La rivoluzione russa è stata, in termini rilevanti, anche un confronto-scontro tra diverse prospettive intellettuali. In ragione della debole consistenza delle classi sociali, in particolare del «terzo stato», il ceto degli intellettuali, l’intelligencija, termine non a caso coniato in Russia, ha finito con lo svolgere un ruolo storico forse senza riscontri in altri contesti. In certi momenti è parso che in campo ci fossero solo gli intellettuali rivoluzionari e l’autocrazia, in un confronto senza esclusione di colpi. È sicuramente una rappresentazione schematica che deve essere articolata e resa più complessa per la presenza di altri attori: le masse contadine gettate nella grande storia dalla politica estera imperialistica dello zarismo, le prime concentrazioni operaie, la nascente industria, i fermenti artistici, la scomposizione della nobiltà, il formarsi di ceti professionali e tecnico-scientifici. Eppure le concezioni di fondo, tra di loro sempre più divergenti e inconciliabili, furono elaborate dagli intellettuali, teorici e pensatori russi, laici e religiosi, nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, prima che la vittoria definitiva del bolscevismo e la creazione dell'URSS spazzassero via ogni possibilità di confronto, imprimendo al sistema una connotazione totalitaria, rivelatasi irriformabile. Non si trattò però solo di fratture, discontinuità e sconvolgimenti. Dentro la storia russa, sovietica, sino all’attuale era Putin, sono ben visibili forti elementi di continuità, l’incidenza operativa della lunga durata. Il soggetto principale, da questo punto di vista, è stata ed è sicuramente la Chiesa ortodossa, con tutto ciò che ne deriva sul piano della cultura e del potere, del costume e della mentalità. Con approcci differenti e diverse sensibilità, senza sovrapposizioni, i tre saggi di Pier Paolo Poggio, Stefano Caprio e Giovanni Codevilla interrogano uno degli eventi fondatori della storia e del mondo contemporaneo. (P.P. Poggio)