Il volume raccoglie diversi articoli dell’autore, frutto di sue partecipazioni nel corso degli ultimi anni al dibattito filosofico-politico del nostro Paese. L’unità tematica – opportunamente rilevata dal titolo – è fornita al libro nel suo insieme dalla convinzione secondo cui un autentico ordine civile, che assicuri la promozione di pace, giustizia e libertà, è possibile solo se ne vengano riconosciute e adeguatamente nutrite le radici, ovvero quelli che oggi chiamiamo diritti dell’uomo, e che costituiscono l’espressione più piena della natura umana. Nel primo capitolo (Democrazia, cristianesimo, Europa, pp. 13-31) l’autore affronta il tema decisivo della democrazia innanzitutto dal punto di vista della sua evoluzione storica moderna e del suo rapporto col cristianesimo. Egli rileva le ben note difficoltà che hanno travagliato per lungo tempo questo rapporto; sottolinea però non solo che le critiche da parte cattolica si sono storicamente dirette «alla democrazia giacobina, agnostica, a quella borghese legata alla massoneria e all’illusione del progresso necessario » (p. 14), ma pure che, in fondo, le ascendenze dello stesso processo di sviluppo della democrazia moderna si caratterizzarono per una forte influenza cristiana. Del resto, avanzando l’indagine oltre le complesse e talora contraddittorie vicende della storia, gli inizi di una comunità civile democratica si possono scorgere proprio nel Vangelo e nel posto cruciale da esso attribuito alla dignità di ogni persona umana, ciò che l’autore chiama «il principio cristiano di persona e dell’amore» (p. 15). Quasi d’obbligo allora un affondo sull’esperienza della democrazia americana, scandagliata sulle tracce della memorabile analisi di Tocqueville, il quale, come è noto, trovava esemplare il connubio tipicamente americano tra religione e libertà. Possenti nota che La democrazia in America, mentre esprime totale estraneità a una qualsivoglia affermazione di alleanze fra trono e altare, rileva la necessità che i popoli, per essere davvero padroni di se stessi, si riconoscano sottomessi a Dio (cf. p. 19). È ben noto che questi sono i termini nei quali Tocqueville auspicava anche per l’Europa l’avvento delle democrazie. Ed è ancor più noto che le cose non sarebbero andate così. Gli Stati Uniti hanno realizzato una separazione tra Stato e Chiesa che consentisse alla religione gli spazi di libertà entro cui potersi adeguatamente sviluppare (è ciò che papa Ratzinger ha sottolineato in occasione del suo viaggio negli USA nel corso del 2008); in Europa tale separazione è stata invece intesa al modo di una difesa della sfera pubblica dall’ingerenza delle Chiese. Possenti richiama l’attenzione sulla possibilità che si guardi anche a questa importante diversità culturale e socio-politica per meglio comprendere le divergenze nel tempo divenute sempre più consistenti tra America e Europa, divergenze cui oggi molti commentatori guardano con preoccupazione ma spesso limitandosi a ridurle ai soli fattori politici. Il secondo capitolo è dedicato a Problemi del tempo (pp. 32-83). I problemi in questione riguardano la pace, la bioetica e la laicità, tutti effettivamente attuali, anche se – per la verità – paiono tali anche quelli affrontati nel prosieguo del volume (dal dibattito sulla legge naturale e i diritti umani all’affermazione della dottrina sociale della Chiesa in rapporto al capitalismo e al superamento del comunismo). Riguardo al tema della pace, gli articoli raccolti si riferiscono perlopiù alla delicata anzi drammatica situazione che si è venuta a creare nel mondo con la guerra all’Irak. L’autore evidenzia a più riprese la necessità di un organismo di rilievo planetario che, a partire dai riferimenti giuridici che l’Onu già possiede, acquisti anche un effettivo potere di intervento a salvaguardia della pace laddove esso sia richiesto. Le Nazioni Unite difatti si sono mostrate incapaci di arginare il desiderio di risolvere i conflitti mediante il ricorso alle armi e secondo dottrine quali quella ben nota della “guerra preventiva”, che l’autore qualifica con sottile ironia come “inedita” e giudica con fermezza come «contraria all’ordinamento dell’Onu» (p. 33). Insomma, «il villaggio globale è senza governo» (p. 38): si sottolinea più volte in tal senso come profetica l’intuizione affidata dal magistero cattolico alla Pacem in terris, e che si inserisce in una grande tradizione cui l’autore si rifà richiamandosi a Kant, Maritain, Sturzo, Hebarmas ed altri. Si tratta della convinzione secondo cui, appunto, il bene comune della società mondiale non può che essere affidato a poteri pubblici di pari livello. Non è quindi accettabile l’attuale situazione, argutamente descritta da Sturzo, secondo il quale «nello Stato tutti i cittadini sono disarmati e solo il potere politico è armato; nella comunità internazionale tutti gli Stati sono armati e solo l’autorità internazionale è disarmata» (tratto da La comunità internazionale e il diritto di guerra, cit. a p. 46). E a proposito della cosiddetta corsa agli armamenti degli Stati, in un contesto storico quale quello odierno, che vede la guerra costosa e distruttiva più di quanto si possa finanche immaginare, è bene rilevare – come fa l’autore – che solo poche voci ne hanno discusso e denunciato la ripresa, come se non ci si volesse rendere consapevoli dell’ovvietà per cui investire cifre da capogiro, inevitabilmente sottratte ad altri usi, in una massiccia dotazione di armi terribilmente distruttive «non può che condurre alla egemonia della forza sul diritto e la politica» (p. 50). Della bioetica l’autore tratta raccogliendo contributi al dibattito sul referendum del giugno 2005 col quale gli Italiani furono chiamati ad esprimersi intorno alla fecondazione artificiale. Possenti affronta il tema decisivo dell’embrione umano e della definizione del concepito. Ne sottolinea opportunamente le ragioni – a mio avviso numerose e soddisfacenti – per le quali riconoscergli il diritto a proseguire il proprio sviluppo fino alla nascita. Dalla trattazione emerge con forza il motivo che costituisce l’oggetto della terza grande questione affrontata nel corso del capitolo secondo: la laicità. L’autore evidenzia l’impossibilità da parte degli ordinamenti politici e giuridici di esaurire la sfera della vita civile: «lo Stato laico riposa su fondamenti che non può garantire, e che possono essere garantiti solo se nella società civile circola una robusta linfa etica e una cultura intellettuale di rispetto, giustizia, libertà che lo Stato da solo non può offrire» (p. 65). Questa convinzione è stata più volte e da più parti riproposta nel corso degli ultimi anni, e nel 2004 stimolò un memorabile dibattito fra l’allora cardinale Ratzinger e Jürgen Habermas. Laicità, in tal senso, non equivale ad ateismo o a indifferenza nei confronti del religioso. In merito l’autore si sofferma sul pluralismo religioso che una società laica dovrebbe garantire. E fa bene ad affrontare questo tema: più che di ateismo, la cui stagione sembra ormai tramontata, è delle diverse forme di religiosità e di credenza che appare opportuno discutere in tempi di sempre più crescente post-secolarismo. E in merito Possenti parla (cf. pp. 69 s.) opportunamente di due compiti che le istituzioni preposte all’organizzazione di una società autenticamente laica dovrebbero assumersi: quella del “controllo” (l’acquisizione di conoscenza di comunità religiose di nuova formazione o di recente ingresso nella società in questione) e di una “apertura differenziante” (ossia il riconoscimento di determinate peculiarità che riguardano stili di vita e di espressione del culto, escludendo ovviamente qualsiasi pratica offensiva della dignità umana). Il terzo capitolo è incentrato su L’epoca dei diritti umani (pp. 84-103). Di una vera e propria epoca di tali diritti si può parlare perché a partire dalle dichiarazioni del Settecento si è effettivamente verificata una loro sempre crescente positivizzazione (recezione da parte degli ordinamenti giuridici), internazionalizzazione (recezione da parte del diritto internazionale) e finanche estensione (si affacciano nuovi diritti che riguardano ambiti prima inesplorati dell’esperienza umana). Tuttavia c’è da chiedersi se una tale epoca non abbia radici lontane: l’autore le individua apprezzabilmente nel Decalogo mosaico, giacché difatti i diritti umani altro non sono che l’espressione di esigenze morali e della legge morale naturale. Essi non possono difatti essere relegati a un mero formalismo giuridico. Secondo Possenti, l’appiattimento tipicamente kelseniano della giustizia sulla legalità non può non far pensare ancora una volta ai poteri disumani che hanno attraversato e insanguinato la storia del Novecento, e proprio in reazione ai quali si è voluto affermare con ancor maggiore perentorietà il carattere inalienabile di determinati diritti, dunque nient’affatto derivanti ma al contrario fondanti il diritto positivo. A Liberalismo e dottrina sociale della Chiesa è dedicato il capitolo successivo (pp. 104-131). L’autore riporta qualche stralcio di un’intervista a lui concessa nel 1978 dal cardinale Wojtyla, della quale segnalo soprattutto la decisa affermazione secondo cui è del tutto infondata la convinzione diffusa che vede nella dottrina sociale della Chiesa cattolica una via di mezzo tra liberalismo e marxismo. L’allora cardinale sottolineava quello che risulta chiaro a chi ben conosca le loro differenti matrici intellettuali, ossia che liberalismo e marxismo, sebbene mediante metodologie perlopiù opposte, operano tuttavia a partire da una comune prospettiva antropologica che riduce la persona umana ai criteri dell’efficienza economica e la subordina ai beni materiali (cf. pp. 107 s.). Del penultimo capitolo (pp. 132-159), dedicato al tema Un’etica per l’uomo (e la scienza), mi pare cruciale il rilievo critico nei confronti di coloro che, bloccati sul pregiudizio: “più razionalità meno religione”, ritengono che un’etica senza steccati, ovvero effettivamente proponibile al complesso della società odierna, debba fare a meno di ogni richiamo al cristianesimo. Eppure – nota pertinentemente l’autore – la stessa preoccupazione di sostanziare la vita della società con un’onesta collaborazione delle sue pur diverse componenti al fine di conseguire il bene comune, proprio questo atteggiamento pare fondarsi sul cristianesimo, tutto incentrato sull’amore e il rispetto del prossimo, accettato solo per essere persona e senza considerazione della sua identità culturale o religiosa nonché della qualità delle sue scelte pratiche. Non si può quindi fare a meno di concordare su quanto segue: «la domanda che sale alla bocca è se l’amore sia o meno essenziale per l’etica, che pur rimane un fatto razionale. Può esistere un’etica della sola ragione che faccia programmaticamente a meno dell’amore, quantomeno di un amore di simpatia e di amicizia civica? Può un’etica di una ragione calcolante portarci verso la benevolenza e la mitezza; sanare o mitigare le vampe di violenza che insidiano l’animo umano?» (p. 138). Nell’ultimo capitolo, dedicato al rapporto tra fede e ragione (pp. 160- 192), tra gli articoli riportati, risaltano quelli che offrono una lettura critica di alcune delle ben note posizioni assunte da Gianni Vattimo nei confronti del cristianesimo e di tutto quanto ne consegue circa la sua presenza nel contesto della vita pubblica come pure le pagine rivolte a commentare pubblicazioni e interventi di Joseph Ratzinger e di Benedetto XVI. Della lettura di Vattimo mi pare condivisibile la sottolineatura per cui il suo cristianesimo è ridotto a carità senza verità, e quindi «è tanto poco appetibile quanto un cristianesimo con verità e senza amore» (p. 173). Riguardo invece a Joseph Ratzinger, credo utile cogliere il rilievo della “pretesa cristiana” (cf. p. 180), espressione adatta a mio parere per esprimere la profonda consapevolezza che il cristianesimo ha della propria scomoda posizione tra le culture e le religioni del mondo. Ratzinger ha a più riprese insistito sull’inedità capacità che sin dal tempo dei Padri la religione sorta col Vangelo ha saputo mostrare, quella di dialogare più con la filosofia che con le altre religioni, ovvero di presentarsi con una propria fondatezza razionale. Anche oggi, gli spazi di discussione aperti dal Vangelo e dalla sua diffusione, e soprattutto le prospettive di ampio respiro che il primato dell’amore e dell’amicizia tra gli uomini nessuno escluso sono in grado di proporre, pongono inevitabilmente il cristianesimo quale interlocutore privilegiato di ogni ricerca speculativa e pratica che, mirando al bene comune, voglia realizzare un autentico ordine civile.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2009
(http://www.pul.it)
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