo capitolo sviluppa innanzitutto il tema della centralità della Parola di Dio, una centralità che trova il suo momento espressivo più alto e più compiuto proprio all’interno della celebrazione liturgica, perché è lì che la Chiesa si manifesta e si percepisce come popolo in ascolto del suo Dio che gli parla, è lì che si creano le condizioni più opportune perché la Chiesa possa ascoltare e accogliere la parola che salva, perché lì il mistero dell’amore di Dio non è soltanto annunciato, ma è anche celebrato e vissuto in pienezza.
Poi si traccia una storia dell’omelia, che comincia con il mettere a fuoco l’origine del termine, per poi illustrare l’uso dello stesso nella scrittura, se ne descrivono le origini giudaiche, l’uso che ne ha fatto Gesù e la chiesa primitiva, la chiesa sub-apostolica, quella della tradizione ecclesiastica dei primi secoli, dell’epoca tardo patristica, del medioevo fino al Concilio di Trento e poi da questo fino alla vigilia del Concilio Vaticano II e ai nostri giorni. Giunto ai nostri giorni, ora che son passati ormai molti anni dalla promulgazione del Lezionario della riforma conciliare, l’autore sostiene che è arrivato il momento di fare un primo bilancio, cosa che l’autore subito compie, attingendo ai risultati di varie ricerche e sondaggi. L’idea che se ne ricava è che la situazione non sembra essere del tutto entusiasmante perché si evidenziano alcuni disagi, come quello di proporre discorsi troppo unidirezionali, con uno stile troppo autoritario, uno scarso adattamento alle concrete situazioni della vita, un eccessivo moralismo, ecc. Da queste premesse del primo capitolo parte la trattazione vera e propria che affronta prima con grande attenzione il tema della comunicazione, in generale, nei suoi aspetti antropologici. L’omileta – sostiene l’autore – deve essere consapevole che egli è innanzitutto un comunicatore e perciò deve conoscere bene da una parte la tipicità del linguaggio liturgico in generale e dell’omelia, ma deve anche conoscere bene qual è la struttura della comunicazione e quali sono le leggi che la regolano, soprattutto riguardo al linguaggio, con una attenzione particolare ai meccanismi della comunicazione di massa, visto che l’omelia, per certi aspetti lo è. Giunti alla trattazione dell’aspetto teologico-pastorale l’autore fa innanzitutto il punto delle indicazioni conciliari, attraverso il puntuale riferimento sia al documento che costituisce la magna charta, la Sacrosanctum Concilium e sia a tutti i documenti successivi che hanno dato graduale attuazione alla riforma voluta dall’assise ecumenica. In seguito vengono messe a fuoco le coordinate rituali dell’omelia: “ex textu sacro”, “Pars ipsius liturgiae, “fons vitae christianae”; “per anni liturgici cursus”.
Tutti i documenti convergono nell’affermare che l’omelia è certamente il momento più significativo della liturgia della parola, in essa la predicazione del vangelo “raggiunge il suo vertice espressivo perché si configura come il punto di raccordo tra la liturgia della Parola di Dio, la celebrazione eucaristica e la vita dei fedeli” (p. 64). Alle pagine 84-100 viene discusso un tema che in alcuni momenti della stagione post-conciliare ha provocato intense discussioni ed anche qualche sbavatura nella prassi di non poche comunità, cioè il tema dell’attribuzione dell’omelia ai soli ministri ordinati. Il pericolo intravisto da tanti era che il non concedere la parola ai laici per l’omelia fosse l’espressione di un volerli espropriare del loro “munus propheticum” che hanno in virtù del battesimo. Tale pericolo, commenta l’autore, sembra oggi superato. Ma, aggiunge, resta l’impegno che dovrebbe essere maggiormente coltivato di coinvolgere i laici nella costruzione e nella preparazione dell’omelia. In questa fase l’omileta, il ministro ordinato può ricavare gran frutto dal coinvolgimento dei laici, perché questi lo aiutano a sintonizzarsi con più padronanza con la sensibilità del popolo di Dio percepisce davanti al testo sacro e ai temi che di volta in volta presenta, vengono presentati dal lezionario. E all’interno di questo particolare aspetto, l’autore offre numerosi interessanti suggerimenti proprio su come gestire la fase della preparazione dell’omelia insieme con i laici, ad esempio quelli che costituiscono il gruppo liturgico parrocchiale.
Nel capitolo quarto l’autore tratta dell’aspetto esegetico ed ermeneutico, cioè del rapporto che l’omileta deve avere con il testo sacro. Certo, l’omelia non è e non deve essere pura esegesi, ma nemmeno può prescindere da quelle notazioni essenziali che permettono di andare al messaggio centrale del testo e così di realizzare nei pochi minuti che ha a disposizione una sua “attualizzazione esistenziale e liturgica” (p. 120). Infine nel quinto capitolo viene illustrato l’aspetto pastorale dell’omelia, suggerendo ai pastori che curino non soltanto l’omelia in sé, ma “il prima, il durante e il dopo”, dove il prima non indica semplicemente la preparazione immediata, ma tutte quelle attenzioni che creano la sintonia con la gente alla quale ci si rivolge, il durante indica l’attenzione che l’omileta deve avere alla gente alla quale sta parlando, intuire dalle reazioni il come l’assemblea sta recependo l’omelia e se c’è qualcosa che non va, apportarvi le correzioni necessarie.
E infine il dopo indica quel lavoro di revisione, attraverso la recezione di osservazioni e proposte, che permette di migliorare sempre la propria predicazione. Il volume si conclude con un capitolo che riassume e precisa ulteriormente i temi trattati e con un’ampia bibliografia sul tema, completa, divisa per argomenti e soprattutto aggiornata. La lettura di questo lavoro certamente risulterà interessante oltre che fruttuosa, perché si tratta di uno studio completo, ricco e approfondito e soprattutto perché il riferimento ai documenti conciliari e postconciliari è continuo e preciso. L’autore, se si proponeva all’inizio di “rilevare la vera identità di un ministero liturgico così importante e delicato e così contribuire a far comprendere sempre meglio la complessità della predicazione omiletica e così favorirne il rilancio” sembra esservi davvero riuscito.
Tratto dalla rivista "Parola e Storia" n. 1/2009
(http://www.scienzereligiose-br.it)
Non sempre a messa l'omelia — la cosiddetta «predica» — riscuote attenzione o interesse da parte dei fedeli; anzi, finisce spesso per determinare reazioni negative. Bisogna anche prendere atto che l'assemblea più ordinaria, quella che frequenta settimanalmente la messa non sempre dimostra il benché minimo interesse per quanto viene detto. Peraltro, già dopo qualche minuto dall'aver ascoltato le letture proclamate se ne è già dimenticato il contenuto. Forse l'assuefazione oppure la cronica passività contribuisce al persistere di svagatezze che poi trovano riscontro nell'incuria in cui versa la vita cristiana di molti credenti. Sia ben chiaro fin dall'inizio, che i problemi dell'omelia non vanno sempre riferiti in toto all'«emittente; per una buona parte gravano sulle spalle del «ricevente» non sempre cosciente delle proprie responsabilità.
D'altro canto, la gran parte degli omileti sono persone dotate di virtù e debolezze tipiche di ogni essere umano, e sono rari coloro che di natura palesano doti comunicative eccellenti se non singolari. Quindi l'insoddisfazione verso il ministero della predicazione è evidente, e sono spesso gli stessi omileti ad avvertirne il disagio unitamente al peso di tante frustrazioni. Si tratta di delusioni e avvilimenti che inducono a inclinare, poi, più verso la pigrizia che verso la responsabile decisione di iniziare magari un adeguato tirocinio per apprendere a ben comunicare. Ancora oggi negli anni di formazione nei seminari, nei curricula degli studi teologici non si intravede ancora un'adeguata attenzione all'insegnamento del «mestiere» della comunicazione efficace; eppure fa parte della professionalità dell'omileta, del suo dovere legato all'«ufficio.
Se infine pensiamo all'età media del clero, è facile comprendere come una certa abitudine a predicare «come sempre si è fatto» — che significa nient'altro come si è «imparato» nel «fai da te» spontaneo dei primi anni dell'attività diaconale e ministeriale — si riproduca continuamente, indifferente verso il mutato contesto socio-culturale e l'innegabile cambiamento delle «condizioni» qualitative e delle attese dell'attuale assemblea celebrante. D'altra parte, è convincente la buona volontà che molti dimostrano partecipando ai sempre più numerosi corsi di aggiornamento sulla predicazione; tuttavia, un conto è studiare gli assiomi della comunicazione convertendosi alle sue valenze «pragmatiche» (pratica, comportamentale e relazionale), un altro conto è calarli nella pratica e affaticarsi nel tirocinio applicativo all'omelia fino a modificare stabilmente il proprio stile. È a questo punto che spesso un gran numero di omileti, anziani e giovani, si arrestano. Siamo tutti coscienti della complessità celebrativa dell'omelia, e delle difficoltà anche maggiori connesse agli altri tipi di predicazione (primo annuncio, evangelizzazione, catechesi, mistagogia, predica generica). Nel contesto della celebrazione l'omelia dovrebbe essere il culmen della proclamazione della parola di Dio (cf. SC 24) e il suo vertice espressivo (cf. SC 35) nel quale i fedeli vengono, da una parte, aiutati a comprendere la Parola proclamata e, dall'altra, introdotti alla celebrazione dei divini misteri (cf. SC 51-52). Ovviamente l'omileta per suscitare tutto questo deve personalmente vivere una profonda esperienza dei misteri che si celebrano e saper «ascoltare» radicalmente la Parola che proclama. Ma ancora non basta. È anche imprescindibile, si direbbe quasi obbligatoria, imperativa una cono scenza altrettanto viva dei linguaggi del proprio tempo e della propria cultura. Ma proprio qui si notato i problemi: quasi tutti gli omileti non si avvedono che i «contenuti» della fede e della celebrazione che stanno esponendo sono obbligati dentro le maglie limitanti di un linguaggio saturo di «concettualese» (formalizzazioni intellettuali artificiose, avulse dal reale) e di «ecclesialese» (gergo oscuro, tortuoso, deprimente di tanti ecclesiastici e teologi), esasperante per l'eccessiva durata e il tono scialbo e noioso, oppure, nel peggiore dei casi, moraleg-giante e approssimativo nelle questioni più «sensibili» per l'assemblea.
Che nelle Facoltà di teologia e nei Seminari occorra dedicare sempre più tempo ed energie a queste problematiche è innegabile. Negli ultimi anni peraltro la bibliografia si è arricchita di studi sempre più mirati e qualificati che affrontano non più solo le problematiche, ma che sanno anche esplorare e rilanciare l'identità ministeriale e il ruolo ecclesiale dell'omelia caratterizzandola nella sua peculiarità per rapporto alla predicazione. A monte di questo rilancio certamente si trovano la riscoperta della centralità della parola di Dio nella vita della chiesa (cf. la Dei verbum e quanto si va preparando in vista del prossimo Sinodo dei vescovi sulla parola di Dio), e la riscoperta del senso e della rilevanza antropologica del linguaggio liturgico con i suoi specifici «codici linguistici. Un'ottima introduzione di tutta questa problematica si ha nel volume che presentiamo.
L'autore — stimmati-no di Verona, docente di liturgia a Bari, Molfetta e Roma — ci presenta sostanzialmente un agile manuale che affronta con adeguata sistematicità e chiarezza le questioni teologiche, antropologiche e linguistico-espressive dell'omelia. Il primo capitolo (pp. 1140) ci presenta la reale situazione in cui versa oggi l'omelia. Il capitolo secondo (pp. 41-61) affronta gli aspetti antropologici della predicazione omiletica con il suo spessore comunicativo atto a realizzare un profondo rapporto dialogico nella comunità celebrante. Il terzo capitolo (pp. 63-113) prende in esame la specificità rituale dell'omelia e i problemi e le prospettive ministeriali fino a tracciare un «identikit dell'omileta». Infine, l'autore, nei capitoli quarto e quinto, espone rispettivamente gli aspetti esegetico-ermeneutici (pp. 115-126) e pastorali (pp. 127-147) dell'omelia. Preziosa la sintesi raccolta nelle Osservazioni conclusive (pp. 149-155) e la ricca Rassegna bibliografica (pp. 157-170). Il manuale si fa apprezzare per sobrietà, chiarezza di linguaggio e precisione concettuale riuscendo certamente interessante per quanti, laici e ministri della Parola, intendono accostare una problematica che, per ampiezza di connessioni, investe molteplici ambiti disciplinari, rendendo difficoltoso il raggiungimento di una sintesi adeguata.
l volume si fa apprezzare anche per i costanti richiami alla responsabilità dell'omileta — dove la maturità e soprattutto la preparazione lo concedono — nel saper coinvolgere anche gli operatori pastorali interessati alla preparazione della celebrazione eucaristica come un prezioso «laboratorio omiletico». Per la sua funzionalità e compendiosità, la lettura di questo manuale si rivelerà certamente di grande utilità per tutti.
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n.3 del 2008
(www.credereoggi.it)
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pastorale, liturgia, omelie, celebrazione, celebrazione liturgica, indicazioni liturgico-pastorali, indicazioni liturgiche