Maggio 2015. In una chiesa di Roma un uomo bisbiglia in confessionale un atroce peccato e poco dopo viene assassinato. La vittima è un prete che ha sottratto un fascicolo segreto dagli archivi vaticani. Cosa conteneva di tanto prezioso? Sono le lettere di una straordinaria mistica novecentesca, Maria Valtorta, che nel 1949, su richiesta del Vaticano, indicò una catacomba romana come il vero luogo del sepolcro di San Pietro, smentendo la tesi di coloro che lo collocano sotto la basilica vaticana. Si tratta di una questione di enorme importanza: sulla presenza e il martirio dell'apostolo a Roma si fondano il primato del Papa e la stessa gerarchia della Chiesa cattolica. Don Michele viene incaricato ufficiosamente di indagare per capire se altri scritti della mistica rivelino il luogo esatto della sepoltura. Intanto contro la Chiesa si scatena una vera e propria persecuzione e papa Bonifacio X muore.
Don Michele ritrova i quaderni della Valtorta: contengono rivelazioni grazie a cui è forse possibile risalire all'ubicazione del sepolcro di Pietro, e persino ritrovarne il corpo. Comincia così una corsa contro il tempo, prima che inizi il Conclave e venga perpetrato un colpo di mano. Gli sviluppi di questa missione possono salvare la Chiesa dal suicidio e il mondo da una catastrofica autodistruzione. In questo romanzo, basato su documenti reali, Antonio Socci guida alla riscoperta della figura di Maria Valtorta e traccia un filo rosso tra le origini del cristianesimo e il nostro fosco presente.
INTRODUZIONE
In un quartiere assolato, fra i più degradati della capitale, un padre vendeva la figlia di quindici anni in cambio di una dose di cocaina o di una manciata di giuro.
Una sera l'uomo andò a ubriacarsi dopo averla consegnata, sotto un antico rudere di acquedotto romano, a dei clienti che, qualche ora dopo, l'abbandonarono in aperta campagna per non dare nell'occhio.
Intorno alle quattro di mattina, mentre camminava lungo la strada cercando di tornare a casa, la fanciulla fu notata e fermata da una pattuglia della polizia.
Fu soccorsa, portata in Questura e convinta a raccontare tutto. Grazie alla sua testimonianza, gli inquirenti poterono iniziare approfondite indagini. La stampa si interessò alla vicenda: uscirono diversi articoli sia in prima pagina che nelle cronache e se ne parlò per alcuni giorni. La confessione
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Un mattino di maggio un uomo di mezza età che aveva frequentato quei loschi giri, scuro in volto, salì teso e spaventato i gradini della chiesa di Santo Spirito in Sassia, vicino a piazza San Pietro.
Entrò, si diresse verso un confessionale e dopo essersi inginocchiato raccontò, con molto imbarazzo e concedendosi qualche reticenza, le sue colpe.
Quella chiesa barocca, tutta affrescata e con un soffitto a cassettoni in legno policromo, era — per volontà di Giovanni Paolo II — un santuario della Divina Misericordia.
A quell'ora non c'era quasi nessuno se non tre fedeli di fronte al tabernacolo e uno nella cappella laterale davanti alla famosa immagine di Cristo, dipinta sotto indicazione di Santa Faustina Kowalska.
Quando il confessore ebbe finito di ascoltare l'uomo, fra i due calò un velo di silenzio, forse necessario al sacerdote per «digerire» ciò che aveva appena sentito. Ma, trascorso qualche secondo, egli cercò di decifrare l'anima di quello sconosciuto peccatore.
«Quando si è confessato l'ultima volta?» gli chiese. «Non è molto...» bofonchiò lui.
«Lei si rende conto, vero, di quello che ha fatto?» L'uomo annuì con la testa: «È per questo che sono venuto a confessarmi...».
«No» lo interruppe con severità il sacerdote. «Lei non è venutoqui spinto dal pentimento, ma solo perché è terrorizzato dall'idea di trovarsi pubblicamente coinvolto in questa storia, magari, che ne so, perché riconosciuto dalla ragazzina trovata dalle forze dell'ordine. Ho letto di questa storia sui giornali. Lei ha paura di veder arrivare la pulizia a casa sua, di essere scoperto dai suoi familiari, dai suoi colleghi. Teme lo scandalo pubblico e le conseguenze che comporterebbe sul suo rispettabile lavoro perché sarebbe rovinato...»
L'uomo parve sorpreso e rimase interdetto. Si giustificò dicendo che era la prima volta, anzi no, a dir la verità era accaduto già un'altra volta, ma poi basta. Era stata una debolezza e intendeva subito ravvedersi. Spiegò che erano in tanti a essere coinvolti, anche persone all'apparenza molto perbene. Alluse a «certi giri insospettabili» e rivelò di essere al corrente di violenze atroci perpetrate su ragazze dell'Est o africane costrette a prostituirsi. Per non parlare, concluse con tono via via più sommesso, di una serie di riti strani di cui era venuto a conoscenza: «Lei non immagina neanche che giri di affari vi siano e soprattutto quante persone, anche molto potenti, vi siano implicate».
«E questo orrore...» Il confessore si bloccò e respirò profondamente, cercando di non far prevalere la sua indignazione. Sapeva infatti che stava parlando in nome di Cristo e aveva anzitutto il dovere di salvare quell'anima.
«E questo orrore a cui sta alludendo» riprese «è per lei un'attenuante? Ma non si vergogna? Casomai, se è a conoscenza di crimini, dovrebbe denunciarli allapolizia. Non certo chiamare altri in correità nel confessionale come se questo relativizzasse le sue colpe.»
«Ma io... io non intendevo...»
«Le sue parole sono solo la conferma del mare di fango e di crudeltà in cui lei è immerso senza il minimo sussulto di coscienza. Non prova alcun rimorso per quelle povere ragazze? Lei si trova in una situazione molto grave al cospetto di Dio, se ne rende conto? Giustificandosi aggrava la sua posizione. Perché allo sguardo di Dio non si sfugge, lui ci scruta sempre fin nel profondo. Invece di cercare alibi lei dovrebbe guardare in faccia la sua depravazione e implorare pietà... Ma è del tutto evidente che non teme il giudizio di Dio, l'unica cosa da cui dovrebbe guardarsi. Invece no, lei ha il terrore del giudizio degli uomini. Non prova dolore per quello che ha fatto, è solo spaventato che venga svelata la sua ipocrisia. E, probabilmente, qui cerca una semplice scorciatoia per sfuggire allo schifo di sé...»
L'uomo cominciò a piagnucolare: «Io non sono un criminale...». E aggiunse: «Tutti possiamo sbagliare... e... e in ogni caso Gesù ha perdonato tutti, anche i criminali».
«È vero» ribatté il sacerdote «ma sa cos'ha detto di quelli come lei?»
«Quelli come me? In che senso? Che intende dire?»
Don Michele allungò il braccio e prese un libro dalla mensola del confessionale. Era il Vangelo. Lo sfogliò, si fermò su una pagina e lesse: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare».
Il prete chiuse il libro e sussurrò: «È un brano del Vangelo di San Matteo. È Gesù che parla così. Quello stesso Gesù che, come dice lei, ha pietà di tutti e perdona tutti, quel Gesù che perdonò dalla croce perfino coloro che lo avevano torturato e lo stavano massacrando».
Il sacerdote tacque per alcuni secondi. Poi riprese, con un tono di voce più basso e più accorato.
«La prego, fratello mio, non sfidi di nuovo la giustizia di Dio, che è terribile. Sappia che Egli ascolta il pianto nascosto delle vittime, specialmente delle vittime più piccole e indifese. E ogni loro lacrima arriva al suo cuore di Padre e viene imputata ai colpevoli già in questa vita. Se lei si rendesse conto di quale terrificante punizione grava su di lei per aver fatto tanto male a una piccola figlia di Dio, se solo avesse idea di quello che significa, le assicuro che preferirebbe di gran lunga lo scandalo pubblico, la rovina terrena e la condanna degli uomini...»
Lo sconosciuto cominciò ad agitarsi, sconvolto, a balbettare qualcosa: «Ma... ma... allora cosa devo fare? Dovrei ammazzarmi? Non c'è perdono per me? Sono davvero un tale orrore secondo lei? Che devo fare? Me lo dica lei... Io non credevo di aver fatto tutto questo male... non sapevo... mi vergogno tanto...».
La voce di don Michele si fece d'improvviso più dolce.
«Figlio mio» disse «devi piangere.»
L'uomo, che già era turbato, lo guardò sorpreso, come se non ne avesse comprese le parole.
Don Michele, che intanto era passato confidenzialmente al tu, prese in mano un crocifisso e sussurrò: «Guardalo... si è fatto macellare così per te... per pagare il male che tu hai fatto».
I due uomini stettero in silenzio. Anche il penitente fu preso da una forte commozione.
«Devi piangere tutta la vita» gli disse il sacerdote «tante lacrime da lavare quella montagna di male, o meglio da lasciare che Dio lavi la tua lebbra con il suo stesso sangue. Aiutalo a farlo presto, offrendogli le tue lacrime...»
L'uomo sembrò un po' rincuorato: «Padre, aiutarlo come?».
«Devi cambiare vita, espiare e riparare.»
L'uomo tacque, smise di piangere. Poi mormorò: «Espiare e riparare?».
Don Michele gli spiegò cosa intendeva, ma quando iniziò a enumerare le penitenze che aveva in animo di assegnargli l'uomo reagì sconcertato.
«Sono impegni pesantissimi...»
Il sacerdote lo interruppe, spiegandogli che espiazione e riparazione erano pur sempre una piccola cosa rispetto alle colpe di cui si era macchiato: «Devi farlo, se vuoi il perdono di Dio. Non preoccuparti, affidati a Lui e ce la farai. Io ti aiuterò...».
«Come mi aiuterà? Per espiare devo fare io quelle penitenze...»
«Le farai in parte. Altre le farò io al tuo posto. E mi occuperò io di far arrivare a quella povera ragazza il tuo aiuto. Io sono qui a confessare ogni sabato mattina...»
«Padre, non so se potrò tornare... Io mi sento in pericolo, temo per la mia vita...»
Don Michele, sorpreso, esitò un istante.
«Di cosa stai parlando?» gli chiese.
«Mi ricattano per via dei fatti di cui le ho parlato.»
«Ma chi?»
«Per loro» aggiunse, interrompendo il confessore «ho sottratto documenti importanti... Lì, dove lavoro... Anche questo volevo confessare.»
«Non puoi riparare recuperando quei documenti?»
«Sta scherzando? Ormai è impossibile e si tratta di carte di enorme importanza per la... ehm... cosa per cui lavoro e anche, oserei dire, per l'umanità...»
Don Michele ebbe il sospetto di trovarsi di fronte a un mitomane o un paranoico. Una di quelle persone con la tendenza a inventarsi o ingigantire le cose. Altre erano però le sue sensazioni: il suo modo di parlare e il tono della sua voce lo portavano a credere che in questo momento stesse dicendo la verità.
«Anche questo è molto grave... chieda perdono al Signore» disse don Michele tornando al lei «e cerchi di riparare come può al danno che ha arrecato alla sua azienda. Ma stia sereno per la sua vita, dopo essersi riconciliato con Dio si riconcili con se stesso e con gli altri...»
«Padre, forse non mi sono spiegato... Mi stanno braccando...»
«Chi la bracca?»
«Quelli là... quelli a cui ho procurato quei documenti... Sono un'organizzazione criminale! Credo che siano arrabbiati perché ritengono che non abbia fornito loro quello che si aspettavano o forse vogliono semplicemente eliminarmi perché potrei essere un testimone scomodo. Ci hanno già provato una volta, la settimana scorsa...»
«Guardi, faccio fatica a capire queste cose... Ma le consiglio caldamente di rivolgersi alla polizia. E lo faccia subito.»
«Ma non posso! Dovrei autodenunciarmi... Sarebbe la rovina per me.»
«Be', la vita varrà ben più della reputazione, non crede?»
«Non nel mio caso... Mi creda, non nel mio caso.»
Seguirono alcuni attimi di silenzio. Fu don Michele il primo a parlare: «Le lascerò i miei recapiti e i miei numeri di telefono, se crede che io possa aiutarla in qualche modo me lo faccia sapere... Adesso le darò l'assoluzione».
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Daniele Marella il 14 settembre 2014 alle 07:05 ha scritto:
Piacevole lettura