PREFAZIONE
Questo volume, come quello sui « Discorsi di addio », si presenta espressamente come un libro di meditazioni. Non si tratta quindi di un'opera teologica. Non vi si troveranno nozioni filologiche, esegetiche o altrimenti scientifiche. Esso non è neppure un libro di lettura da scorrere velocemente; sotto questo aspetto apparirebbe probabilmente incolore e prolisso, deluderebbe e affaticherebbe il lettore. Al contrario, vuol essere realmente un sussidio per la meditazione.
Esso parte sempre dal presupposto che la meditazione cristiana della parola divina deve esser consapevole di non aver davanti a sé una parola umana finita, bensì la parola divina infinita sotto un rivestimento umano.
Una parola il cui senso è inesauribile, abissale e—poiché divino—interpretabile in ultima analisi solo attraverso se stesso. Ogni parola divina, quindi ogni versetto del vangelo, contiene latente in sé la pienezza della vita eterna, i misteri del cielo, il mare della verità e dell'amore trinitario. Attraverso ogni parola, che viene dalla bocca della verità divina, Maria, che ha scelto la parte migliore, potrebbe spingersi ad ascoltare fino a quel punto, ove le singole verità confluiscono nella verità totale, indivisibile e assoluta. Ognuna di queste parole vuole comunque esser presa anzitutto come se fosse l'unica: con tutta la dedizione dell'anima, di cui questa diventa capace mediante la grazia, la fede, l'amore e la speranza. Sì, la grazia accogliente, appunto la vita di fede, amore e speranza in noi, non è d'una sostanza diversa dalla grazia rivelante; la fede mediante cui crediamo e la fede in cui crediamo sono solo due aspetti della medesima realtà divina comunicataci da Dio.
In questo libro presupporremo perciò continuamente che la fede, l'amore e la speranza —questi tre che « rimangono », quando tutti gli altri doni saranno scomparsi—sono anche quelli che possono farci meglio conoscere l'essenza della vita eterna, l'essenza della vita interiore di Dio.
La scelta del titolo: I discorsi polemici può essere meno indovinata di quella del titolo del volume successivo: « I discorsi di addio ». Però può essere giustificata « a parte potiori ». In questi capitoli del vangelo sono inseriti diversi altri episodi, tuttavia anch'essi servono prevalentemente da occasione per nuovi confronti e discussioni del Signore coi giudei. In conformità all'intenzione dei discorsi, la meditazione vuole soprattutto illustrare il momento, in cui il limitato punto di vista egocentrico e razionale dei giudei deve lasciarsi aprire al punto di vista illimitato pieno di fede e di amore del Signore. Quest'unico passaggio—dall'antica alleanza umanamente fraintesa alla nuova alleanza—deve essere anche da noi compiuto incessantemente in sempre nuove varianti, sotto una luce sempre nuova, con l'aiuto di una grazia dalle caratteristiche sempre nuove. Nulla pertanto è passato e storico in questi discorsi del Signore: tutto è piuttosto vita cristiana attuale e odierna.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
6,1-2. Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.
Una grande folla segue il Signore. Essa non lo fa con fede e con amore, ma spinta dalla curiosità e dall'attesa egoistica di altri segni. Il Signore però sa distinguere tra una simile curiosità e un egoismo puro e semplice. Utilizza la debolezza della curiosità, per fare di essa una via alla fede. Invece non utilizza mai e poi mai il peccato dell'egoismo come una preparazione e una via all'amore. Il Signore non utilizza mai i nostri peccati per redimerci dal nostro peccato, perché nell'egoismo attivo è appunto contenuto l'allontanamento attivo dall'amore. Dove invece ci sono debolezza e stanchezza, lì il Signore può e vuole iniziare qualcosa di nuovo. Non la conoscenza del nostro peccato, ma la conoscenza del suo amore ci porta al pentimento e alla conversione. Per liberarci dal nostro incarceramento nel peccato il suo amore ci allontana dal peccato; in noi infatti il peccato è un ostacolo puro e semplice e mai un'occasione di crescita. Invece il Signore può utilizzare benissimo una debolezza per aprire la via a una fede, che solo in un secondo momento guiderà all'amore.
Nella propria curiosità la folla comincia a percepire vagamente la sua grazia. Lo segue perché ha visto i miracoli da lui operati sugli infermi. Non quindi a motivo di qualcosa che ha sperimentato su se stessa. Cosi ritiene di essere un'osservatrice obiettiva e spassionata di un evento, che non la tocca e non la riguarda intimamente. Eppure già questo è un inizio di interesse. Essa non si preoccupa più soltanto di sé e dei propri bisogni. Ha cominciato ad aprirsi a qualcosa che non è lei stessa.