Il coraggio di essere liberi
(Elefanti bestseller)EAN 9788811675785
Non è superfluo ricordare che, tra le tante pubblicazioni di Vito Mancuso, i testi che lo hanno reso noto e fatto conoscere in modo più ampio e approfondito i temi della teologia al vasto pubblico sono stati L’anima e il suo destino, del 2009 e Io e Dio. Una guida per i perplessi, del 2011. Anche se una considerazione particolare va data anche a Per amore. Rifondazione della fede, del 2005. Tali opere esprimono la Weltanschauung del teologo Mancuso ed evidenziano come il notevole successo di questi suoi scritti sia dovuto soprattutto alle tematiche che affronta, quali l’eterna lotta tra il bene e il male, l’anima, il dolore e la sofferenza, Dio, la creazione, la disabilità e il peccato originale, la libertà e la grazia: libri che si propongono di analizzare questi temi offrendone una cosiddetta interpretazione “eterodossa” sono bene accolti dalla critica laica e dai lettori.
Nel suo ultimo saggio, Il coraggio di essere liberi, l’autore propone a una più ampia platea possibile una riflessione sulla libertà e come si fa per essere veramente liberi. Afferma: «In questo piccolo saggio intendo affrontare la questione in modo concreto interrogandomi non tanto sulla libertà come concetto, quanto sull’essere liberi come condizione dell’esistenza reale» (p. 13). Interessante è l’impostazione del suo lavoro. Egli adotta una strategia accattivante che si rivela come filo conduttore per tutto il testo; inizia il suo scritto con un Prologo-sul palcoscenico e termina con il Congedo dal palcoscenico; tra il Prologo e l’Epilogo si articola un dramma filosofico in quattro capitoli avendo al centro un attore (l’uomo) che si interroga sulla possibilità di essere veramente libero.
Nel primo capitolo, dal titolo Natura, articolazione e posta in gioco dell’essere liberi, perno centrale della sua riflessione è il concetto di persona che rimanda alla maschera greca, e l’individuo che non si può dividere; in questo rapporto persona-individuo si inserisce la libertà. Il percorso di libertà che ogni persona deve intraprendere è caratterizzato da momenti di luce e di oscurità e richiede un coraggioso lavoro di libertà-liberazione da ogni possibile sistema che ci inquadra e ci costringere a vivere da ipocriti (attori). Il primo passo verso la libertà è la presa di coscienza dei sistemi che costringono la persona a vivere da attori. Perciò, il primo movimento da mettere in atto è, secondo l’autore, una libertà-da orientata a una libertà-per (secondo movimento). La libertà-per che il nostro teologo intende come il vivere per un ideale, che permette di trasformare le voglie «in desiderio orientato», i «capricci in sicurezza del gusto», le «idiosincrasie in serena capacità di valutazione», e di giungere alla fine «ad un io liberato dall’egoismo-egoità diventato maturo centro di relazioni […], tale libertà-per non deve però mai eliminare l’autonomia della libertà-da che la deve solo orientare». Anzi, la deve fecondare. «Se ci si spende per qualcosa di più grande di sé, non è per essere svuotati, bensì per esserne arricchiti e vivificati, liberati dalle anguste pareti dell’ego» (p. 24). Mancuso è per l’esistenza della libertà in quanto non si è «né attori che recitano un copione scritto da un altro (sia esso Dio oppure la Natura), né autori-registi-attori di un testo autoreferenziale […] ma qualcosa che sta nel mezzo e che è possibile denominare libera volontà di armonia relazionale. In una parola sola, amore» (p. 25).
Nel secondo capitolo, intitolato Sulla possibilità di essere liberi, Mancuso affronta il difficile rapporto tra necessità e libertà, tra determinismo e indeterminismo attraverso l’itinerario proposto da filosofi del calibro di Cartesio e Spinoza, ma anche di scienziati come Einstein e Bohr. È proprio da questa dialettica ininterrotta tra determinismo e indeterminismo che nasce la libertàper. Questa situazione mostra, secondo Mancuso, che già nella “struttura stessa della materia” c’è l’antinomia, che esprime la “condizione strutturale” della mente che si rapporta all’essere, per cui, come avviene per la fisica e la chimica, i concetti di libertà e di necessità, inconciliabili tra loro, interpretano entrambi una dimensione della realtà in modo veritiero. «Quello che è veramente decisivo però è concepire la libertà non in contrapposizione al mondo, ma come il frutto più bello del lavoro del mondo» (p. 65). Una profonda attenzione l’autore dedica in questo capitolo al particolare e delicato rapporto tra libertà umana e grazia divina. In questo contesto egli cerca di capire in che modo la grazia agisce, nella consapevolezza che nella questione sulla libertà la posta in gioco è l’idea di umanità che vogliamo coltivare e, più in generale, la visione complessiva del mondo. Condizione fondamentale, secondo il nostro pensatore, è avere fiducia nel lavoro della libertà che può arrivare a desiderare il bene e la giustizia per se stessi, se risente dell’azione di Dio, che Mancuso identifica come energia che viene “da un altro luogo” (cf. Simone Weil) e che si chiama “grazia”. Quest’opera nella direzione della vita interiore si percepisce quando si è soli con se stessi in quella dimensione che secondo l’autore è il principio cosmico ordinatore. «Ecco l’azione della grazia. Il mondo divino viene percepito dall’anima come la realtà più degna cui ci si possa dedicare, la più alta, la più nobile, l’unica degna di sé. L’anima ne rimane affascinata e, liberamente, consacra se stessa» (p. 74).
Il terzo capitolo, dal titolo Definizione ed educazione alla libertà, rimanda al «principio di indeterminazione» in quanto ci sono coloro che sostengono che la libertà è reale, altri, al contrario, che è un’illusione. Attraverso il caos visto come protagonista di fenomeni contrastanti, è condizione necessaria per giungere alla pienezza della libertà ma ciò determina anche la consapevolezza della mente che sa di essere cosciente e vuole riconsiderare la azioni compiute e cambiare il proprio agire. L’ambito nel quale agisce questo processo, secondo l’autore, è l’etica. Afferma, infatti: «Questa trasformazione o conversione dell’ego è il lavoro spirituale, è la meta verso cui gli esercizi spirituali in quanto esercizi di libertà possono condurre» (p. 93). Il «pensare con il cuore», nel processo di autoconsapevolezza della possibilità di essere liberi, esprime, secondo Mancuso, una profonda sapienza in cui il disequilibrio si dissolve e si raggiunge la pace interiore.
Il capitolo quarto, Nel teatro del mondo: questioni di stile, proprio come in una rappresentazione della vita, l’autore individua una più grande armonia che deve essere curata e disciplinata affinché si superi l’individualismo per accogliere una più equilibrata visione del mondo che gli consentirà di raggiungere una felicità che il teologo definisce «letizia». Afferma: «La gioia intima e serena di chi si raccoglie in se stesso […] ed ha il mezzo sorriso dei grandi spirituali, che scaturisce dall’aver detto sì a qualcosa più grande e più importante, chiamato verità, giustizia, amore, bellezza, bene, sommo bene» (p. 111). In questo contesto si inserisce il problema del male e il dolore che devono essere visti come prospettiva da cui guardare il mondo; che la vita va osservata con onestà nel suo insieme comprendendo anche il negativo; che il male, ridotto a quello fatto deliberatamente, può essere spiegato considerando la sua capacità di seduzione sull’anima umana, come fenomeno fisico che segue la logica della natura e che coinvolge anche l’essere umano che ha in sé il vertice sia del logos che del caos. «La nostra libertà», afferma Mancuso, «mostra di compiersi quando si accorda a una logica preesistente, quella della relazione armoniosa, mentre l’essenza del male consiste nel disaccordo con tale logica. Tale disaccordo è dovuto all’inevitabile logica del caos quando si tratta di male fisico e a una sostanziale superba ignoranza quando si tratta di male morale» (p. 127). Ultimo momento sottolineato dal teologo è la riflessione sulla morte che viene vista come affrancamento da ogni soggezione. Sul senso della morte l’autore demanda alla visione del mondo di ciascuno; quanto a lui, concorda col pensiero di Ludwig Wittgenstein, pronunciato sul fronte della prima guerra mondiale, per il quale «credere in Dio vuol dire comprendere la questione del senso della vita, vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto e che la vita ha un senso» (p. 135).
Il teologo Mancuso non crede che il mondo esista per gli esseri umani, né che tra Dio e gli uomini vi sia un rapporto diretto; riconosce invece l’esistenza di una tensione dell’essere verso una progressiva organizzazione che genera una crescita della complessità (cf. p. 127). «Siamo qui», afferma, «per interpretare liberamente la logica dell’armonia relazionale sotto forma di bene, di giustizia, di bellezza. Quando nei diversi sistemi di cui facciamo parte si raggiunge l’armonia, il nostro essere si riempie di compiutezza e nasce dentro di noi una particolare dolcezza interiore. Personalmente non conosco nulla di più nobile e di più vero per l’esistenza di un essere umano» (p. 144). L’epilogo del nostro testo, Congedo dal palcoscenico, si struttura con l’attore senza maschera e in conversazione con l’autore che asserisce: «Io penso che tutto alla fine sia una questione di arte. Anche la libertà è arte, è una particolare manifestazione artistica: quella dell’arte di vivere» (p. 145), Infatti, secondo Mancuso l’arte è assaporare la meraviglia di essere un corpo vivente, giungere alla libera consapevolezza di ciò, e generare bellezza dentro e fuori di noi in accordo con la legge cosmica dell’armonia, è un’esperienza per la quale vale la pena esserci. Per questo l’autore invita a non tradire «le leggi dell’armonia, della proporzione, della prospettiva, della composizione, leggi che nell’esistenza di tutti i giorni si dicono come giustizia, rispetto, buona educazione, equità, cura, sorriso» e che ciò vuol dire introdurre armonia nell’immenso concerto del mondo e generare bellezza che è anche bontà (cf. p. 148). Alla fine del Congedo l’attore conclude: «A questo punto non ho timore di dirvi: amici, non vendiamoci! Senza maschere e costumi, senza casacche, uniformi, divise, camici, abiti di cerimonia, e senza statuti, contratti, giuramenti, regolamenti, senza queste e mille altre bardature non possiamo vivere, è risaputo: tutti dobbiamo recitare, l’impone l’esistenza, io ho questo costume, voi il vostro. Ma questo non significa vendersi: servire sì, vendersi mai. Il mondo esiste per generare libertà e noi dobbiamo essere all’altezza di tale destinazione. Siamo qui per essere liberi» (p. 48).
A Mancuso certamente non si può non riconoscere una capacità di scrittura che rende piacevole e scorrevole la lettura, nondimeno gli si attesta una vasta cultura che spazia dalla teologia, alla filosofia alla scienza. Queste caratteristiche giovano certamente al successo del nostro pensatore. Si consiglia la lettura a un pubblico che ha un back-ground culturale strutturato e profonde conoscenze filosofico-teologiche in quanto le tesi presentate dal nostro pensatore si inoltrano in territori nuovi e inesplorati.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 2-4/2017
(http://www.pftim.it)
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