Perdonare
(Farsi un'idea)EAN 9788815124388
Per gli autori il perdono «si pone come una possibile risposta in grado di contrastare l'escalation dei conflitti e rilanciare il legame con l'altro anche nelle situazioni in cui viene duramente messo alla prova» (p. 9). Sottolineano che il perdono «è uno strumento fondamentale per ricucire e rinsaldare i legami » (p. 62), per sanare la frattura con l'altro, per pacificare i rapporti. Sottolineano inoltre gli effetti benefici del perdono sia per chi lo accorda sia per chi ne è beneficiato.
Le persone che perdonano, infatti, nel momento in cui ripensano alle offese subite, manifestano una minore reattività del sistema nervoso simpatico, hanno un sistema immunitario ed endocrino più forte e quindi hanno una minore probabilità di incorrere in patologie cardiovascolari e una maggiore resistenza alle malattie. Inoltre si liberano dai vissuti psichici negativi, vincono la rabbia e il risentimento e sviluppano stati mentali positivi (cfr. pp. 66-68). Il perdono è , dunque, un processo capace di alleviare il malessere dell'individuo ferito e di promuoverne il benessere. Dati gli effetti benefici del perdono e il suo potere terapeutico, diversi psicoterapeuti hanno sviluppato programmi di intervento finalizzati a insegnare alle persone a perdonare. Gli autori si pongono tra l'altro tutta una serie di domande. Perché alcuni riescono a perdonare e altri no? Perdonare cambia il rapporto tra le persone? E' possibile imparare a perdonare? E' giusto perdonare? Cosa vuol dire perdonare l'altro? Quando ci sentiamo offesi? Quali sono le reazioni più comuni e immediate a tale esperienza? Il perdono rientra tra queste reazioni?
Essi non hanno la presunzione di offrire risposte esaurienti, consapevoli che la strada da percorrere in questo ambito è lunga e inesplorata. Osservano che parlare di perdono è sembrato per molto tempo inopportuno perché significava sconfinare in un campo di pertinenza dei teologi e dei moralisti e che solo negli ultimi anni si è argomentato in maniera consistente sul perdono nell'ambito delle scienze umane e sociali. Osservano inoltre che «mai come oggi parlare di perdono sembra acquistare un significato importante per le persone e per la società nel suo complesso » e che «negli ultimi tempi stanno aumentando le forme di pressione sociale che sembrano avere l'obiettivo di assicurare il perdono a chi ha commesso un'offesa. Emblematica a questo proposito è la domanda che di frequente i giornalisti pongono alle vittime di offese più o meno gravi circa la disponibilità e la volontà di perdonare il loro offensore » (pp. 13-14). Rilevano che viviamo in un mondo accelerato che «vorrebbe assoggettare ai suoi ritmi frenetici anche gli eventi dolorosi che richiedono invece [...] una lenta e mai del tutto certa elaborazione della rabbia e dell'odio. [...]. Oggi più che in passato si richiede che la frattura con l'altro, con l'offensore, venga sanata in fretta » (p. 14). «Perdonare - scrivono - è un processo faticoso, lento, che richiede tempo; non un atto immediato e istantaneo » (p. 37), conformemente al detto secondo cui il tempo lenisce tutte le ferite.
Pertanto domande che i parenti delle vittime di episodi di cronaca nera si sentono rivolgere dai cronisti («può perdonarli?», «li ha perdonati?») «non possono avere senso» (p. 37). Gli autori dicono che il perdono è una risposta a un'offesa ricevuta e che, rispetto alle altre risposte, la vendetta e la fuga, il perdono «costituisce una risposta meno istintiva e più graduale» (p. 42) ed è «un processo sostanzialmente unilaterale che ha per protagonista un unico individuo, quello vittima dell'offesa, cui solo compete il diritto di perdonare» (p. 39). Essi distinguono il perdono dalla riconciliazione e osservano che «è possibile perdonare senza riconciliarsi» (p. 40). La riconciliazione - affermano - è «un processo bilaterale o diadico, avente per protagonisti sia la vittima sia l'autore dell'offesa» (p. 39). Può darsi che la vittima voglia riappacificarsi con l'offensore e che questi non voglia, soprattutto se è convinto di essere dalla parte della ragione anziché del torto. La riconciliazione, dunque, è condizionale: «può cioè essere raggiunta solo se l'offensore riesce a soddisfare determinate condizioni volte a rassicurare la vittima e a riguadagnarne la fiducia» (ibid.). Gli autori osservano che le offese sono arrecate da estranei, ma il più delle volte da persone con cui si hanno rapporti stretti, come familiari, colleghi di lavoro e amici. Nell'ambito di questi legami sembra inevitabile farsi del male.
Ciò è ben rilevato dal filosofo Schopenhauer nella sua opera Parerga e paralipomeni dove equipara la condizione umana a quella di porcospini che, per difendersi dal freddo, si stringono vicini e si feriscono con i loro aculei. Osservano inoltre che non sempre il perdono è benefico, a volte può essere addirittura nocivo. Nei casi in cui la vera natura del perdono è oggetto di fraintendimento, può rivelarsi controproducente per la vittima concederlo. «Se la vittima non riconosce la gravità e l'intenzionalità dell'offesa subita, può infatti essere facilmente indotta a sottostimare la pericolosità di chi l'ha perpetrata» (p. 77). E ancora: il perdono può essere nocivo nel caso in cui venga concesso troppo repentinamente. «Ciò può rivelarsi deleterio non solo per la vittima, ma anche per l'individuo che le ha fatto del male» (p. 78).
Un altro caso in cui può risultare controproducente accordare il perdono è quello in cui «sia offerto a nome di terzi, per esempio vittime ormai morte o, comunque, incapaci o riluttanti a pronunciarsi al riguardo» (p. 79). In quest'ultimo caso, il perdono «diviene fonte di sofferenza non solo per chi lo accorda ma anche e soprattutto per la vittima che, oltre a vedersi privata del proprio diritto di dare o rifiutare il perdono, spesso ravvisa nella sua elargizione un misconoscimento del torto e della sofferenza patiti» (p. 79). Gli autori trattano poi il perdono nei conflitti tra gruppi sociali e il perdono di sé . Osservano che «riuscire a perdonare all'interno di una situazione di tipo sociale e politico, in cui sono centrali le dinamiche a livello di gruppi e di rapporti tra gruppi, è più complesso che non in un contesto interpersonale. Non necessariamente più difficile, ma più complicato» (p. 83). Questa complessita Á è dovuta al fatto che «la qualità delle emozioni di odio, rabbia e risentimento sperimentati nei confronti di un gruppo è di tipo diverso rispetto alla qualità di quelle che si possono provare nei confronti di una persona. Sono emozioni per così dire depersonalizzate, nel senso che non si riferiscono a qualcuno in particolare, ma si rivolgono in modo indistinto alle persone che appartengono al gruppo nemico. Il singolo individuo potrebbe al limite anche suscitare simpatia, ma il fatto che appartenga a un gruppo ostile non impedisce che nei suoi confronti si nutra lo stesso risentimento che viene attribuito al gruppo al quale appartiene» (p. 84).
Gli autori sottolineano la differenza tra il perdono che può maturare nelle situazioni conflittuali tra gruppi e quello di tipo interpersonale: «riguarda gli spazi di libertà della singola persona nella decisione di perdonare o meno rispetto alle influenze che possono provenire dal suo gruppo di appartenenza» (p. 90). Sottolineano le somiglianze tra il perdono di sé e il perdono degli altri. «In entrambi i casi - scrivono - si tratta di processi di elaborazione personale che richiedono tempo, non comportano alcuna forma di condono e di indulgenza, e si realizzano dalla consapevolezza di errori e di azioni negative rispetto ai quali colui che li ha commessi non può vantare alcun diritto a essere perdonato in modo incondizionato» (p. 102). Sottolineano anche le differenze tra il perdono verso di sé e quello verso gli altri. «Mentre a livello interpersonale il misfatto che attiva il processo del perdono è di solito un'azione subita dalla persona offesa, a livello intrapersonale le forme di trasgressione da perdonare possono essere molteplici» (p. 104). «Mentre a livello interpersonale l'attenzione è sul danno causato ad altri, a livello intrapersonale il perdono può riguardare potenzialmente due forme di torti: quello causato ad altri e quello causato a sé» (pp. 105-106). Perdono degli altri e perdono di sé si differenziano anche «rispetto al livello di partecipazione sociale richiesto nel processo di elaborazione del problema» (p. 107).
Tratto dalla rivista "Sapienza. Rivista di Filosofia e di Teologia" n. 1/2010
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