Non dimentichiamoci di Dio
-Libertà di fedi, di culture e politica
(Saggi italiani)EAN 9788817061292
L’arcivescovo di Milano card. Angelo Scola, prendendo spunto dal discorso alla città per la festa di sant’Ambrogio e in concomitanza con le celebrazioni dei 1700 anni dell’editto di Milano, si confronta in questo breve saggio con una serie di questioni di alto rilievo e di particolare complessità, raccolte attorno al problema del rapporto tra libertà religiosa e gestione dell’autorità pubblica.
Nei primi tre capitoli segue una linea diacronica a partire dall’epoca dei martiri sino alla promulgazione della dichiarazione conciliare Dignitatis humanae (DH), mentre nei rimanenti quattro l’attenzione è rivolta ad alcune questioni pratiche. L’A. riconosce apertamente che il saggio «apparirà piú teso a sollevare problemi che a fornire soluzioni preconfezionate» (p. 8), cosicché non ci pare inopportuno tracciare le linee di un pur sintetico confronto con alcune delle tesi esposte nel volume.
Il capitolo di apertura rievoca la forte istanza di libertà religiosa germogliata dal sangue dei martiri cristiani, per poi rivolgersi alla concessione costantiniana della libertà di culto, interpretata da Scola come il primo chiarirsi delle due dimensioni oggi conosciute sotto i nomi di libertà religiosa e laicità dello stato. Ben presto, tuttavia, tale provvedimento imperiale si rivelerà una sorta di «inizio mancato», data la durevole tendenza a una reciproca strumentalizzazione tra stato e chiesa.
La drammatica esperienza delle guerre di religione indurrà gli animi piú sensibili a lanciare pubblici inviti alla tolleranza. Nel continente europeo si assisterà quindi alla configurazione di stati inclini a relegare nell’intimità di ciascun individuo la dimensione religiosa, mentre nei nascenti Stati Uniti si opterà per un principio di libertà religiosa concepito in chiave positiva. Affrontando nel secondo capitolo una pagina particolarmente problematica della storia della chiesa e facendo proprie le tesi del teologo Del Pozo Abejón espresse nel volume La Iglesia y la libertad religiosa, l’A. si sofferma sulle condanne da parte del magistero ottocentesco della libertà di coscienza e di culto.
Dà quindi inizio alla sua disamina con l’affermazione che «i papi, nel contesto della modernità, hanno condannato il sistema di libertà di coscienza e di culti conseguente alla Dichiarazione francese del 1789» (p. 46) – ricalcando quasi alla lettera il titolo di un capitolo di Del Pozo – per poi proseguire con la considerazione che i bersagli del magistero pontificio dell’epoca corrispondevano tanto all’indifferentismo quanto a quel naturalismo politico-filosofico che stavano alla base delle richieste di libertà di coscienza e di culto. Questo passo introduttivo ci appare però incompleto in quanto già da tempo gli storici della chiesa hanno segnalato come i bersagli delle encicliche Mirari vos (1832) e Quanta cura con l’annesso Sillabo (1864) fossero certo l’indifferentismo e il laicismo antireligioso, ma non meno le richieste degli stessi liberali cattolici che, lungi dall’abbracciare le tesi indifferentiste o antireligiose, mettevano piuttosto in dubbio la convenienza di uno stato confessionale.
Non a caso la pubblicazione del Sillabo seguí di un anno il Congresso di Malines, in occasione del quale il cattolico liberale Montalembert aveva difeso la duplice tesi del dovere di aderire alla verità e della incompetenza dello stato a giudicare su tale materia. Proseguendo la sua analisi Scola fa proprio il giudizio sintetico di Del Pozo, secondo cui se i papi dell’Ottocento si opposero al laicismo non negarono però «la libertà di cui deve godere l’uomo di fronte allo stato per cercare la verità su Dio, proprio perché non hanno preso in considerazione tale libertà» (p. 48). Crediamo sia bene, però, non dimenticare lo stimolante interrogativo posto dal card. König nel corso di una sessione conciliare, sul perché la chiesa dell’Ottocento si fosse soltanto limitata alla stigmatizzazione degli errori e non avesse invece preso in considerazione quei «germi di verità» pur presenti in istanze in toto rigettate, germi, aggiungiamo noi, riconoscibili sia nelle proposte di illustri esponenti del mondo cattolico, liberali e non (per questo secondo caso vedi ad esempio il card. Newman), come anche in correnti dissenzienti rispetto alla chiesa o addirittura apertamente antireligiose (cf. GS 44).
Il card. Kasper ha in effetti osservato che con la dichiarazione DH «dopo un lungo indugiare e numerose riserve e polemiche, la chiesa cattolica accolse essenziali istanze dall’illuminismo dell’epoca moderna» (Chiesa e libertà). Ritornando alle tesi dell’A., notiamo che nel terzo capitolo, dedicato interamente alla DH, egli si concentra sullo sviluppo della tradizione cattolica con il significativo spostamento della prospettiva dai diritti della verità ai diritti della persona. Vengono quindi richiamati i pontefici protagonisti di tale evoluzione lineare, da Leone XIII, passando per Pio XI e Pio XII, sino a Giovanni XXIII con la sua enciclica Pacem in terris. Non ci appare tuttavia sottolineato a sufficienza il punto di svolta rappresentato da quest’ultima enciclica, in cui per la prima volta il magistero ha accolto apertamente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 assieme all’annessa libertà nella ricerca del vero.
La novità rispetto al linguaggio del pontificato precedente emerge dal confronto tra l’enciclica giovannea e il discorso Ci riesce (1953) di Pio XII (citato anche da Scola, ma al fine di mostrare l’armonica concatenazione dell’insegnamento magisteriale), discorso in cui veniva ribadita la tradizionale formula della tolleranza verso ciò che non corrisponde alla verità e che non a caso seguiva solo di qualche mese la celebre conferenza del prefetto del sant’Uffizio card. Ottaviani sui Doveri dello stato cattolico verso la religione. Le ricostruzioni piú circostanziate del drammatico confronto conciliare sulla libertà religiosa mostrano inoltre come con la dichiarazione DH si compí un vero e proprio mutamento di paradigma. Ben lontano dal riconoscere un’armonizzazione tra il magistero ottocentesco e le acquisizioni della DH suona il giudizio dell’allora card. Ratzinger allorché notava che nel loro insieme i tre documenti GS, NAe e DH rappresentano «una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di contro-Sillabo» (Theologische Prinzipienlehre).
Elementi di continuità della DH ci sembrano rinvenibili non tanto nei confronti del magistero ottocentesco e della prima metà del Novecento, ma in una piú profonda sintonia con gli insegnamenti del vangelo e le aspirazioni della chiesa dei martiri, come d’altra parte aveva già osservato Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005. L’A. richiama quindi alcuni sviluppi della dichiarazione conciliare negli insegnamenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Passa poi in rassegna i dati preoccupanti delle ondate di persecuzioni religiose in molti paesi del mondo come anche della manifesta diffidenza dell’Occidente europeo rispetto al fenomeno religioso. A tali questioni oggi si sommano anche quelle della attribuzione all’autorità pubblica della facoltà di stabilire i criteri per il riconoscimento di una religione autentica, della distinzione tra religioni e sette, nonché della tutela della libertà di conversione.
Nell’ultima parte del saggio Scola invita a un ripensamento del tema della aconfessionalità dello stato, da non intendersi in una versione indifferentista o di sospettoso distacco dalle visioni religiose ma come promozione di una «sana laicità», resa ancor piú urgente dalla presenza nelle società odierne di un ampio spettro di «etiche sostantive». L’ultimo capitolo è una esortazione all’impegno pubblico dei cattolici, affinché sappiano immettere nel dibattito pubblico delle ragioni potenzialmente valide per tutti. In conclusione il saggio del card. Scola si configura come una stimolante e pacata riflessione su temi d’attualità particolarmente ardui e non raramente motivo di vivaci discussioni. L’A. ha cosí messo in pratica quanto da lui stesso auspicato per il dibattito pubblico, ossia la disponibilità ad assumersi «l’onere della traduzione della propria visione del mondo in un linguaggio comprensibile anche da chi non la condivide» (p. 105).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
-
14,00 €→ 13,30 € -
14,00 €→ 13,30 € -
0,80 €→ 0,76 € -
0,30 €→ 0,28 € -
7,00 €→ 6,65 € -
13,00 €→ 12,35 € -
2,20 €→ 2,09 €