Un uomo alla deriva, alle prese con la tragedia più grande, la perdita di una figlia strappata all'affetto della famiglia dalla follia omicida di un maniaco, è chiamato a fare i conti con un passato che non lo abbandona, e con quel dolore che ha silenziosamente scavato un solco tra lui e Dio. Un incontro del tutto inaspettato gli da l'occasione di cambiare per sempre la sua vita, e di riacquistare, dopo quattro anni di buio, la capacità di amare.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Chi non sarebbe scettico, sentendo qualcuno sostenere di aver trascorso un intero fine settimana insieme a Dio e, come se non bastasse, in un rifugio? E in quel rifugio, per di più.
Conosco Mack da più di vent'anni, dal giorno in cui ci presentammo entrambi alla porta di un vicino per aiutarlo a raccogliere il fieno del suo campo, per le sue due vacche. Da allora ci siamo frequentati piuttosto spesso, per condividere una tazza di caffè o, nel mio caso, di chai bollente con latte di soia. Le nostre conversazioni mi danno una grande gioia; sono interrotte da continue risate e, a volte, da qualche lacrima. Per dirla tutta, più diventiamo vecchi più ci piace stare insieme, non so se sia mai successo anche a voi.
Il suo nome per intero è Mackenzie Allen Phillips, anche se quasi tutti lo chiamano Allen. È una tradizione di famiglia: gli uomini portano tutti lo stesso primo nome, ma vengono chiamati con il secondo, probabilmente per evitare aggiunte snob come I, II e III, o Junior e Senior. È un metodo che funziona anche per identificare subito quelli che telefonano per venderti qualcosa, soprattutto se ti si rivolgono come se fossero i tuoi migliori amici. Così lui e suo nonno, suo padre e ora il suo figlio maggiore sono tutti Mackenzie, ma vengono chiamati quasi sempre con il secondo nome. Solo Nan, sua moglie, e gli amici più cari gli si rivolgono con il nomignolo Mack (anche se ho sentito perfetti sconosciuti gridargli: «Ehi, Mack, dove hai imparato a guidare?»).
Mack viene dal Midwest, è un ragazzo di campagna nato in una famiglia di irlandesi d'America con i calli alle mani e regole rigorose. Benché pretendesse di essere molto religioso, suo padre, un uomo severo e bacchettone, beveva in segreto, soprattutto quando la pioggia non arrivava, o arrivava troppo presto, e quasi sempre tra una pioggia e l'altra. Mack non parla spesso di lui, ma quando lo fa il suo volto si prosciuga di ogni espressione, come se stesse calando la marea, e gli occhi gli diventano scuri e senza vita. Dalle poche storie che mi ha raccontato ho capito che suo padre non era un alcolizzato di quelli che si addormentano felici la sera, ma uno di quelli che picchiano la moglie e poi chiedono perdono a Dio.
Le cose erano precipitate quando, a tredici anni, Mackenzie si era sfogato con un catechista della parrocchia, durante un ritiro. Sopraffatto dall'emozione, aveva confessato tra le lacrime di non aver fatto nulla per aiutare sua madre nelle numerose occasioni in cui il padre, ubriaco, l'aveva picchiata fino a farle perdere i sensi. Quello che non aveva preso in considerazione era che la persona con cui si era confidato era un collega di lavoro del padre e frequentava la stessa chiesa. Così, quando era tornato a casa l'aveva trovato sulla porta d'ingresso ad attenderlo, mentre mamma e le sue sorelle non c'erano. Aveva appreso in seguito che erano state mandate in tutta fretta dalla zia May perché suo padre fosse libero di impartire al figliolo ribelle una lezione sul rispetto. Per quasi due giorni, legato alla grande quercia dietro casa, era stato preso a cinghiate alternate a versetti della Bibbia, ogni volta che il padre si svegliava dal torpore abbastanza a lungo da posare la bottiglia.
Due settimane dopo, quando era stato in grado di mettere di nuovo un piede davanti all'altro, se n'era semplicemente andato di casa. Prima di farlo, però, aveva versato veleno per topi in ogni bottiglia di liquore trovata nella fattoria. Poi aveva disseppellito dal prato accanto al capanno la scatola di latta con tutti i suoi tesori: una foto di famiglia in cui tutti strizzavano gli occhi guardando il sole (suo padre era l'ultimo a destra) , una figurina del baseball del 1950, il primo anno di campionato di Luke Easter, una bottiglietta con circa due dita di Ma Griffe (l'unico profumo che sua mamma avesse mai posseduto), una matassa di lana e un paio di aghi, un piccolo caccia F-86 della U.S. Air Force in metallo, e i risparmi di una vita, quindici dollari e tredici centesimi. Era rientrato in casa di soppiatto e aveva lasciato un biglietto sotto il cuscino di mamma, mentre suo padre russava, nuovamente sbronzo. Il biglietto diceva solo: SPERO CHE UN GIORNO MI PERDONERAI. Giurò di non guardarsi mai indietro, e non lo fece, per moltissimo tempo.
A tredici anni non si è affatto adulti, ma Mack non ha avuto altra scelta se non adattarsi in fretta. Non parla molto degli anni che seguirono. Ha trascorso la maggior parte del tempo all'estero, lavorando nei luoghi più disparati e mandando soldi ai nonni, che li facevano avere a sua madre. Credo si sia procurato una pistola durante un conflitto in uno di quei Paesi lontani; da che lo conosco, ho sempre saputo del suo viscerale odio per la guerra. Alla fine del suo peregrinare, è finito in un seminario in Australia. Quando si è stancato della teologia e della filosofia, è tornato negli Stati Uniti, ha fatto pace con la madre e le sorelle e si è trasferito in Oregon, dove ha conosciuto e sposato Nannette A. Samuelson.
In un mondo di chiacchieroni, Mack è uno che pensa e agisce. Non dice molto, se non gli rivolgi qualche domanda diretta, e la maggior parte della gente ha imparato a evitare di farlo. Quando parla, viene da domandarsi se non sia una specie di alieno, che osserva il panorama delle idee e delle esperienze umane in modo diverso da tutti gli altri.
Il fatto è che ciò che esprime ha perfettamente senso, e per questo risulta scomodo alle orecchie di gente che preferirebbe sentirsi ripetere le solite cose, ovvero sciocchezze. Chi lo conosce di solito lo apprezza, a patto che tenga i propri pensieri per sé. E quando parla non è che piaccia meno, è che chi lo ascolta si piace improvvisamente un po' meno.
Una volta mi ha raccontato che quando era più giovane diceva spesso quel che gli passava per la testa.
Per sua stessa ammissione, era un meccanismo di difesa per coprire le ferite; spesso finiva con il confessare i propri dolori a chiunque gli capitasse a tiro. Ma era anche capace di mettere a nudo le debolezze degli altri, umiliandoli, per non perdere il proprio senso di falso potere, di controllo. Non era certo una caratteristica piacevole.
Mentre scrivo queste parole, rifletto sul Mack che ho sempre conosciuto: una persona normale, speciale solo per chi lo capisce davvero bene. Sta per compiere cinquantasei anni ed è privo di segni particolari: basso, di carnagione chiara, lievemente sovrappeso, con una calvizie incipiente; somiglia a molti uomini di queste parti. Tra la folla probabilmente non lo notereste, e non vi sentireste a disagio sedendovi accanto a lui mentre sonnecchia sulla metropolitana durante la sua spedizione settimanale in città per una vendita. Per lo più lavora in un piccolo ufficio ricavato in casa sua, in Wildcat Road. Vende articoli ad alta tecnologia, gadget che non fingerò di capire: oggetti elettronici che fanno andare la vita più veloce, come se non scappasse già via abbastanza in fretta.
Non ti rendi conto di quanto sia intelligente, se non ti capita di ascoltare una sua conversazione con un esperto. A me è successo: i termini che utilizza non sembrano appartenere alla nostra lingua, e mi ritrovo a cercare di trattenere i concetti, che sgorgano come un ruscello di pietre preziose. Parla con intelligenza di quasi ogni argomento, e anche se si capisce subito che ha convinzioni radicate, ha un modo gentile di esporle che ti permette di tenerti le tue.
Ama discutere di Dio, della Creazione e del perché la gente fa ciò che fa. Gli occhi gli si accendono, gli angoli della bocca si tendono in un sorriso e di colpo, come se fosse un bambino, la stanchezza gli sci-vola di dosso e lui diventa senza età, incontenibile. Allo stesso tempo, però, non è particolarmente religioso. Sembra avere un rapporto di amore-odio con la religione, e forse perfino con Dio, che sospetta distante, imbronciato, distaccato. La corazza del suo riserbo a volte si incrina: il sarcasmo di Mack è come la punta di una freccia avvelenata, intinta in un rancore molto profondo. Anche se a volte frequentiamo insieme la stessa chiesa biblica (la 55a Assemblea Indipendente di San Giovanni Battista, come ci piace chiamarla), mi rendo conto che lui non si sente del tutto a suo agio, lì.
È sposato con Nan da trentatré anni, per la maggior parte felici. Dice che lei gli ha salvato la vita, e che le è costato un prezzo altissimo. Per qualche strana ragione lei sembra amarlo ora più che mai, anche se ho la sensazione che nei primi anni lui l'abbia davvero fatta star male. Immagino che come i nostri dolori derivano quasi sempre dalle relazioni, lo stesso valga per le cose che ci permettono di guarire, e so che per chi guarda da fuori la Grazia non è facile da capire.
In ogni caso, Mack è sposato. Nan è la malta che tiene insieme l'edificio della loro famiglia. Se Mack si è fatto strada in un mondo con molte sfumature di grigio, quello di lei è per lo più in bianco e nero. Il buonsenso è così naturale, per Nan, che non lo riconosce nemmeno come un dono. Per occuparsi della famiglia ha rinunciato al sogno di diventare medico, ma come infermiera ha ottenuto le sue soddisfazioni, soprattutto da quando ha scelto di lavorare accanto ai malati terminali nel reparto di oncologia. Se il rapporto di Mack con Dio è ampio, quello di Nan è profondo.
Questi due individui non molto bene assortiti hanno cinque figli straordinariamente belli. Mack ama dire che hanno preso da lui, «... perché Nan la sua bellezza ce l'ha ancora tutta». Due dei tre maschi ormai vivono fuori casa: Jon, sposato da poco, lavora nell'ufficio vendite di una ditta del posto, e Tyler, neo-laureato, è all'università per conseguire una specializzazione. Josh e una delle due ragazze, Katherine (Kate), sono ancora in casa e frequentano il college pubblico della città. Poi c'è la ritardataria, Melissa, o Missy, come ci piaceva chiamarla. Lei... be', ne saprete di più nelle prossime pagine.
Gli ultimi anni sono stati - come dire? - decisamente strani. Mack è cambiato; ora è diverso e più speciale di prima. Si è sempre dimostrato un'anima gentile e buona, ma da quando è finito in ospedale, tre anni fa, è diventato ancora più buono. E uno di quei rari individui completamente a loro agio nella propria pelle. E con lui io mi sento a mio agio come non mi succede con nessun altro. Quando ci salutiamo, ho la sensazione di aver appena avuto la miglior conversazione della mia vita, anche se di solito parlo quasi sempre io. E per quanto riguarda l'argomento Dio, Mack non si muove più solo in ampiezza, ma è andato anche parecchio in profondità. Però quell'immersione gli è costata cara.
Questi giorni sono molto diversi da quelli di sei o sette anni fa, quando la Grande Tristezza era entrata nella sua vita e lui aveva quasi smesso del tutto di parlare. Nello stesso periodo abbiamo smesso di vederci, come per un tacito accordo. Lo incontravo solo di rado, al negozio di alimentari o, ancora più raramente, in chiesa, e anche se ci abbracciavamo con affetto, non ci dicevamo quasi nulla di importante. Faceva perfino fatica a guardarmi negli occhi; forse non voleva addentrarsi in discorsi che gli avrebbero riaperto le ferite del cuore.
Però tutto è cambiato dopo un brutto incidente con... Ma ci sto ricascando, sto nuovamente correndo troppo. Ci arriveremo al momento opportuno. Voglio solo dire che questi ultimi anni sembrano aver ridato a Mack la sua vita, togliendogli dalle spalle il peso della Grande Tristezza. Ciò che gli è successo tre anni fa ha cambiato completamente la melodia della sua esistenza, ed è una canzone che non vedo l'ora di suonare anche per voi.
Anche se comunica bene con le parole, Mack non si sente a suo agio con la scrittura, mentre sa che io l'adoro. Così mi ha chiesto di raccontare questa storia - la sua storia - al posto suo, «per i ragazzi e per Nan». In questo modo non solo voleva esprimere la profondità del suo amore, ma anche raccontare ciò che era successo dentro di lui, perché lo comprendessero. Conoscete tutti quel posto: è quello dove ci siete solo voi, e forse Dio, se ci credete. Naturalmente forse Dio è lì anche se non ci credete. Lui è fatto così. Non lo chiamano il Grande Impiccione per niente.
Ciò che state per leggere è qualcosa che Mack e io abbiamo cercato di tradurre in parole per mesi. È un po', be'... no, è decisamente fantastico. Se alcune parti del racconto siano vere o meno, non sarò io a deciderlo. Mi basta dire che forse certe cose non sono scientificamente dimostrabili, ma possono ugualmente essere vere. Ammetto in tutta onestà che avere un ruolo in questa storia mi ha cambiato nel profondo, in spazi interiori in cui non ero mai stato e dei quali ignoravo persino l'esistenza. Vi confesso che desidero con tutto me stesso che ogni parola che Mack mi ha raccontato sia vera. Di solito gli credo, ma a volte, quando il mondo visibile, fatto di cemento e computer, sembra essere l'unica realtà, perdo fiducia e dubito di lui.
Un paio di avvertenze finali: se leggete questa storia e non vi piace, Mack vi manda a dire: «Mi dispiace, ma non è stata scritta pensando a voi». Forse però è vero il contrario. Ciò che state per leggere è ciò che Mack ricorda di quanto è accaduto. Questa è la sua storia, non la mia, per cui le poche volte in cui apparirò parlerò di me in terza persona, dal punto di vista di Mack.
La memoria è una compagna ingannevole, specialmente dopo l'incidente, e non sarei troppo sorpreso di scoprire che in questo testo, nonostante i nostri tentativi di essere accurati, sono presenti alcuni errori e imprecisioni. Non sono voluti. Vi assicuro che i dialoghi e gli eventi sono riportati come Mack li ricorda, per cui vi prego di essere pazienti con lui. Come capirete, non sono cose di cui è facile parlare.
Willie
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Prof. Alessandra Asso il 17 settembre 2016 alle 14:27 ha scritto:
Un libro fantastico, assolutamente da leggere almeno una volta nella vita. Lo consiglio a tutti coloro che cercano un contatto con Dio. L'ho ricevuto come dono e non potevo che regarlo a mia volta ai miei amici più cari.
Mara Breda il 14 gennaio 2017 alle 16:47 ha scritto:
Libro toccante, emozionante, anche divertente. Un capolavoro. Mi è stato consigliato da un sacerdote missionario e l'ho cercato qui ed ordinato.
Questo libro è un mondo. Meraviglioso.
Carlo Rinaldelli il 14 maggio 2018 alle 17:15 ha scritto:
TITOLO: Il Rifugio
Autore W. Paul Young
Recensione:
Ottima narrazione, scorrevole, piacevole. Tradotto in lingua italiana con uso di appropriati e numerosi vocaboli.
Composto di capitoli piccoli, invita alla lettura che viene stimolata dallo stesso racconto che desta la curiosità del lettore.
Il racconto è sempre interessante, positivo per la vita di ciascuno (cura di ogni depressione personale); diviene poi una valida "medicina" in ogni caso di esperienza di una morte improvvisa, imprevista, incomprensibile ... Porta il lettore a fare i conti con Dio, al fine di scoprire e conoscere Chi Egli E'.
L'Autore parla di Dio, attraverso la narrazione dei fatti, in modo approfondito e conforme alla comune conoscenza derivante dalla Parola di Dio, coinvolgendo il lettore. Per questo si può dire che è anche un libro di "teologia".
Libro molto bello perché scritto bene.
Interessa come un giallo, senza esserlo, perché è un racconto.
Contiene ottime descrizioni, come fosse la sceneggiatura di un film.
Ad ogni capitolo ti sorprende con cose inattese e, di più, con interpretazioni il più delle volte "propriamente divine".
Il 13 maggio 2018
Lara Munari il 10 luglio 2019 alle 08:56 ha scritto:
Uno dei più bei libri che ho letto. Un padre, che ha vissuto il dramma di aver perso la figlia più piccola, uccisa da uno psicopatico, riceve un invito da Dio a trascorrere un fine settimana proprio nel rifugio in cui si compì l'atto efferato. Da questo incontro, con le singole Persone della Trinità, quest'uomo, ferito dalla vita, fa un percorso interiore di recupero, offerto al lettore. Con uno stile scorrevole, dai toni anche comici che fanno ridere talvolta, emerge la profondità del contenuto, che, sotto forma di una storia di fantasia, offre spunti di psicoterapia in chiave spirituale. Un valido aiuto, perché ogni esistenza è contrassegnata da difficoltà e lutti. Si legge tutto d'un fiato, con numerosi spunti di riflessione. Ottimo da regalare.