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Descrizione
Il fascismo pretese di erigere un nuovo Stato, ma riutilizzò abbondantemente in chiave fascista elementi e residui dello Stato liberale. Autoritario e dittatoriale, concentrò il potere pubblico, ma accettò anche la sua pluralizzazione. Eliminò libere elezioni, creò un surrogato della rappresentanza politica, si valse di organizzazioni satelliti, ma ricorse ad amministrazioni parallele per gestire la crisi economica. Si proclamò anti-liberale, anti-parlamentare, anti-clericale, anti-borghese, anti-capitalistico, ma venne a patti con il Re, con il Senato, con la Chiesa e con la borghesia. Riconobbe ed esaltò la società, ma ne rigettò il pluralismo e organizzò lo Stato intorno alla figura di un demiurgo. Fu conservatore ma anche modernizzatore (dalle forme di propaganda all'architettura all'uso del cinema). Il fascismo non si lascia dunque racchiudere in una sola formula e racchiude in sé elementi contraddittori, che Sabino Cassese ricostruisce esprimendo dubbi sul valore euristico della nozione di totalitarismo.
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Lo spunto che origina questo studio delle istituzioni del fascismo è duplice: storiografico, perché «nonostante la grande mole di studi sulla storia del fascismo vi è ancora una grande oscillazione nella valutazione della natura del relativo stato», cioè se fu o meno totalitario; e di attualità, perché ancora a 50 anni di distanza ogni proposta di rafforzamento del potere esecutivo suscita il timore dell’«uomo forte». L’analisi permette di fare giustizia del «mito storiografico» del totalitarismo fascista, mettendo accuratamente in luce i molti paradossi su cui la dittatura del ventennio si costruì e si resse. Tra i molti elementi d’interesse c’è la novità metodologica di un approccio che abbina gli strumenti dell’analisi storiografica, delle scienze sociali e dell’ambito giuridico-istituzionale; e la diversa valutazione che oggi l’a. dà del corporativismo rispetto alle sue prime ricerche degli anni Cinquanta.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 4
(http://www.ilregno.it)
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