Traversate di un credente
(Di fronte e attraverso.Libri civiltà cat.)EAN 9788816408104
I lettori italiani hanno già fatto conoscenza con Varillon con la pubblicazione de L’umiltà di Dio(1), opera che nel 1974 ottenne il Grand prix catholique di letteratura(2). Ora Traversate di un credente ci consegna un compendio esaustivo e dettagliato della vivacità intellettuale e della profondità spirituale del gesuita, filosofo e teologo francese. Charles Ehlinger raccoglie nel volume, secondo criteri biografici e tematici, estratti degli scritti più rappresentativi e significativi delle opere di Varillon, molti dei quali tradotti per la prima volta. La prefazione all'edizione italiana, vergata da Quentin Dupont e Antonio Spadaro, tratteggia le categorie principali intorno alle quali si snoda il percorso intellettuale e spirituale dell'autore. Il titolo stesso, infatti, esprime certamente la cifra riassuntiva del viaggio di un uomo che con garbo e sensibilit à estrema ha attraversato le forme concrete della fede cristiana. Allo stesso tempo le traversate di Varillon sono un invito a immergersi nel mondo sociale, rinnovando il gesto di un Dio umile e debole. Sono proprio le numerose implicazioni con la vita sociale e pubblica dei credenti, a cui il pensiero di Varillon rimanda, che vorrei qui brevemente tratteggiare ed evidenziare. Nel fare ciò è necessario indugiare su quella che potrebbe essere la cifra riassuntiva della calda umanità del gesuita francese: l'idea di umiltà, e la conseguente formulazione di un cristianesimo che umilmente s'annuncia preparando le condizioni di possibilità di un altro da sé. «Dio non crea l'uomo libero. Dio fonda la possibilità, per l'uomo, di creare la propria libertà» (71). Tutto, negli scritti di Varillon, è pronunciato con voce kenotica, tutto invita a farsi voce che proclama qualcuno, scomparendo rispetto a colui che annuncia: «Possiamo parlare solo kenoticamente della kenosi di Dio. Voce kenotica: non che rinuncia a parlare, ma che scompare nella parola stessa»(3). L'umiltà, come categoria cristiana, non ha altra giustificazione e radicamento se non in una cristologia connotata dal gesto mite e umile di chi si svuota per far posto all'altro, di colui che per affermarsi si contrae. Il cristianesimo per Varillon è ravvisabile solo in quella paradossale gestualità umana capace d'incarnare e rinnovare il gesto kenotico di un'affermazione che è tale solo se nega se stessa. Sussiste una connaturale impotenza cristiana; il cristianesimo appare e si configura socialmente solo attraverso il gesto in cui agonizza e muore: «Dio è potenza illimitata di ritrazione di sé, di nascondimento»(4). Sembra che in ogni sua pagina Varillon voglia richiamarsi a questa movenza peculiarmente cristiana, la quale è sia un approccio all'assoluto, ma anche l'ispirazione di uno stile umano e sociale. Si può dire Dio senza in alcun modo cercare o imporre l'affermazione di Dio. È una via umile perché remissiva ma non rinunciataria; nella vita sociale essa appare come l'atteggiamento di chi resiste all'offesa non rivendicando un diritto proprio. È questo l'atteggiamento che molti hanno visto come un possibile fondamento laico dell'agire etico, ossia l'atteggiamento di chi vive e gestisce, nella propria biografia, la paradossale contraddizione tra esigere un preciso diritto e al contempo non rivendicarlo. Varillon definisce quest'atteggiamento come umiltà: «Questa rinuncia è pura umiltà»(5). Si potrebbe sostenere, sulla scorta di Judith Butler, che una configurazione sociale ed etica del gesto umile è quella che si apre tra la spinta alla rivendicazione di un diritto, o di ciò che crediamo ci spetti, e la capacità di resisterle, «appunto, continuando a oscillare tra il bisogno di proclamare il diritto a non essere respinti e la necessità di resistergli, si "diventa umani"»(6). Anche Varillon fonda sull'idea e sul compito di «diventare umani» sia la sua visione di un umanesimo mite e appassionato, sia il fine stesso delle traversate d'ogni credente. Diventare umani equivarrebbe dunque, anche e soprattutto per ogni cristiano, a diventare ciò che si è. Umanesimo e cristianesimo rivelano forse in questo gesto la loro più intima coappartenenza: 7 ritrovare la propria natura sotto la forma di un esercizio di libertà. «L'insegnamento di Gesù, in particolare nel discorso della montagna che lo riassume, non mira a nient'altro che a farci ritrovare come libertà la nostra infanzia perduta come natura. "Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3). Dalla natura infantile alla libertà infantile il passaggio è sotto forma di morte e rinascita»(8). Credo vi sia un'ulteriore declinazione dell'umiltà dalla quale traspare, con maggiore limpidezza, la precisa connotazione del cristianesimo sociale dell'autore. Ne L’umiltà di Dio così Varillon scrive: «La motivazione specificamente cristiana dell'impegno temporale è quella di rendere possibile a ogni uomo l'accesso al libero riconoscimento della gratuità assoluta dell'amore»(9). Nella vita sociale, un cristianesimo che voglia principalmente essere segnato dall'umiltà o farsi servizio umile e gratuito, può assumere un atteggiamento preciso: quello del rendere possibile. Varillon apre quasi la strada a un cristianesimo sociale che, pienamente in linea col suo pensiero dell’umiltà, qualifica la presenza del credente nella sfera sociale come una presenza che rinvia a se stesso solo nella misura in cui prepara le condizioni di possibilità affinché l'altro da sé possa avvenire. È un cristianesimo sociale che si esprime nell'atto di preparare o allestire una scena più ampia, uno spazio pubblico, in cui non solo sia data la possibilità ai diversi d'incontrarsi, ma siano anche garantite le condizioni di possibilit à per cui, da tale incontro, possa emergere il nuovo. Quale sia questo nuovo, è Varillon stesso a dirlo: il libero riconoscimento della gratuità assoluta dell’amore. Un cristianesimo sociale preparante, non può non riscoprirsi in sintonia con l'idea di cultura. Varillon stesso, infatti, nota come «la vera cultura prepara ai veri contatti» (72). Il cristiano socialmente impegnato non è né nemico né scettico nei confronti della vera cultura del suo tempo; essa, infatti, come pure la gestualità umile del credente, prepara e non afferma, bensì, con tatto umile e gratuito, apre degli spazi nel tessuto sociale per creare nuove condizioni d'incontro e di contatti. Varillon infine può essere fecondamente messo in comunicazione con la sensibilità di un altro noto gesuita francese: Michel de Certeau. Per entrambi la riflessione pastorale, sociale ed educativa, in seno alle comunità cristiane non può prescindere dalla categoria di umiltà; per de Certeau in particolare, quell'umiltà diventa debolezza, «debolezza del credere». «Il punto di partenza è una presa di posizione relativa alla questione: con chi si deve solidarizzare nella società? Si tratta, per i cristiani, di lavorare per delle cause che non sono le loro, poiché essi non hanno più un suolo proprio. Così una mutazione qualitativa s'inscrive in questo passaggio dal fare-la-carit à al fare-la-giustizia»(10).
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(1) F. VARILLON, L’umiltà di Dio, Qiqajon, Bose, Magnano (BI) 1999.
(2) Le opere di Varillon disponibili in italiano comprendono anche La sofferenza di Dio. Note teologiche e spirituali, Città Nuova, Roma 1989; e Un compendio della fede cattolica, cultura umana e rinuncia cristiana, EDB, Bologna 2007. Quest'ultimo libro in particolare, raccoglie due ampi articoli risalenti agli anni Sessanta, nei quali, a ridosso del concilio Vaticano II, l'autore traccia con stile sobrio e incisivo, una summa del suo pensiero teologico.
(3) VARILLON, L’umiltà di Dio, 17.
(4) VARILLON, L’umiltà di Dio, 56.
(5) VARILLON, L’umiltà di Dio, 57.
(6) J. BUTLER, «Contro la violenza etica, a partire da Adorno», in Iride 21(2005) 44, aprile, 92.
(7) Con formula chiara e incisiva così Varillon riassume la coincidenza tra vocazione umana e vocazione cristiana: «Nel realizzare pienamente il proprio compito umano l'uomo vive in verità la sua relazione personale con Dio» (Traversate di un credente, 199). Lo stesso Varillon è ben consapevole che alcune sue considerazioni possono indurre a pensare che quella da lui proposta sia un'idea ingenua di umanesimo: «Ci si entusiasma per un umanesimo cristiano; ma quando la croce si erge nel bel mezzo di questo umanesimo, non va più bene. Ora, bisogna ben riflettere che il cristianesimo nello stesso tempo prolunga e contraddice la natura. Può prolungarla solo se la contraddice. A Cana, Gesù cambia l'acqua in vino, ma alla Cena cambia il vino in sangue» (Traversate di un credente, 92).
(8) VARILLON, L’umiltà di Dio, 148.
(9) VARILLON, L’umiltà di Dio, 14.
(10) M. DE CERTEAU, Debolezza del credere. Fratture e transiti del cristianesimo, Città aperta, Troina (EN) 2006, 283.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 18/2008
(http://www.ilregno.it)