Ci sono storie, nei Vangeli, che a distanza di duemila anni sanno ancora sorprenderci e provocarci, perché sono capaci di farci osservare la realtà da una prospettiva inattesa. Le parabole sono racconti di uomini e donne come noi - padri, figli, lavoratori - e hanno in Gesù il loro narratore d'eccezione. L'eredità che lasciano a chi le ascolta o a chi, come noi oggi, le legge, è rivoluzionaria e scardina i pregiudizi e la concezione tradizionale di giustizia, mantenendo intatto lo sguardo umanissimo di Gesù sul quotidiano: famiglie in crisi, poveri sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi, lavoratori stanchi e modi diversi di amare e vivere la preghiera. Tra le parabole evangeliche, Enzo Bianchi ne ha scelte quattro tra le più note e, muovendosi con agilità tra passato e presente, ci consegna un'appassionata rilettura di quelle che restano ancora oggi pagine aperte dei Vangeli. In esse la parola si fa rivelazione del volto di Dio, guidandoci in profondità, fino al centro del suo cuore colmo di misericordia, che significa amare in grande. Per ricordarci che è attraverso la parola di Cristo che l'amore di Dio si trasferisce all'umanità, trasformandone per sempre l'esistenza.
INTRODUZIONE
di Enzo Bianchi
"Gesù, quello di Nazaret, passò facendo il bene e guarendo gli oppressi, perché Dio era con lui" (At 10,38). Così Pietro riassume la vicenda di Gesù nella terra di Palestina: una vicenda in cui, a causa delle sue parole e delle sue azioni (cfr. Lc 24,19), conobbe la calunnia, gli insulti e infine la morte violenta riservata ai condannati giudicati maledetti da Dio e dalla legge. Impiccato a un palo tra terra e cielo, la croce, egli appare colpevole di aver dato un'immagine di Dio che contrastava con quella dei "religiosi" del suo tempo e un'immagine dell'uomo che sembrava una minaccia per i dominatori di questo mondo. Gesù appariva come un profeta, sulla scia degli antichi profeti di Israele, un continuatore di Giovanni il Battista. Passava di villaggio in villaggio predicando che il Regno di Dio era vicino (cfr. Mc I,15; Mt 4,17; 10,7; Lc 10,9.11), trasmettendo un messaggio che stupiva gli ascoltatori, "perché insegnava come uno che ha autorevolezza, e non come i loro scribi" (cfr. Mc 1,22; Mt 7,29).
Così sipossono riassumere i dati inconfutabili della vicenda di Gesù: "In tutto il mondo, si sia cristiani o meno, sono di norma note oltre ogni dubbio storico due realtà di Gesù di Nazaret: che fu crocifisso nel primo secolo dell'era volgare e che insegnò per parabole'.
Infatti, proprio per dare alla sua parola una forza penetrante, capace di raggiungere la mente degli ascoltatori, restarvi impressa e poter essere ricordata e meditata, Gesù faceva grande uso delle parabole. Le parabole sono racconti in cui il Vangelo, la gioiosa notizia, è rivelato con immagini, non con concetti o sentenze. Dobbiamo riconoscerlo: Gesù era un inventore di parabole, e in esse troviamo la sua creatività, la sua intelligenza, la sua capacità poetica. Ciò comporta anche, da parte dell'ascoltatore (del lettore) di ogni tempo, la disponibilità a entrare in sintonia con il pensare e il parlare di Gesù, ad "avere il suo stesso sentire" (cfr. Fil 2,5): "Per capire una parabola", infatti, "occorre sempre, alla fine, un'intuizione globale, più vicina alla percezione artistica che alla deduzione scientifica [...] Si possono affermare molte cose su una parabola, tutte esatte, senza tuttavia coglierne il senso".
Tramite le parabole, un genere letterario pressoché ignoto tra i giudei del suo tempo', conosciamo Gesù più che dai racconti su di lui testimoniatici dagli autori dei Vangeli. Attraverso di esse, infatti, riusciamo a capire che era innanzitutto un uomo che quotidianamente si dava del tempo per guardare e per pensare. E comprendiamo che "è poetico non solo il [suo] modo di parlare, bensì
Gesù vede cose che ancora prima quello di guardare [..] tutti vedono, ma non tutti comprendono'''. Egli osservava come iniziava il giorno; osservava ciò che accadeva in una casa, per strada e nelle piazze; si fermava a guardare i campi di grano e i prati con i. loro fiori; si avvicinava agli alberi per scrutare le loro gemme, semprepiù gonfie in primavera; sapeva prestare attenzione a come una donna fa il pane, a come un pastore guida il gregge e ne conta le pecore, a come i bambini giocano sulle strade, a come un contadino semina e miete... È impressionante questo sguardo umanissimo di Gesù sul quotidiano della vita degli uomini e delle donne. Ogni volta che leggo il Vangelo mi meraviglio sempre dell'umanità presente nelle parole di Gesù, un'umanità così diversa; mi meraviglio del suo rapporto contemplativo con la natura, della sua capacità di leggere ciò che lo circondava.
È, proprio da queste "visioni pensate" che nascevano le sue parabole. Il termine parabola, parabolé, viene dal greco, la lingua dei Vangeli, e significa in primo luogo "paragone": la "paragone": la parabola è un discorso che viene "gettato accanto" (da parà + Mio), che viene fatto per "parlare accanto" alla realtà che si vuole indicare e presentare. Narrare parabole è un modo di far comprendere che si parla di una cosa, raccontandone la storia, ma per parlare di un'altra realtà che può essere difficile da esprimere mediante concetti'. Gesù amava molto ricorrere alle parabole (una quarantina, complessivamente, ce ne sono state trasmesse dai Vangeli sinottici e da quello apocrifo di Tommaso), perché prendeva spunto da un'esperienza che tutti erano in grado di capire, al fine di rivelare qualcosa di decisivo nel rapporto degli uomini tra loro e tra gli uomini e Dio. Le parabole insomma — basta provare a leggerle o ad ascoltarle — ci intrigano, ci stupiscono, ci destano domande, ci coinvolgono, tengono vivo il nostro interesse, ci costringono a pensare e restano pagine aperte, sempre capaci di sorprenderci e di svelarci qualcosa in più di quanto avevamo compreso.
Gesù ricorreva alle parabole anche per portare i suoi ascoltatori da un modo di pensare e di vedere a un altro, da una mentalità a un'altra, la sua, dal diffuso e omologante "così fan tutti, così pensano tutti", a un altro modo di pensare e di fare, quello di Dio. Con le parabole egli "intende[va] togliere gli ascoltatori da pregiudizi radicati, in una parola trasformare la loro anima e la loro esistenza'''. Proprio per questo gli uomini religiosi (scribi, esperti della Torah, farisei zelanti, sacerdoti...) non sopportavano Gesù e si sentivano da lui contestati, perché le sue parabole apparivano efficaci nel far mutare agli ascoltatori l'immagine di Dio che avevano, immagine forgiata da tradizioni antiche ma umane, da consuetudini a esercitare il potere (cfr. Mc 7,8), e non da una conoscenza autentica delle sante Scritture (cfr. Mc 12,24; Mt 22,29). Non a caso nei Vangeli è testimoniato che i capi dei sacerdoti, insieme ad altri appartenenti al movimento dei farisei, proprio "udendo le sue parabole, capirono che le diceva per loro, e quindi cercavano di catturarlo, ma avevano paura delle folle, perché lo ritenevano un profeta (Mt 22,45-46; cfr. Mc 12,12; Lc 20,19). Dobbiamo dirlo con franchezza: soprattutto le parabole apparvero un insegnamento dirompente, che contraddiceva quello tradizionale, che attaccava i concetti di giustizia di Dio e degli uomini. Chi li sosteneva, prediligeva la religione, giudicandola più decisiva della fede, e utilizzava i precetti in modo legalistico, con la funzione di condannare, non di salvare gli uomini. Gesù, invece, con le parabole voleva darci una narrazione del Dio vivente e vero da cui egli proveniva, il Dio che conosceva perché era suo Padre, il Dio che nessuno ha mai visto né può vedere, ma che lui intendeva spiegarci, raccontarci (exeghésato: Gv 1,18). Con le parabole traghettava gli ascoltatori dalla religione alla fede, dalla legge alla grazia, dal giogo pesante dei precetti al giogo leggero e soave del suo comandamento nuovo (cfr. Mt 11,28-30).
Le parabole nei Vangeli sono molte, ma io ho voluto soltanto farmi eco di quattro parabole (considerando come una sola le tre di Lc 15), contenute unicamente nel Vangelo secondo Luca, tre delle quali (esclusa quella appena menzionata) sono "racconti esemplari". Sono forse le parabole più conosciute, tramandate da quello che "è considerato il miglior narratore tra gli evangelisti", ma spesso presentate e predicate in modo sviante.
Queste pagine nascono dalla mia ricerca, dalla mia meditazione, dal mio pensare davanti a Dio e dunque davanti al Vangelo. Ma soprattutto — lo confesso — nascono dal mio amore per Gesù Cristo, un uomo che ha amato gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle in umanità, ma ha anche amato la terra e la vita sulla terra, fino ad ascoltarla, leggerla, dirla ai suoi discepoli. Un uomo che nelle parabole ha saputo proferire parole divine. Sì, Gesù era umanissimo, e ciò che in lui era straordinario era la sua umanità vissuta quotidianamente, nella quale ha saputo raccontare l'amore, raccontandoci Dio suo Padre', narrandoci il vero volto di colui che, balbettando, chiamiamo Dio e Signore.
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Prof. Marco Vismara il 24 giugno 2015 alle 16:13 ha scritto:
Quattro icone evangeliche del racconto lucano conducono il lettore alla riflessione sull'amore misericordioso del Padre annunciato da Gesù nel Vangelo della misericordia. Quattro "parabole" vere ancora oggi per la vita dei cristiani.