Abitare nella possibilità
(Di fronte e attraverso)EAN 9788816408326
Letteratura come fiction, come resistenza della parola, come «patente d’infinito», passione per il mistero del reale, profezia e persino teologia. La scrittura come «esercizio spirituale», che cavalca su sempre nuovi sentieri, carichi di mondi, spazi d’apertura. L’a., gesuita e fondatore della rete di laboratori creativi BombaCarta, esplora il significato di una domanda antica quanto inesauribile: «A cosa serve la letteratura?», giungendo alla proposta di una critica letteraria che attinga a piene mani dalla teologia e dalla mistica. Il confronto con gli aa. è serrato e mai banale: s’incontrano, tra gli altri, Tondelli, Ferlinghetti, Celan, Bo.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 10
(http://www.ilregno.it)
In questo nuovo volume il p. Spadaro, da diversi anni impegnato in un confronto concreto con il pensiero e le opere sia di scrittori che critici e teorici della letteratura (si vedano i suoi studi su Tondelli, Carver, Whitman) e a fare l’esperienza di “militanza” letteraria (con l’associazione BombaCarta), ci offre una riflessione di ampio respiro sul senso della letteratura mediante una rassegna di posizioni (prima parte) ed una originale proposta critica a partire dall’esperienza degli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola (seconda parte). Personalmente sono convinto sia ormai tempo di considerare la letteratura alla stregua di un “luogo teologico”; se, infatti, da sempre la fede cristiana si è rivolta alla filosofia quale luogo di tematizzazione dell’esperienza umana dal punto di vista del suo significato (il proprio tempo appreso nel pensiero, per citare Hegel), non vedo perché la riflessione credente non debba guardare con la stessa attenzione alla letteratura in quanto luogo originario ed autentico di costituzione e di sedimentazione dell’umano, dei suoi significati, delle sue domande e attese. Non si tratta di elaborare una sorta di “cristologia letteraria”, in parallelo o sulla scia della “cristologia filosofica”, né di apprestare rassegne di volti di Gesù, ma più radicalmente si tratta di esercitare quell’auditus temporis essenziale per la fede cristiana la quale, in quanto esperienza, si comunica con delle ragioni in grado di dialogare con le domande e i vissuti contestuali dell’uomo. La letteratura si presta a far emergere sia il trascendentale (le dimensioni permanenti e ricorrenti) sia il categoriale (la sottolineatura dell’urgenza particolare in un determinato momento storico) dell’umano. J.P. Jossua, a cui l’a. dedica un capitolo, ha riconosciuto la “potenzialità teologica” della letteratura, la quale, in quanto interpretazione della vita e delle sue tensioni fondamentali, è il luogo del confronto anche con tutto ciò che per l’uomo rappresenta soglia e limite, evocatori, quest’ultimi, di quell’oltre-altrove sia nel senso di ciò che sta oltre il confine (a cui si guarda affascinati e spaventati), sia come domanda avvertita priva di risposta (il limite). Del resto, se il cristianesimo è la religione della Parola fatta carne, come non avvertire un’originaria affinità e “benevolenza” verso le parole che si incarnano, assumono contenuto e forma in quella creazione dello spirito che è l’opera letteraria, esperienza e luogo di verità? Il potere proprio della letteratura non è forse «nel dire, attraverso il simbolo, il racconto, ciò che nessun tipo di costruzione speculativa potrebbe giungere ad esprimere» (p. 120)? La finitezza del reale, ineludibile, punto d’inizio dell’esperienza letteraria, si tende liminarmente verso l’infinito diventando grammatica della trascendenza. La letteratura, allora, non è visionaria ma visione, capacità di interpretare l’esistenza e di condividerla al di là di se stessa (cf. p. 115) in vari modi: mettendo l’uomo in guardia dal senso comune che riduce la realtà a monolite, abitata da certezze stabili e apparenti di cui la letteratura sarebbe specchio fedele ma inutile; diventando ancora di salvezza, approdo di umanità, risonanza di coscienza di fronte alla tragedia e alla frantumazione esistenziale (come nel caso dell’esperienza tragica della guerra); costituendo il luogo dove si dice la vita (identità fra letteratura e vita): come la vita s’interroga sulla verità così la letteratura dà un’anima alla vita traducendone l’attesa e la ricerca, aiutando l’uomo ad entrare nel mistero del reale. E ancora: la letteratura come intelligenza lirica del reale, interrogazione permanente che reinventa il reale dischiudendone la valenza simbolica ed evocativa, pur con il rischio di una deriva nell’immaginario; la letteratura come passione per il mistero del reale, per il significato che sta al di là di noi stessi, come capacità di esperire, interpretare, smascherare il mondo e coglierne al suo interno il mistero, ovvero l’infinito, quale trama del finito su cui si costruisce il dramma della libertà e delle sue infinite possibilità. Quindi «la verità della letteratura consiste nella sua capacità di parlare della nostra vita interpretandola al di là di sé, della sua mera apparenza. È nella lettura che questa forza si sprigiona. Nella lettura efficace si crea dunque una relazione forte tra lettore e libro, nella quale il lettore non domina le pagine, ma piuttosto vi si muove all’interno, e mentre legge, si legge, cioè legge se stesso» (p. 141). Siamo così introdotti nella II parte (“La letteratura come esperienza”) in cui l’a. offre una originale proposta critica sul significato della letterata. Ora, la lettura – oltre l’atteggiamento che considera il testo come importante nella sua oggettività o secondario in quanto mero punto di partenza e “oggetto di piacere” – si configura (arditamente) come lettura poetica attraverso il mistico. La spiritualità, che si declina anche come modo di vedere la realtà e di stare al mondo, in grado di conferire forma e particolare sensibilità al soggetto, possiede allora ricadute specifiche a livello della lettura di un testo letterario. L’a. sceglie l’esperienza spirituale legata al libretto degli Esercizi spirituali di S. Ignazio per sviluppare una “visione” della letteratura; gli Esercizi, cioè, in alcuni loro aspetti peculiari, diventano chiavi per comprendere meglio l’esperienza letteraria. Anzitutto la lettura: nella prospettiva ignaziana essa non sopraggiunge al testo come un avvenimento estraneo, la lettura piuttosto è come l’esecuzione di un’opera che compie il testo e coinvolge l’interprete-lettore realizzando una interazione dinamica in cui non si è mai spettatori ma sempre co-attori. Vi è poi la scrittura creativa come esercizio di osservazione e scavo dell’esperienza: il testo, ignazianamente, come porta d’ingresso nella storia narrata che deve condurre al nuovo testo prodotto dalla creatività dell’esecutore. Di grande interesse il capitolo sul’ispirazione: lungi dall’essere evasione o puro sentimento di astrazione, l’ispirazione è presentata come forma di conoscenza attenta e ardente del mondo, sospesa tra nostalgia stupita e “fondo dell’abisso”. La parola poetica ispirata viene a tradurre ancora una volta il senso dell’umana fragilità, acuta capacità di ascoltare il dolore, vertigine e angoscia dinanzi all’abisso della notte; allo stesso tempo, però, la poesia riflette anche lo stupore del mondo, la gratuità delle cose e la bellezza della loro origine. L’esistenza umana è sospesa tra gorgo oscuro e freschezza sorgiva, tra gratitudine stupe-fatta dinanzi al mistero buono dell’essere (l’esserci delle cose come bene) e senso tume-fatto di Abgrund, di infondatezza generatrice di angoscia che, leopardianamente, azzera la dolcezza dell’esperienza del naufragio e rende “funesto” il dì natale. È sempre il reale esperito che genera l’esperienza letteraria e in questo orizzonte anche la fantasia, lungi dall’essere (come ordinariamente si ritiene) evasione dalla realtà, diventa visione del reale, «un modo di porsi davanti alla realtà, un’esperienza conoscitiva ricca e complessa, che segue una logica diversa da quella ordinaria» (p. 205), una guida al mistero del reale che aiuta a vedere quell’essenziale invisibile agli occhi. La narrazione come principio di libertà e la critica letteraria come costruzione di mappe e percorsi, sono i temi degli ultimi due capitoli della seconda parte. Un’appendice dal titolo “Domande aperte” conclude il volume; in essa l’a. riflette anzitutto sul rapporto arte-fede. L’arte può essere hegelianamente la rappresentazione sensibile (e dunque imperfetta) del divino ma anche autoreferenzialità assoluta, strumento di salvezza in opposizione al sacro. In che senso allora si dà un’arte cristiana, come anche una filosofia cristiana, e si danno uno scrittore o un critico cattolico? Rahner (l’esposizione alla grazia di Cristo) e la F. O’ Connor (la presenza della grazia nel dramma della vita radicalmente umana) guidano alla risposta. Infine il rapporto poesia-felicità, che dissipa lo stereotipo dell’identità tra arte e disagio, tra visione e patologia. Le sottolineature fin qui fatte rappresentano solo alcuni tra i tanti spunti e temi che il volume con rigore ed esaustiva competenza tematizza. Interrogare l’esperienza letteraria, il suo significato e le possibilità in essa inscritte, credo sia un compito ineludibile anche per la teologia che per sua natura non può prescindere dall’ascolto degli universi di senso che definiscono l’umano.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2009
(http://www.pul.it)
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