"C'è uno scetticismo triste e superficiale che si esprime nella vulgata popolare con la frase: 'dall'aldilà non è mai tornato nessuno'. S'intende dire che, in fin dei conti, quelle sull'oltretomba sono tutte congetture, ipotesi, magari anche vere, ma chi lo sa davvero se c'è qualcosa?".
È forse la domanda più importante dell'esistenza. Ma sono proprio giustificati i dubbi? A partire dalla tragica sera in cui il cuore di sua figlia Caterina ha smesso di battere, Antonio Socci si è interrogato a lungo su quella condizione al confine della vita: un'esperienza di pre-morte al culmine del quale è avvenuta una resurrezione.
È iniziato così un viaggio inatteso nel continente misterioso delle esperienze di pre-morte che la scienza medica sta studiando e che riguardano milioni di esseri umani nel mondo. Sono storie che diventano oggi una formidabile "dimostrazione scientifica dell'esistenza dell'anima". L'autore si è cimentato pure con i molti miracoli di resurrezione compiuti da Gesù e poi testimoniate nelle vite dei santi fino ai nostri giorni. Queste pagine mostrano la sconvolgente vicinanza dell'aldilà alla nostra vita quotidiana che in un attimo, con un semplice respiro o un battito di cuore che vengono a mancare, può spalancarci davanti o una realtà di felicità straripante e di amore inimmaginabile, oppure un luogo di terrore e strazio indicibili.
PREMESSA
di Antonio Socci
Morte, dov'è la tua vittoria? - San Paolo ( l Cor 15,55)
C'è uno scetticismo triste e superficiale che si esprime nella vulgata popolare con la frase: «Dall'Aldilà non è mai tornato nessuno».
S'intende dire che, in fin dei conti, quelle sull'oltretomba sono tutte congetture, ipotesi, magari anche vere, ma chi lo sa davvero se c'è qualcosa? E cosa poi? Nessuno può dirlo, si pensa.
Gran parte delle persone afferma di credere che c'è una vita dopo la morte, ma la prospettiva è comunque avvolta dal mistero, dalle nebbie e dal timore. Ed è spesso vissuta come una «credenza», come una convinzione soggettiva, un sentimento irrazionale, anche quando si professa una fede cristiana che di «prove» di ragionevolezza ne fornisce a bizzeffe. La morte resta un abisso oscuro e nessuno sa veramente se c'è un Aldilà e com'è precisamente, perché — ci si dice — nessuno c'è stato e nessuno è tornato per raccontarcelo.
Ebbene, questo libro vuol mostrare che non è così: di persone che sono tornate dall'Aldilà ce ne sono, e tantissime. Anche viventi, testimoni che si possono interpellare, se superano la diffusa riservatezza di chi ha vissuto un'avventura così grande e indicibile come l'esperienza di premorte. Ripeto: tantissime persone. E non si tratta certo di pazzoidi allucinati, ma di persone normalissime. Non si tratta nemmeno solo di famosi mistici o di coloro che hanno avuto doni speciali come i veggenti di certe apparizioni soprannaturali. Ma di uomini e donne che noi, ignari del loro segreto, incontriamo ogni giorno.
Se fino a pochissimo tempo fa queste esperienze, quando raramente emergevano, potevano essere relegate nello scaffale delle cose strane, misteriose, bizzarre e irrazionali (o addirittura esoteriche), e così sostanzialmente rimosse, da pochi anni non è più così perché la stessa scienza medica si è interessata, ha studiato e approfondito queste testimonianze e ha dovuto constatare la loro veridicità.
Cosicché paradossalmente si può dire che oggi abbiamo addirittura le prove scientifiche dell'esistenza dell'anima e della sua vita fuori dal corpo, una volta che le nostre funzioni vitali sono cessate e noi siamo biologicamente morti.
Quello che tali testimonianze ci dicono, a dire il vero, è molto di più dell'esistenza e della sopravvivenza dell'anima, perché tutte concordano nel riferire e nel descrivere - dopo l'evento della morte fisica - una realtà di felicità straripante e di amore inimmaginabile , da una parte, o un luogo di terrore e strazio indicibili dall'altra.
Ma quello che qui anzitutto mi interessa sottolineare, almeno inizialmente, è ciò che ho chiamato dimostrazione scientifica dell'immortale in esistenza dell'anima: un'anima ciascuno di noi. Che vede e sperimenta una vita più vera e intensa di questa terrena dopo la morte.
Sono evidenze che oggi pure la scienza deve constatare, così come la scienza si trova anche a studiare e riconoscere i casi di guarigioni miracolose e di fatto è diventata la migliore alleata della Chiesa: addirittura la Chiesa - sia nelle cause di beatificazione e canonizzazione sia per i miracoli che avvengono in santuari come Lourdes - esige che sia prima la scienza a vagliare i casi e a pronunciarsi, se siamo di fronte a qualcosa che vince le leggi naturali in modo inspiegabile.
Quindi il soprannaturale, che si pensava dovesse appartenere al passato, a un tempo di creduloni, paradossalmente è molto più evidente e indiscutibile oggi che disponiamo di strumenti scientifici per indagare la realtà. E questo smantella vecchi pregiudizi e ammuffite ideologie positiviste imponendo una riflessione profonda a tutti.
All'inizio del Novecento un grande filosofo, Henri Bergson, concludeva la sua opera Le due fonti della morale e della religione, pubblicata nel 1932, sostenendo che sappiamo abbastanza «per intuire l'immensità della "terra incognita" di cui inizia soltanto l'esplorazione».
Poi faceva un'ipotesi e formulava una speranza:
Supponiamo che un barlume di questo mondo sconosciuto si faccia visibile agli occhi del nostro corpo. Quale trasformazione in una umanità generalmente abituata, per quanto si dica, ad accettare come esistente solo ciò che le è dato di vedere e di toccare! L'informazione che così ci venisse non concernerebbe forse che una parte inferiore delle anime, l'ultimo gradino di spiritualità. Ma non ci sarebbe bisogno d'altro per trasformare in realtà vivente e operante una credenza nell'Aldilà che sembra ritrovarsi nella maggior parte degli uomini, ma che il più delle volte resta verbale, astratta, inefficace. Per sapere in quale misura essa conti basta guardare come ci si getta sul piacere; non ci si terrebbe fino a questo Punto se non vi si vedesse tanto di guadagnato sul nulla, un mezzo per non curarsi della morte. In realtà se fossimo sicuri, assolutamente sicuri, di sopravvivere, non potremmo più pensare ad altro. I piaceri sussisterebbero, ma offuscati e sbiaditi, perché la loro intensità non sarebbe che l'attenzione da noi fissata su di essi. Impallidirebbero, come la luce delle nostre lampade al sole del mattino. Il piacere sarebbe eclissato dalla gioia.
Bergson proseguiva così:
Gioia sarebbe in realtà la semplicità di vita sparsa nel mondo da una intuizione mistica diffusa; gioia anche quella che seguisse automaticamente ad una visione dell'Aldilà in una esperienza scientifica ampliata.
In effetti così dovrebbe essere. Già la saggezza induce, di fronte all'effimera fragilità della vita e alla prospettiva certa della morte, a non attaccarsi avidamente ai beni terreni e a «cercare le cose di lassù», dove la felicità o la sofferenza sono per sempre.
Tanto più — scriveva Bergson — di fronte all'evidenza della vita ultraterrena: se essa si mostrasse con certezza l'umanità intera dovrebbe cambiare e puntare a essa, scommettere tutto su ciò che veramente dura e vale. Secondo il filosofo tutto dovrebbe cambiare sulla Terra.
Tuttavia l'uomo tende a comportarsi in maniera irrazionale sulle cose veramente importanti dell'esistenza. Specialmente nella modernità. E vero infatti ciò che Gesù dice nella parabola del ricco Epulone. Ricordate?
Quando il gaudente nababbo, per la vita senza pietà che ha condotto, si trova poi sprofondato nell'Inferno, dopo aver provato inutilmente a ottenere un sollievo, così implora Abramo: «Ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento».
Però Abramo risponde: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui: « No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno».
Ma a questo punto Abramo conclude: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Le 16,30-3 1 ).
L'apologo di Gesù era rivolto anzitutto agli uomini del suo tempo perché gli avevano visto operare proprio miracoli di resurrezione e tuttavia in buona parte negavano l'evidenza e gli erano ostili. Cosicché la misericordia di Dio inutilmente aveva dato questi segni grandiosi.
Quelle parole di Gesù sono anche profetiche di Ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, perché lui stesso sarebbe resuscitato dai morti, come prova suprema data al mondo della sua identità divina e della sua missione salvifica, ma nemmeno questo — prevedeva Gesù — sarebbe stato sufficiente a persuadere tutti.
Peraltro la sua resurrezione non fu un semplice ritorno alla vita terrena, come per quelli che lui beneficò, ma segnò la vittoria definitiva sulla morte, fu l'evento che aprì la strada del Cielo agli uomini, primizia della resurrezione finale di tutti, quando, alla fine dei tempi, in forza della resurrezione di Cristo anche le nostre anime si riuniranno ai loro corpi per sempre.
La resurrezione di Gesù, attraverso la quale entrò nella gloria, manifestò la sua signoria sul tempo e sull'universo, cosicché Lui, restando misteriosamente vivo e presente sulla Terra in mezzo ai suoi cioè nella Chiesa, in questi duemila anni ha continuato a operare miracoli e anche resurrezioni — a centinaia! — come quelle riferite nei Vangeli. Per mostrare la sua potente presenza nella Chiesa, prova clamorosa che il Nazareno è vivo.
In effetti le resurrezioni di morti sono i segni più eclatanti che parlano all'intelligenza degli uomini. Specie degli uomini del nostro tempo, così fiduciosi nella scienza e nelle sue certezze. Eppure per molti vale ancora oggi l'amara profezia di Gesù secondo la quale «neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
Fino a tal punto si continueranno a sprecare le grazie che il Cielo ci dà per la nostra salvezza. Fino a tal punto dilapideremo sprezzanti la Misericordia del Padre.
Tuttavia non si può e non si deve dire più, con triste disincanto, che «da là nessuno è tornato». Perché non è così. Sono tornati. Ed è davvero il caso di ascoltarli.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Nuovi segreti di Caterina
Piissima Vergine Maria, non si è mai udito che qualcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia cercato il tuo soccorso e sia stato abbandonato. - San Bernardo di Chiaravalle
Finalmente, dopo quattro anni, si svela il mistero. Infatti qualcosa di grande e misterioso è accaduto in quell'ora e mezzo in cui mia figlia Caterina — la sera del 12 settembre 2009 — è stata letteralmente morta.
Oggi parlo esplicitamente di morte perché ho definitivamente appurato che il suo cuore — nonostante i tentativi di rianimazione e le defibrillazioni — è stato fermo per più di un'ora, un tempo terribilmente lungo per la medicina, un tempo che non lascia speranze ed è sinonimo di morte clinica.
Ormai per i soccorritori del 118 non c'era più nessuna speranza quando è entrato in quella stanza don Andrea, il sacerdote che seguiva gli universitari di CL di Firenze. Gli fu detto che la situazione era ormai disperata, ma lui egualmente si inginocchiò e cominciò a pregare.' E, dopo pochi secondi, il cuore di Caterina — da fermo che era — di colpo ricominciò a battere.