Carità e povertà: simul stabunt, simul cadent, insieme staranno o insieme cadranno.
La storia della Chiesa è da sempre legata a doppio filo all'incontro con i poveri. Sul "fare la carità" si sono giocati per venti secoli l'organizzazione concreta della Chiesa e della società, l'evangelizzazione, la riforma religiosa, le utopie secolarizzate di un mondo senza sfruttati e senza sfruttatori.
Monsignor Paglia ripercorre la storia del rapporto dinamico tra Chiesa e società attraverso la peculiare prospettiva della lotta alla povertà nelle sue diverse forme. Partendo dal cristianesimo delle origini, dal monachesimo e dai più influenti ordini religiosi, l'autore dipinge un affresco i cui protagonisti sono le figure emblematiche della cristianità e le loro opere, da Gesù ai padri della Chiesa fino a papa Giovanni XXIII con il Concilio vaticano II e la stagione di papa Francesco. In queste pagine emerge una Chiesa che rivendica con forza il valore della charitas cristiana come cura imprescindibile ai dilemmi sociali del mondo globalizzato. Perché: "è una grande funzione profetica della Chiesa quella di inquietare il banchetto del ricco epulone con la memoria e i dolori del povero Lazzaro. Nell'immaginare un mondo nuovo, o almeno diverso, la povertà è una delle soglie da attraversare con audacia, intelligenza e generosità da parte di tutti, credenti e non credenti."
INTRODUZIONE
La mattina del 16 marzo 2013, davanti a circa seimila giornalisti, papa Francesco spiegò i motivi che lo avevano spinto a chiamarsi Francesco. Mai nessun papa aveva scelto prima il nome del santo di Assisi: «Nell'elezione avevo accanto a me l'arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito della Congregazione per il Clero, il cardinale Claudio Hummes: un grande amico, un grande amico! Quando la cosa diveniva un po' pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, viene l'applauso consueto, perché è stato eletto il papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: «Non dimenticarti dei poveri!». E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d'Assisi. Poi ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l'uomo della pace. E così è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d'Assisi. È per me l'uomo della povertà, l'uomo della pace, l'uomo che ama e custodisce il creato... È l'uomo che ci dà questo spirito di pace, l'uomo povero... Ah, come vorrei una Chiesa povera, per i poveri!».
Dunque, fin dai primissimi passi del pontificato, papa Francesco ha messo al centro la povertà, sull'esempio di Francesco d'Assisi che una tradizione consolidata chiama alter Christus, una «icona viva del Cristo».' Otto secoli fa Francesco d'Assisi ha introdotto un'accelerazione spirituale nella storia dei cristiani e non solo, un rinnovamento che non cessa ancora oggi di affascinare. Bergoglio diceva qualche tempo prima: «Nella storia della Chiesa cattolica, i veri rinnovatori sono i santi. Sono loro i veri riformatori, quelli che cambiano, che trasformano, che sviluppano e risuscitano il cammino spirituale. Francesco dAssisi ha apportato al cristianesimo una nuova concezione della povertà in opposizione al lusso, all'orgoglio e alla vanità dei poteri civile ed ecclesiastici dell'epoca. Ha sviluppato una mistica della povertà e della privazione, e ha cambiato la storia».
Papa Francesco, accogliendo l'utopia francescana, ha consolidato in prima persona il legame che unisce in maniera strettissima Cristo, la Chiesa e i poveri. «La povertà francescana non è semplicemente la decisione di unirsi a una classe sociale determinata. Non è soltanto una scelta per contestare un sistema di società. E nemmeno un atto di ascetismo. Rimane in primo luogo una maniera di seguire Cristo», scrive Michel Hubaut, uno studioso dell'assisiate. Papa Francesco, ad Assisi, dice che l'aspetto più importante della testimonianza dell'assisiate è il fatto che «essere cristiani è un rapporto vitale con la persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è assimilarsi a Lui. Da dove parte il cammino di san Francesco verso Cristo? Parte dallo sguardo di Gesù sulla croce. Lasciarsi guardare da lui nel momento in cui dona la vita per noi e ci attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al crocifisso, che anch'io oggi potrò venerare». Il viaggio ad Assisi è stato una delle prime uscite di papa Francesco. È come se avesse voluto legare in maniera anche visiva l'inizio del pontificato con san Francesco. In una delle prime interviste, quella che rilasciò a Eugenio Scalfari, alla domanda sulla scelta del nome e sul perché della stima per Francesco D'Assisi, il papa risponde: «È grandissimo perché è tutto. Uomo che vuole fare, vuole costruire, fonda un Ordine e le sue regole, itinerante e missionario, è poeta e profeta, è mistico, ha constatato su se stesso il male e ne è uscito, ama la natura, gli animali, il filo d'erba del prato e gli uccelli che volano in cielo, ma soprattutto ama le persone, i bambini, i vecchi, le donne. È l'esempio più luminoso di quell'agape di cui parlavo prima».
E più avanti vedremo che è stato l'incontro con il lebbroso ad aprire a Francesco quello con Cristo.
Le scelte che papa Francesco continua a fare sono emblematiche, basti pensare alla visita a Lampedusa e alla modalità con cui l'ha compiuta; o anche quella della visita in Albania o in Calabria e in Abruzzo. Andrea Riccardi, nel volume La sorpresa di papa Francesco. Crisi e futuro della Chiesa, la ragione pone tra i cardini del nuovo pontificato il rapporto tra papa Francesco, la povertà e i poveri. Scegliendo una Chiesa povera e amica dei poveri spinge a rifondare una nuova coscienza sociale a partire dai cristiani. Nella Evangelii Gaudium, l'Esortazione Apostolica con cui Bergoglio vuole ispirare l'azione della Chiesa all'inizio di questo millennio, scrive: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad esser strumento di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo».
Questa tensione nuova — una sorta di scossa che sta attraversando le comunità cristiane e una moltitudine di uomini di buona volontà — mi ha spinto a riprendere in mano un mio testo, La storia dei poveri in Occidente, e a rileggerlo facendo emergere con maggiore evidenza la forza rivoluzionaria che la carità ha avuto e continua ad avere nella società degli uomini. Il testo attuale è stato arricchito di nuove parti (come anche di nuova bibliografia), soprattutto in quella che riguarda il periodo contemporaneo. Ma quel che mi preme sottolineare è lo sguardo interpretativo con cui si legge questa vicenda storica. Senza venire meno in nulla al rigore della ricerca scientifica, si chiarisce — a partire dal primo capitolo e nell'ultimo — l'orizzonte interpretativo che aiuta, a mio avviso, a comprendere ancor più l'azione di carità della Chiesa e quanto sta accadendo con papa Francesco. Una cosa che salta agli occhi dello storico è che i venti secoli di cristianesimo mostrano chiaramente che i grandi momenti di riforma della Chiesa (quando cioè la comunità cristiana ha sentito l'urgenza di riprendere la «forma evangelica» di vita) sono sempre stati segnati da un rinnovato impegno in favore dei poveri.
Oggi stiamo vivendo uno di quei versanti della storia che chiedono profondi cambiamenti. Papa Francesco si assume la responsabilità di offrire un contributo che potrebbe essere particolarmente importante. E interpreta il suo compito partendo dal Concilio Vaticano II. Papa Bergoglio, primo papa di questo tempo a non aver partecipato al Concilio, dopo la serie di papi che vanno da Giovanni XXIII a Paolo VI, da Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, vuole come portarne a compimento la recezione nella vita della Chiesa. Potremmo dire anche per Bergoglio quel che Giovanni XXIII scrisse per la sua azione riformatrice: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio. Chi ha vissuto a lungo e si è confrontato all'inizio del secolo con nuove sfide in campo sociale riguardanti ogni essere umano; chi ha vissuto, come me, vent'anni in Oriente, otto anni in Francia e ha potuto confrontarsi con culture e tradizioni diverse, sa che è giunto il momento di riconoscere i "segni dei tempi", di coglierne le opportunità e di guardare lontano».
Papa Francesco si pone nel cuore profondo del Concilio. Con gli occhi di non pochi padri conciliari di allora scorge nella condizione drammatica dei poveri quel «segno dei tempi» che interpella in maniera radicale la Chiesa di oggi e non solo essa. Riannoda, insomma, il suo pontificato al messaggio sbocciato nel Concilio: realizzare una Chiesa povera e per i poveri.
Tornano in mente quelle parole che frate Masseo rivolse un giorno a Francesco: «Perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri vederti e d'udirti e d'ubbidirti?». Francesco rispose: «Imperciò che quegli occhi santissimi [di Dio] non hanno veduto tra li peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me». È l'atteggiamento di povertà evangelica che attrae e commuove. Papa Francesco ha compreso il cattivo peso che rappresentano le ricchezze per l'annuncio del Vangelo. Più volte ricorda che c'è una opposizione insanabile tra denaro e Vangelo, tra Dio e Mammona. Vuole perciò scrollarsi di dosso questo fardello divenuto insopportabile e legarsi in maniera esplicita all'intuizione sorta durante il Concilio su una Chiesa povera e per i poveri, che nell'America Latina ha trovato una sua peculiare declinazione, anche se — come accenneremo — non priva di equivoci.
Scegliere di vivere questa Chiesa significa immergersi nelle profondità della vicenda cristiana che ha traversato secoli e terre coniugando — con tutti i limiti e le inadempienze — «povertà e carità». E questa la via ordinaria della Chiesa che vuole rendere le società più giuste e solidali. Si deve partire dai poveri. Non si può capire il Vangelo senza capire la povertà reale». Con le pagine che seguono e che ripercorrono duemila anni di storia cristiana si vuole cogliere la preziosità di questa prospettiva anche per l'oggi e il domani. Papa Francesco con le sue scelte illumina la storia dell'incontro tra povertà e carità e la rende attuale anche per l'inizio del nuovo millennio. Non è una scelta riduttiva né autoreferenziale. Al contrario, è di grande respiro. Andrea Riccardi, nel citato volume, sintetizza: «Una Chiesa amica dei poveri non è negarsi alle grandi imprese di liberazione o di servizio, ma è capire quale sia la forza, umile e debole, del cristianesimo: la parola, la misericordia, l'insegnamento, il consiglio, l'amore, il contatto, la fedeltà, la presenza personale, le idee... È la forza debole del Vangelo, che cambia i cuori e il mondo, ma non si impone e non domina». I poveri e la povertà sono una profezia da riconoscere e da accogliere. È su questa via che si cambia il mondo.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Povertà e carità
Il «mistero» dei poveri
Gesù era ancora in vita quando Giuda, mentre una donna un po' equivoca versava un vaso di unguento prezioso sui piedi del giovane profeta invitato a cena da un facoltoso fariseo, sbottò: «Si poteva vendere tutto e il ricavato darlo ai poveri». Gesù rispose fermo: «I poveri li avete sempre con voi!». In effetti, i poveri accompagnano la storia del cristianesimo come una domanda o, se si vuole, una contraddizione permanente. I loro volti cambiano, come pure cambiano le definizioni.
Si potrebbe dire che la povertà si è sempre nutrita delle nuove povertà, modificandosi incessantemente e costituendo una sorta di fiume ininterrotto che ha percorso i secoli e si è ramificato in ogni terra; un fiume che talora si ingrossa sino a straripare, tal'altra si riduce, mai però è in secca. La povertà è larga. In sintesi, però, è povero chi in modo permanente o temporaneo si trova in condizione di debolezza, di dipendenza contraddistinta dalla mancanza di strumenti di potere e di considerazione sociale, ossia di denaro, di relazioni, di influenza, di qualificazione tecnica, di vigore fisico, di capacità, di cultura, di libertà e dignità personale. Insomma, la folla dei poveri coincide con le larghe schiere dei rifiutati, degli asociali, degli emarginati.'
Talora c'è anche chi si chiede: se i poveri sono tali non sarà per colpa loro o per qualche maledizione prima di loro?