Il sorriso di Adamo
-Antropologia e religione in Plessner, Gehlen, Welte e Guardini
(Collana di Filosofia)EAN 9788821186998
Il percorso filosofico della riflessione dell’a. non segue il tragitto consueto che dall’indagine antropologica sfocia nella prospettiva religiosa, ma parte dalla comparazione dell’uomo e dell’animale, radicati nel mondo della vita, mostrando l’eccedenza di cui l’umano è capace. Un essere a-centrato che può essere interpretato come effettiva disponibilità alla trascendenza. Attorno a questo nucleo si sviluppano vari percorsi come quello della malattia mentale (Plessner) intesa come naufragio esistenziale, il tema politico (Guardini) e cioè lo sfondo antropologico delle strutture politiche e quello religioso (Welte). Di particolare originalità l’indagine sul riso e il sorriso, indice di un possibile trascendimento della costituzione naturale dell’umano, capacità di prendere distanze del mondo, dagli altri e da se stessi.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 14
(http://www.ilregno.it)
Il testo di Oreste Tolone affronta la questione dell’essere umano e lo fa, così come lui stesso afferma, con gli occhi dell’antropologo e con il contributo del filosofo della religione. Il sorriso di Adamo vuole mettere in evidenza la natura spirituale dell’essere umano che proprio attraverso il sorriso, seppure per un attimo, rende il corpo docile alla spiritualità. Il testo è articolato, composito, in quanto accanto al tema antropologico- religioso, se ne pongono altri, come il tema politico e della malattia mentale. Tali questioni vengono discusse attraverso le riflessioni di Plessner, Guardini, Welte, Gehlen, Husserl e Heidegger. Intendo partire dalla visione antropologica espressa nel testo, che fa capo, a mio avviso, fondamentalmente a Scheler ed alla fenomenologia: vale a dire l’essere umano come essere capace di trascendersi e dunque strutturalmente aperto nei confronti di se stesso, del mondo, di Dio. Come è noto, la questione antropologica ha caratterizzato la fenomenologia ed è stata affrontata da molti studiosi che si sono mossi all’interno di tale ambito. Anche Husserl vi ha dedicato ampio spazio nel secondo volume delle Idee, in cui approfondisce l’indagine in merito alla costituzione della natura materiale, di quella animale e del mondo spirituale, per cui emerge una visione completa, globale dell’essere umano. Tale riflessione verrà addirittura definita da Heidegger in Essere e Tempo, “personalistica”. Husserl, tuttavia, non è stato l’unico ad affrontare tale questione, perché lo stesso Max Scheler se ne era interessato ed infatti Gehlen lo ritiene come il fondatore dell’antropologia filosofica in senso moderno, in quanto nel suo libro La posizione dell’uomo nel cosmo delinea i fondamenti filosofici della antropologia, individuando nello spirito l’elemento distintivo dell’essere umano. La questione antropologica è anche il tema di tutta la produzione di E. Stein, allieva di Husserl, la quale, sulla scia di Scheler, dà vita ad una antropologia filosofica su base fenomenologica, in quanto, secondo la studiosa, proprio la fenomenologia può essere strumento valido per l’indagine essenziale delle strutture umane. È su questo sfondo che vanno ancorate le riflessioni dei diversi studiosi presi in esame da Oreste Tolone. L’essere umano è uno sradicato, wurzellos, è un emigrante della natura, dono transbilogico e proprio grazie a tale possibilità l’uomo fonda, secondo Plessner, la sua spiritualità, libertà ed umanità. È una posizione anomala, intermedia, la sua, sempre sospesa tra l’essere e il non essere. L’uomo, per Plessner, se da un lato vuole esprimere se stesso, dall’altro non riesce mai ad identificarsi completamente con quanto dice, fa o con l’immagine che dall’esterno si ha di lui. «L’identità dell’uomo - scrive Tolone - consiste di essere e di non essere, e di una strana pretesa di coincidere e di non coincidere con ciò che egli dice e fa, con il corpo, le parole, con la biografia e la storia che egli stesso ha scritto e tuttavia non sottoscrive. Ciò rischia di metterlo alla berlina, come accade al cospetto di Dio, e di farne un essere ridicolo e che ride, in una continua contraddizione con se stesso» (p. 24). L’essere umano è riuscito a nascere come persona grazie alla sua capacità di mettersi nei panni dell’altro. Plessner, infatti, utilizzando Gerardus van der Leeuw, ritiene che attraverso l’imitazione, nei giochi sacri, nelle danze, etc., l’uomo, calandosi nei panni altrui, con la maschera ad esempio, fuoriesce in direzione dell’altro, si proietta nel diverso, nel totalmente altro da sé. L’uomo si trascende attraverso la maschera che gli consente di uscire fuori di sé e di riconquistarsi facendo leva sull’Altro. La maschera diventa, allora, una fonte di forza che ci mette in contatto con quella potenza, direbbe Gerardus van der Leuuw, che non è nostra e che ci dà la possibilità di nascere, di vederci come persona. Altro autore preso in esame nel testo di Tolone è Romano Guardini. Per lo studioso la vita è una realtà complessa, un’opposizione polare: forze in tensione danno origine al regno intermedio della vita. La vita diviene tendenza ad assumere una forma ma nello stesso tempo ad irrigidirsi di fronte a questo darsi forma. Nelle cose convivono due polarità che si escludono a vicenda ma che nello stesso tempo si collegano tra di loro: la vita tende ad un centro, un punto da cui proviene la forza creativa, quella capacità di produrre novità, che si esercita solo in relazione con un’altra strutturale tendenza a disporre, a frenare l’impeto che proviene dal centro. Ma, oltre questi due opposti transempirici ve ne è un altro, quello di trascendenza-immanenza: da un lato la vita si autopossiede nell’esistere dentro se stessa, ma dall’altro a tale potenza del centro (atteggiamento contemplativo della vita) si contrappone un protendersi oltre se stessa, un trascendersi. Questo è l’emblema dell’uomo, il quale non può fare a meno di postulare una trascendenza, perché altrimenti sprofonderebbe, sarebbe riassorbito nel proprio io e tuttavia può riconoscersi come un dentro solo perché si riconosce in relazione già con un fuori. Anche Guardini, come del resto era accaduto a Scheler, Husserl, Stein, Conrad Martius, per far emergere il centro interiore, la peculiarità dell’essere umano, ha la necessità di mettere a confronto mondo vegetale, animale e umano. L’essere umano per quanto formato a strati possiede una profondità che non si può spiegare facendo ricorso a variabili biologiche. La profondità dell’uomo è di tipo spirituale e nell’intimità di questo centro si scopre una trascendenza verso l’interno che lo limita e lo condiziona. Eppure è proprio grazie a questo sua anomalia, a questo suo essere dentro e fuori, che l’uomo può ricevere la chiamata di Dio ed in virtù di questa modificare se stesso e ristrutturare l’immagine complessiva del mondo. Attraverso l’appello, l’uomo ed il mondo scoprono i propri limiti, attraverso la rivelazione Dio irrompe nella storia e costringe l’uomo a guardarsi con occhi diversi. Con Bernard Welte ci troviamo a metà strada tra la posizione di Scheler e quella di Gehlen. L’essere umano a differenza degli animali non è sottoposto a condizionamenti necessitanti, ma in lui c’è una obbligazione di secondo grado che è quella morale. L’uomo è libero e dunque può stabilire di volta in volta come comportarsi: la scelta è sempre libera, mai istintiva. In quanto essere aperto, agisce con libertà e responsabilità personali, ed anche laddove si lasciasse andare ad una situazione meramente istintuale, anche in quel caso sarebbe sottoposto ad una libera scelta. La sua libertà, tuttavia, è sempre minacciata in quanto egli pur essendo naturfrei, non è naturlos, pur essendo libero da una natura costrittiva non è privo di natura, per cui la sua libertà corre sempre il rischio di ripiombare nella materia. Inoltre, così come può dire di no all’istinto, alla materia, può dire di no a Dio. Nella relazione tra finito ed infinito, anche per Welte, lo studio dell’umano è parte fondamentale poiché, comprendendo meglio l’uomo e la sua natura, è possibile rintracciare quelle premesse ontologiche e antropologiche che permettono all’eterno e all’uomo di entrare in contatto (cf. p. 13). Questa è una tipica modalità di riflessione fenomenologia, che mette in campo anche la Stein: prima di poter parlare di Dio, si ha la necessità di comprendere la struttura antropologica dell’essere umano e, solo in questo modo, è possibile capire il punto di contatto tra Dio e l’uomo e le possibili modalità attraverso cui l’incontro può darsi. Per concludere, voglio soffermarmi sul sesto capitolo, in cui l’autore inserisce il rapporto tra la visione dell’Europa di Plessner e quella di Husserl. Per Plessner la cultura europea si sarebbe dovuta fondare sul riconoscimento di una verità profonda: non c’è nulla di universale che agire nel rispetto delle distanze, nel credere nella parzialità delle proprie opinioni, nella capacità di sostenere le proprie idee, vale a dire nel credere «in uno spazio comune che tutela la dignità delle persone e delle culture, favorendone il contatto non intrusivo nella logica del gioco e della danza, ovvero senza radicalismi» (p. 119). L’autore ritiene, invece, che: «La persuasione di fondo che guida Husserl è che l’Europa abbia perso consapevolezza della propria missione civilizzatrice, declassando la ragione filosofica a pura e semplice ragione positiva o strumentale, e che il suo compito consista adesso nel recupero di un’autonormatività, di un’entelechia, di un’idea assoluta che non è frutto della semplice evoluzione antropologica delle culture, ma un’eredità propria ed elusiva di un’umanità europea, e in quanto tale dell’umanità tout court. In questo modo si sostiene la specifica missione, che fa dell’Europa non un fatto storico-antropologico, come Cina e India, bensì la depositaria di un significato assoluto, di un telos, che la ragion pigra ha il dovere di salvaguardare e perseguire per il bene dell’umanità. Esso consiste nella necessità di una Vernuftorientierung, di orientarsi in base a una ragione filosofica onnicomprendente, che sappia muovere in virtù di un’idea finale, di una soggettività trascendentale e universale, più che in virtù di convenzioni e di tradizioni sedimentate nel tempo» (p. 116). Si deve, a tal proposito, fare una doppia considerazione in riferimento al testo di Husserl, La crisi dell’umanità europea e la filosofia, a cui si rifà Tolone. Il testo è del 1935, siamo vicini ad un evento catastrofico, la seconda guerra mondiale, e a tutte le atrocità ad esse connesse. La riflessione sull’Europa è, da parte del fenomenologo, un voler ritrovare ciò che accomunava i popoli del vecchio continente e che possiamo ritenere come una unità spirituale. Scrive a tal proposito il filosofo: «Il titolo Europa allude evidentemente all’unità di vita, di un’azione, di un lavoro spirituale con tutti i suoi fini, gli interessi, le preoccupazioni e gli sforzi, con le sue formazioni finali, i suoi istituti, le sue organizzazioni. Entro questa unità gli uomini agiscono raccolti in multiformi società di grado diverso, nella famiglia, nella tribù, nelle nazioni, in una comunione interiore e spirituale e,come ho detto, nell’unità di una forma spirituale». In un’Europa che di lì a poco sarebbe stata dilaniata da una guerra terribile e fratricida, Husserl richiama ad una comune radice spirituale che egli vede nell’idea filosofica immanente alla storia dell’Europa e che si rivela con la nascita e con l’inizio dello sviluppo di una nuova epoca dell’umanità: «di un’epoca in cui l’umanità vuole e può vivere ormai soltanto nella libera costruzione della propria esistenza, della propria vita storica, in base alle idee della ragione, in base a compiti infiniti». La crisi europea - e Husserl, il presunto reazionario, ne era profondamente convinto - affondava le sue radici in un razionalismo erroneo, nell’ingenuità di una scienza obiettiva che riteneva che ciò che essa chiama mondo sia l’universo tutto, senza badare al fatto che la soggettività che produce la scienza non può venir conosciuta da alcuna scienza obiettiva. Il naturalismo non può assolutamente dar ragione della diversità dell’essere umano, che è stata ben messa in evidenza da Tolone nel suo testo. L’essere umano è essere spirituale, libero, la cui vita non può essere esaminata con gli stessi strumenti con cui vengono condotte le indagini nel mondo fisico. La legge che regola lo spirito è la motivazione che sfugge a qualsivoglia legge causale. Il naturalismo ha prodotto quella sorta di darwinismo sociale che ha imperato durante l’Ottocento e che avrà i suoi risvolti più atroci nei disegni perversi del Terzo Reich: razza perfetta ed eliminazione dei più deboli.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2009
(http://www.pul.it)
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