«Negotium mixtum cum donatione». Origini terminologiche e concettuali
(L'arte del diritto)EAN 9788813294328
1. – In questo libro, che costituisce, entro un breve volgere di tempo, il suo terzo studio monografico, dopo il ponderoso e ricco volume sulla responsabilità del iudex privatus pubblicato nel 2004 nonché l’ampia e dettagliata ricerca sulla venditio nummo uno apparsa già per la collana ‘L’arte del diritto’ nel 2007, l’autore indaga le origini terminologiche e concettuali, nel diritto romano classico e nel sottostante pensiero giurisprudenziale, del fenomeno, di controversa configurazione, del negotium mixtum cun donatione, connotato dalla coesistenza di elementi strutturali onerosi e di contenuti funzionali alla realizzazione di effetti liberali. Punto di partenza di ogni concettualizzazione in merito è quella stessa espressione che, pur presentandosi nelle fonti antiche una sola volta, in testo di Ulpiano contenuto nel Digesto giustinianeo e riferente l’opinione di Aristone con richiamo altresì a quella di Pomponio, ha avuto ampio riscontro negli ordinamenti continentali moderni, a partire dal pensiero della Pandettistica tedesca, ma senza che – come preliminarmente avverte l’autore in prime pagine di considerazioni preliminari (pp. 1-4) – si sia mai inteso approfondire, in chiave storica, l’impostazione del problema e la sua soluzione in ordine a casi pratici, alla luce delle sfumature che appaiono percorrere l’evoluzione del pensiero della giurisprudenza classica, da Aristone a Pomponio e Ulpiano, sulla base di una considerazione della donatio quale causa adquirendi anziché causa negoziale come introdotta a seguito della legislazione costantiniana perfezionata da quella giustinianea.
2. – All’individuazione del concetto di negotium mixtum cum donatione, riferita da Ulpiano ad Aristone in D. 39.5.18 pr., è dedicato il I capitolo (pp. 5-75). Senza trascurare il problema della sedes materiae in cui si è ritenuto che Aristone avesse avanzato l’affermazione secondo la quale in presenza di donatio non si sarebbe contratta obligatio, né la strutturazione retorica del passo fondato sull’opposizione tra negotium e donatio, l’autore considera la presa di posizione aristoniana indirizzata ad intento definitorio, ma interpretato in vista della casistica considerata nei paragrafi successivi del frammento in funzione della quale ricavare l’elaborazione del concetto generale espresso nel principium. Anzitutto col parlare di obligationem non contrahi Aristone non avrebbe inteso riferirsi al momento genetico della obbligazione ovvero alla produzione dei suoi effetti, risultando tale specificazione ininfluente ai fini di determinare la relazione da lui vista intercorrere tra negotium e donatio, posto che il vincolo nascente dal primo sarebbe stato operante solo una volta venuti meno gli effetti proprii della seconda.
Quanto al significato del termine negotium, accanto a quello più generico di “affare”, esso apparirebbe specificamente concretizzato da Aristone in relazione al contesto in cui viene utilizzato: mentre in D. 41.1.19, di Pomponio che si richiama ad Aristone, ove è qualificato come gestum, il negotium presenterebbe il criterio dell’onerosità rispetto alla donazione nell’ambito degli incrementi patrimoniali acquistati dal liber homo bona fide serviens in ordine a causae adquisitionis con effetti reali come obbligatori, in D. 39.5.18 pr. il suo significato sarebbe limitato all’ambito di operare del vincolo obbligatorio, impregiudicata restando la sua qualificazione come contractum, actum o gestum secondo la partizione risalente a Labeone in base a D. 50.16.19. Quanto al significato del termine donatio, comparente due volte in D. 39.5.18 pr. (nella trasposizione verbale donaverit in D. 41.1.19), esso si contrapporrebbe da un lato a obligatio poiché in presenza di donatio non vi sarebbe posto per l’obligatio stessa, e d’altro lato a negotium rispetto al quale si presenterebbe non su di un piano simmetrico di strutturazione negoziale a sé bensì come elemento inerente, in funzione di causa adquisitionis, ad una medesima fattispecie che fosse strutturalmente idonea a determinarne l’efficacia liberale.
Quanto all’accezione da attribuire al termine mixtum per indicare il carattere della fattispecie in cui appaiono compresenti negotium e donatio, occorrerebbe partire dalla netta affermazione, prospettata da Aristone all’inizio del principium del frammento ulpianeo, della incompatibilità fra negozio implicante vincolatività e donatio quale attribuzione patrimoniale a carattere liberale: si tratterebbe non di un principio concepito in astratto bensì quale risultato della soluzione del caso controverso successivamente considerato nel frammento, resa possibile tramite una rigida separazione diacronica della fattispecie in vista dei rispettivi effetti, imputabile ad una sorta di admixtio connotata da struttura negoziale interferendo con la quale l’elemento della liberalità, obiettivamente individuato, avrebbe reso inoperante, in sua presenza, l’obbligazione fondata sul negozio stesso; sarebbe con ciò evitata qualsiasi commistione tra i due concetti di negotium e donatio.
3. – Sulla qualificazione giuridica, connessa alle implicazioni di regime, della fattispecie considerata da Aristone secondo Pomponio in D. 39.5.18.1 si sofferma dettagliatamente il II capitolo (pp. 77-155). Si tratterebbe di una mancipatio (sostituita con traditio dai compilatori giustinianei) di schiavo a un terzo affinché questi lo manometta dopo un quinquennio, entro il quale non si potrebbe agire contro di lui in quanto sarebbe da ritenere inerente alla fattispecie, in base alla obiettiva valutazione dei suoi elementi, una certa qual forma di donazione (donatio aliqua) per cui entro il quinquennio, alla fine del quale è procrastinata la manomissione, risulterebbe impedita l’operatività dell’obbligo ad effettuarla da parte dell’acquirente, mentre questo viceversa nascerebbe sin dal momento dell’atto traslativo se diretto ad una manomissione immediata, non rimanendo in tal caso spazio per intravedere una donazione nella fattispecie. Viene quindi sottoposta a capillare critica l’opinione maggioritaria in dottrina secondo cui sarebbe stata specificata nell’originale del frammento la mancipatio dello schiavo come avvenuta a titolo di fiducia, in particolare vedendosi in questa fiducia manumissionis causa un’applicazione della fiducia cum amico, ove l’obbligo fiduciario avrebbe sempre avuto ad oggetto primario la restituzione dello schiavo, salvo essere assoggettato, con patto annesso di risoluzione sospensivamente condizionato, alla mancata effettuazione della manomissione non prima di un determinato termine: la inesperibilità dell’actio fiduciae prima della scadenza di detto termine è inoltre vista dalla stessa dottrina come inattuabilità, fondata sull’elemento di liberalità che esclude l’operatività del vincolo obbligatorio, di un ius poenitendi in ordine alla manomissione dello schiavo.
Ma, sul presupposto che l’obbligo del fiduciante di restituire lo schiavo da manomettere (do ut manumittas) costituisca elemento essenziale della struttura dell’istituto, secondo l’autore non sarebbe possibile alle parti, in base ad una troppo elastica valutazione della fides, pervenire a snaturare il contenuto di detto obbligo, adattandolo ad una funzione diversa da quella tipica col trasformarlo in obbligo a manomettere. La fattispecie considerata da Aristone sarebbe piuttosto stata quella di impegno non fiduciario diretto ad attuare la manomissione dello schiavo non prima di detto termine, che in caso di inadempienza avrebbe potuto fondare dopo il termine stabilito l’esperibilità di condictio restitutoria ma più probabilmente di un’actio civilis incerti (praescriptis verbis) risarcitoria dell’inadempimento medesimo, quale prevista dallo stesso Aristone in D. 2.14.7.2 sul duplice presupposto di un impegno reciproco delle parti (nella fattispecie, do ut facias), a beneficio almeno indiretto di ciascuna (nelle fattispecie in D. 39.5.18.1 il trasferimento di proprietà pone l’acquirente in condizione di manomettere evitando all’alienante di procedere egli stesso alla manomissione, di contro all’acquisizione al primo dei diritti di patronato a manomissione avvenuta e comunque delle operae servi entro la scadenza dell’eventuale dilazione per essa fissata). Non vi sarebbe poi spazio per il riconoscimento di un ius poenitendi sanzionato da condictio ex poenitentia, la cui classicità sarebbe da escludersi come in particolare nell’alterato D. 12.4.5.1 di Ulpiano ove la sua ammissione sarebbe dovuta ai compilatori, salvo applicarsi all’epoca di Ulpiano la constitutio divi Marci, ancora ignota ad Aristone, per la quale, se non manomesso a termine scaduto, lo schiavo acquisterebbe automaticamente la libertà, con ciò implicitamente ricavandosi dalla normativa imperiale la inadeguatezza di qualsiasi mezzo processuale, esperito dal mancipante (ivi compresa l’actio fiduciae), per ottenere la manomissione dello schiavo.
Ad Aristone, sempre secondo l’autore, si sarebbe probabilmente richiesto se, nel caso prospettato, si potesse agire per ottenere da controparte la manomissione prima del quinquennio convenuto; si sarebbe trattato comunque di un caso liminale, la cui soluzione implicava la configurazione giuridica della fattispecie, vista dal giureconsulto come diacronicamente distinta nel suo operare prima e rispettivamente dopo la scadenza del termine: ove, anteriormente a questa, a prescindere da una ricerca della effettiva intenzione delle parti diversamente da quanto appare rilevato da Pomponio nella finale di D. 39.5.18 pr., sul piano di una valutazione tipica obiettiva dei fatti addotti sarebbe stato riconoscibile un elemento liberale escludente la operatività della obligatio, rinviata a sua volta allo scadere del termine stesso tramite pactum de non petendo in tempus. Si sarebbe così evitata una qualsiasi contemporanea commistione tra i due concetti di donatio, quale causa adquirendi, e obligatio, nascente da negozio a causa tipica di scambio; si sarebbe peraltro avuta una prima concettualizzazione di negotium mixtum cum donatione, ricalcato sulla interpretazione di una fattispecie concreta, che risulterebbe esemplificativa del medesimo. È infine sottoposta dall’autore a complessa e stringente critica la ricostruzione, risalente alla Pandettistica, della fattispecie di D. 39.5.18.1 quale donazione modale, per cui verrebbe a essere snaturata la stessa struttura negoziale dell’istituto, trasformato da negotium mixtum cum donatione, secondo la qualifica aristoniana, in una sorta di donatio mixta cum negotio: oltretutto non risulterebbe risolta la contraddizione tra una donazione iniziale consistente nel trasferimento immediato di un bene a titolo liberale, che ne dovrebbe importare la definitività di effetti, con la preventiva imposizione contestuale di un onere, il cui adempimento costituirebbe abdicazione dal bene da parte dell’acquirente; in diritto classico, nella difficoltà di riconoscere la coercibilità dell’onere, la si dovrebbe inoltre ritenere consistere nella esperibilità di condictio, pervenendo così a trasformare la donazione modale in una datio ob rem data re non secuta. Come, contrariamente ad antica opinione, in base a D. 17.1.17.1 di Gaio e D. 17.1.30 di Giuliano, non sarebbe accettabile neppure la ricostruzione della fattispecie quale mandatum ut manumittas.
4. – Nel III capitolo (pp. 157-194) l’autore passa ad analizzare l’elaborazione del concetto aristoniano di negotium mixtum cum donatione, come sarebbe ricavabile dalle osservazioni in proposito attribuite da Ulpiano a Pomponio in D. 39.5.18 pr. – 2: mentre nel principium del frammento appare da questi condivisa l’impostazione della fattispecie quale caratterizzata da una rigida separazione diacronica tra fatti obbligatori e attribuzioni patrimoniali a titolo di liberalità, nella finale del § 1 Pomponio limiterebbe tale impostazione all’ipotesi in cui in base ad una valutazione dell’id quod actum est risultasse concretamente dovuta ad animus donandi tra le parti la determinazione di un termine successivo dopo il quale andrebbe effettuata la manomissione dello schiavo dall’una all’altra mancipato. La fissazione di un siffatto termine potrebbe tuttavia anche risultare, in base ad interpretazione non oggettiva bensì soggettiva dell’intento delle parti negoziali, da queste nel caso specifico predisposte non a titolo di donazione, per cui a una fattispecie così individuata (che sarebbe stata anch’essa vista da Pomponio come liminale di negotium mixtum cum donatione) si ricollegherebbero contemporaneamente effetti obbligatori e attribuzioni patrimoniali: sarebbe pertanto rimessa alla volontà negoziale la scelta tra il tenere o meno nettamente distinta l’operatività del negotium e della donatio su di un piano cronologico, pur continuando comunque a non confondersi causa negoziale e causa di acquisto.
Una conferma in tal senso si ricaverebbe ancora da D. 24.1.31.3 di Pomponio, ove una venditio minoris conclusa tra coniugi solo se effettuata in concreto animo donandi avrebbe comportato la nullità dell’alienazione, in quanto contraria al divieto di donazione tra gli stessi, mentre allora, se effettuata tra estranei, senza ricorso a simulazione, non a titolo di liberalità, sarebbe risultata strutturalmente preordinata dai medesimi soggetti negoziali a trasferire contemporaneamente la proprietà in parte a titolo di donazione e in parte di valida compravendita. Analogamente risulterebbe da D. 24.1.5.5 di Ulpiano che, diversamente da Giuliano sulla stessa scia di Aristone, Nerazio seguito da Pomponio ritenesse nulla la venditio minoris tra coniugi solo in assenza di accertata volontà concreta di donare da parte del marito, mentre, in presenza di un non simulato animus vendendi, la venditio minoris tra estranei per Giuliano, Nerazio e Proculo avrebbe operato effetti obbligatori contemporaneamente a revisione parziale del prezzo riconducibile a causa donationis. Infine, secondo l’originale del testo che l’autore ritiene emendato di D. 39.5.19.2, Aristone si sarebbe limitato a dubitare se l’eventuale altruità del servo mancipato per essere manomesso dopo un certo periodo di tempo avrebbe impedito la sua usucapione, venendo la non definitività del suo acquisto da parte del mancipio accipiens a incidere sulla interpretazione della fattispecie prospettatane dallo stesso Aristone nel precedente § 1, mentre Pomponio avrebbe ammesso siffatta usucapione al cui verificarsi si sarebbe annullato l’incremento patrimoniale ricollegabile a titolo di liberalità alla avvenuta mancipatio impedendone comunque di scorgervi un negotium mixtum cum donatione.
5. – Le prese di posizione ulpianee di negotium mixtum cum donatione complessivamente risultanti da frammenti dello stesso Ulpiano, ancorché non sia direttamente da lui impiegata tale terminologia a qualificare il fenomeno, sono dall’autore ricavate attraverso una minuziosa esegesi comparata dei medesimi nel IV capitolo (pp. 195-270). Secondo D. 24.1.5.2 il principio in linea di massima della invalidità degli atti conclusi donationis causa tra coniugi incontrerebbe deroghe in casi in cui la causa (da intendersi quale causa donationis di attribuzione patrimoniale) risultasse commixta, sul piano oggettivo o anche soggettivo, dal punto di vista dell’esame esterno di struttura e funzione tipiche della fattispecie senza entrare nella valutazione dell’animus donandi, in un modo insuperabile con conseguente permanere della validità della donazione accanto agli altri elementi costitutivi della fattispecie. Il principio generale risulterebbe confermato da D. 18.1.38, secondo il quale la venditio effettuata donationis causa viliore pretio tra coniugi sarebbe invalida, e invece valida tra estranei ove tra loro si sia effettivamente voluto vendere a quel prezzo ridotto. Ma, quanto a D. 24.1.5.5, esso, visto in correlazione a D. 24.1.5.2, sarebbe da interpretarsi nel senso che, di fronte a ius controversum giurisprudenziale in tema di negotium mixtum cum donatione relativamente alle modalità di applicazione del divieto di donazione tra coniugi, Ulpiano, con richiamo alle diverse vedute tra Giuliano da un lato, più incline a far valere la visione aristoniana di una interpretazione tipica dell’intento delle parti, e viceversa Nerazio seguito da Pomponio dall’altro, propenso a dare maggior peso all’id quod actum est dalle stesse, tra le due tendenze avrebbe seguito la prima in via generale e si sarebbe rifatto alla seconda in ipotesi specifiche di insuperabile connessione oggettiva (v. D. 24.1.7.4) o soggettiva (v. D. 24.1.5.1) tra gli elementi di liberalità e quelli negoziali delle specifiche fattispecie.
Il maggior rigore di Ulpiano rispetto alle tendenze giurisprudenziali di stampo proculiano nell’applicare il divieto di donazione tra coniugi tenendo presente la peculiarità delle concrete fattispecie sarebbe ricollegabile, oltreché all’intento di salvaguardare la certezza del diritto, anche alla parallela tendenza manifestata dall’eccezione al divieto introdotta da oratio Severi del 206 d. C. in cui si prevedeva la possibile convalescenza legale della donazione stessa per sopravvenuta morte del donante che non avesse espresso volontà contraria: senatoconsulto che troverebbe applicazione anche alla venditio minoris effettuata donationis causa o con remissione successiva del prezzo secondo D. 24.1.32.25 – 26 di Ulpiano. Per lui la venditio minoris donationis causa tra estranei sarebbe stata peraltro considerata in ogni caso, a prescindere da ipotesi di simulazione, valida come vendita tipica obbligatoria conclusa con riduzione o revisione di quello che sarebbe stato il prezzo corrente.
Quanto alla configurazione di un negotium mixtum cum donatione, argomentando dalle sue prese di posizione in ipotesi di venditio minoris tra coniugi si ricaverebbe che Ulpiano avesse comunque superato il modello – già in parte disatteso da Pomponio – di Aristone che prevedeva l’operare di compravendita e donazione in momenti rigidamente distinti, col pervenire ad alludere, tramite l’uso dell’espressione causa commixta, a fattispecie in cui la causa donationis, pur restando fondamento di attribuzione patrimoniale, avesse operato congiuntamente alla causa negoziale identificante il tipo contrattuale posto in essere in base all’assetto di interessi concretamente divisato dalle parti. La individuazione autonoma, all’interno del negozio misto, di due distinte fattispecie aventi differenti effetti avrebbe pertanto costituito solo una delle modalità di realizzazione del negozio stesso, mentre in ipotesi in cui risultasse una inscindibilità oggettiva o soggettiva della sua efficacia si verificherebbe una commixtio tra causa donationis quale causa adquirendi (che avesse concorso ad esempio a definire la determinazione del prezzo in ipotesi di venditio minoris) e causa del negozio tipico divisato dalle parti: commixtio che, ancora nel conservarsi della rispettiva incompatibilità funzionale, avrebbe tuttavia permesso il loro congiunto contemporaneo operare senza peraltro dar luogo ad una fusione tra le medesime; sarebbe pertanto priva di fondamento la tesi pandettistica che identifica nella commixtio ulpianea il fondamento storico di tutte le teorie moderne inclini ad ammettere una “fusione delle cause”, mentre la donazione, anziché causa di acquisto, si sarebbe potuta considerare causa negoziale solo dopo che si fosse trasformata essa stessa in un negozio causale tipico a seguito della normazione legislativa del IV secolo d. C., ove il concetto di causa di acquisto avrebbe finito poi per essere definitivamente eliminato dal pensiero bizantino.
6. – In sede di considerazioni finali (pp. 270-282), dopo aver puntualmente riassunto le conclusioni cui è pervenuto sul piano delle prese di posizioni classiche in fatto di negotium mixtum cum donatione, l’autore, fermo restando che l’elaborazione ulpianea avrebbe rappresentato in merito l’ultimo approdo cui sarebbe giunta la giurisprudenza classica in fatto di negotium mixtum cum donatione, ribadisce l’estraneità a quel pensiero della considerazione della causa donationis come causa negoziale tipica anziché quale causa di attribuzioni patrimoniali. Solo a seguito della riforma costantiniana del 323 d. C. si sarebbe potuta costruire dogmaticamente la donazione come negozio tipico, necessitante di forme solenni, a natura contrattuale, del quale la donazione costituisse la causa: costruzione consolidata sulla base del diritto giustinianeo, pur attraverso l’affermarsi del collegamento della efficacia del negozio, eliminati i suoi requisiti formali, al semplice consenso delle parti; di qui la valutazione del negozio misto in termini, avulsi dal pensiero giurisprudenziale classico, di compresenza di differenti tipi negoziali, dalle cui rispettive regolamentazioni normative la dottrina moderna ha teso, in vario modo, a ricavarne la disciplina. Il libro, che si conclude con gli indici degli autori e delle fonti, oggetto di citazione (pp. 283-301), è particolarmente meritorio nel costruire rigorosamente la ricerca sulla base delle risultanze delle fonti considerate, risalenti al periodo classico, le cui espressioni indaga sul piano strettamente storico alla luce del pensiero originario ad esse sotteso, lontano da impostazioni dogmatiche che la dottrina moderna ha prospettato assumendo a loro fondamento la trasformazione di concetti classici dovuta a mutamenti di regime introdotti da Costantino e ripresi con modifiche da Giustiniano.
Si tratta di una attenta ricostruzione, su base esegetica, del pensiero della giurisprudenza classica in ordine alla realtà che si trova descritta in testo di Ulpiano, riferente l’opinione di Aristone con richiamo altresì a Nerazio e Pomponio, come negotium mixtum cum donatione. Con sottilissime argomentazioni e approfondita analisi di ogni sfumatura del pensiero giurisprudenziale, in quanto diretto a fornire sostegno alla soluzione dei casi concreti via via presentatisi nella prassi e col tempo non alieno dal procedere in parallelo a modifiche introdotte da normazione imperiale, l’autore perviene a seguire l’evolversi di quel pensiero nel passaggio da giurista a giurista in aderenza a differenti loro modi di impostare il problema sulla base di oggettiva o soggettiva interpretazione dell’intento delle parti, in ordine alla realtà che con quella espressione si intendeva ricomprendere. Ne deriva un avvincente spaccato di pensiero giurisprudenziale che passa da soluzione avanzata per un caso specifico a soluzioni aperte a più ampia casistica, rispondenti a regime di ius controversum che in età severiana tende tramite Ulpiano ad essere superato dalla proposta di soluzione intermedia. L’interesse in sé e per sé eminentemente storico della esemplare ricerca, condotta dall’autore con piena padronanza di metodo e con l’apporto di vasta cultura, non manca di pervenire a correggere l’erronea convinzione, diffusa nella moderna dottrina civilistica, che la soluzione giuridica prospettata per il fenomeno ancora oggi designato con l’espressione, presente nelle fonti romane, di negotium mixtum cum donatione si basi su di una costruzione teorica di fusione in vario modo tra cause negoziali, attribuita al pensiero classico ma in realtà poggiante soltanto sul profondo mutamento della nozione stessa di donazione a seguito delle innovazioni del suo regime introdotte in età postclassica.
Tratto dalla rivista "Studia et Documenta" n. 1/2010
(http://e-lup.com)