Mentre i protagonisti e i testimoni di quella stagione stanno progressivamente andandosene, l'Ostpolitik vaticana riceve l'attenzione consistente degli storici: da H. Stehle a M. Maqua, da K.J. Kummel a A. D'Angelo, da A. Melloni a A. Giovagnoli ecc. Giovanni Barberini, professore di Diritto a Perugia, è fra gli osservatori più attenti e, di quegli eventi, ha offerto un quadro complessivo nel volume L'Ospolitik della Santa Sede. Un dialogo lungo e faticoso (Il Mulino, Bologna 2007). Pubblica ora una consistente e significativa raccolta di carte del maggiore protagonista di quella stagione, il card. Agostino Casaroli (1914-1998): La politica del dialogo. Le carte Casaroli sull'Ostpolitik vaticana, presentato in occasione del convegno vaticano dedicato al decennale della morte del porporato (cf. Regno-att. 12,2008,383s). È agevole indicare quello che l'Ostpolitik non fu: l'assenso all'ideologia comunista. Nella relazione dopo una visita a Praga nel 1963 Casaroli parlava di un «sistema sociale-politicoreligioso, il cui vero volto antiumano – a parte qualsiasi valutazione ideologica – è possibile scoprire unicamente facendone l'esperienza o almeno osservando da vicino gli aspetti della “nuova società” che ha preteso d'instaurare» (304). E parlando a New York nel 1973: «Nessuna ideologia, nessun movimento di pensiero e di azione si è affacciato nella storia con un carattere così decisamente, così radicalmente, così conseguentemente negatore di Dio e della religione – di ogni religione – come il “materialismo dialettico” che costituisce il credo del marxismo» (13). Non fu neppure un semplice prolungamento della «distensione» che per decenni ha segnato i rapporti fra le due superpotenze (USA e URSS) anche se di essa si è giovata. E neppure fu un'imitazione dell'Ostpolitik tedesca del cancelliere W. Brandt, a cui la diplomazia vaticana si è ispirata e da cui ha assunto il nome. Di ciò è stato un segnale il timo-re denunciato dai vescovi tedeschi per l'annunciato riconoscimento dell'autonomia della Conferenza episcopale della Repubblica democratica tedesca (DDR): quello appunto di confondere l'Ostpolitik vaticana con l'Ostpolitik tedesca a vantaggio dei socialisti nelle elezioni del 1976 (755-760). In positivo l'Ostpolitik è stato l'aiuto della Santa Sede a Chiese in gravissime difficoltà per ottenere un «modus non moriendi» e, più in generale, un'approccio al mondo del socialismo reale senza cedimenti ideologici ma con una diversa attenzione spirituale e pastorale. Il tradizionale realismo diplomatico divenne conoscenza diretta degli istituti e dall'apparato legislativo socialista entro cui trovare gli spazi residui per far vivere le comunità locali, nel quadro delle distinzioni di Giovanni XXIII e Paolo VI fra errore ed errante, fra movimento storico e ideologia. Un sentiero sottile e coraggioso che Casaroli così indicava in un appunto del 1965: «Naturalmente valgono, per queste trattative, le considerazioni generali che l'esperienza dimostra sempre più fondate per i contatti con i governi comunisti: enormi difficoltà, poveri risultati, e anche questi sempre incerti e aleatori; reazioni talvolta negative da parte proprio di coloro cui la Santa Sede vorrebbe portare un aiuto, (…) pericoli di indebite illazioni da parte di chi – anche fra i cattolici – sembra incapace di comprendere che un'azione di legittima difesa dei diritti e delle possibilità di vita della Chiesa sotto il durissimo e ingiusto giogo comunista non significa accettazione o addirittura approvazione di questo giogo, né rinuncia ai principi o ai diritti dei quali ancora non si riesce a ottenere il riconoscimento e il rispetto» (337). L'approccio ai governi comunisti di Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Bulgaria, della Repubblica democratica tedesca e dell'Unione Sovietica (le carte sono raccolte in quest'ordine nel volume) iniziava alla periferia dell'impero comunista, nella consapevolezza di un differente interesse dell'interlocutore locale e per la diversa tradizione giuridica. I buoni risultati ottenuti dalla diplomazia vaticana con la Jugoslavia (Protocollo con il governo nel 1966) e con l'Ungheria (Accordo «parziale» nel 1964) diventavano meno evidenti ma pur sempre positivi per la Repubblica democratica tedesca e la Bulgaria, mentre si rivelavano scarsi per la Cecoslovacchia. La Polonia fu un caso a parte per la diversa consistenza della Chiesa locale; qui la connessione fra episcopato e Santa Sede – peraltro non sempre agevole – otteneva molto di più sia nella pratica sia in via di diritto. Ciascuna Chiesa locale e ciascuna nazione avevano interessi e problemi specifici (le questioni territoriali e di confine in Polonia, i vescovi e i preti clandestini in Cecoslovacchia, i territori pastorali dipendenti dalle diocesi occidentali nella Repubblica democratica tedesca, il ruolo politico del primate in Ungheria, l'essere minoranza in Bulgaria ecc.) ma i temi in discussione nei colloqui diplomatici avevano anche molti interessi comuni: la libertà e il riconoscimento giuridico della Chiesa, la scelta e la nomina dei vescovi, la formazione del clero, la presenza dei religiosi, l'insegnamento religioso, i beni ecclesiastici ecc. Come esempio si prendano i titoli dei temi posti a confronto nel dialogo fra Casaroli e il rappresentante del governo bulgaro (1976): personalità giuridica della Chiesa, nuovi centri di culto, residenze del clero, beni confiscati, congregazioni femminili, residenza del vescovo, formazione dei futuri sacerdoti, insegnamento religioso dei giovani (774-776). Comune a tutte le Chiese locali era anche il timore dei vescovi di essere scavalcati dai rappresentanti della Santa Sede, di sostenere e appoggiare documenti che potessero suonare anche solo come parziale legittimazione dei governi, di dover mediare su elementi marginali senza mettere in questione i temi di fondo. Difficoltà rese più acute dalla differente forza con cui le Chiese cattoliche si distinguevano dai governi rispetto alle altre Chiese cristiane e alle altre religioni. Emblematiche le figure, pur così diverse, dei cardd. Mindszenty e Wyszynski. Il primo, eroico resistente e fiero oppositore di ogni compromesso, riparato in Occidente nel 1971 dopo essere stato sollevato dall'incarico pastorale da Paolo VI, pensava a sé come primate e seconda autorità del regno di s. Stefano. «Ritirarsi in una situazione come questa – annotava Casaroli dopo una visita nel 1964 – la più triste della storia dell'Ungheria, sarebbe viltà che né gli ungheresi né la storia perdonerebbero » (133). E in una lettera dell'anno prima al segretario di stato Mindszenty ricordava l'esempio di resistenza dei vescovi ungheresi nel XVI secolo di fronte all'invasione turco-musulmana (46). Con non minore consapevolezza storica il card. S. Wyszynski annotava nel 1972: «Di fatto solo la Polonia è rimasta in queste terre la roccaforte della Chiesa romano-cattolica, la quale è attorniata a Oriente dal grande mare ortodosso, oggi danneggiato dal comunismo, come pure dalla gerarchia ortodossa stessa a lui sottomessa; a Occidente poi dal protestantesimo liberale impotente e laicizzato; al Nord più o meno lo stesso, al Sud vivono i popoli religiosamente divisi fra loro (Cecoslovacchia, Ungheria ecc.)» (639). Al cammino pastorale-diplomatico dell'Ostpolitik (1963-1989) si affiancò, rafforzandolo, quello diplomatico-politico della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (il processo di Helsinki) dove la Santa Sede partecipò a pieno diritto e con la natura specifica di una potenza morale portatrice di interessi spirituali, attiva soprattutto nel «primo cesto», quello relativo ai diritti umani e alla libertà. Nei dialoghi coi vari governi il richiamo a Helsinki diventò via via più insistito e condiviso. Le carte e i documenti mostrano il tratto specificamente ecclesiologico e pastorale della scelta diplomatica dell'Ostpolitik, riscattandola dalla frettolosa identificazione con gli indirizzi coevi di politica internazionale, affidandola a una memoria condivisa e accettata dall'attuale dirigenza ecclesiale, collocandola nel grande disegno europeista di Paolo VI e Giovanni Paolo II e sottraendola alla «damnatio » di correnti ideologiche (occidentali e orientali) che la riducono a compromesso e cedimento. Patrimonio utile per situazioni ancora aperte (vedi Vietnam e Cina) e per tentazioni nascenti nel neopopulismo latino-americano. Indirizzi che vivono anche grazie alle virtù delle persone che l'hanno interpretata: «Dai documenti emerge l'autorevolezza del personaggio Casaroli, il suo realismo, la sua tenacia, la sua pazienza e la sua capacità di dare attuazione alla lungimirante politica del dialogo» (G. Barberini).
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 14
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http://www.ilregno.it)