L'edizione raccoglie i testi dei quattro Vangeli, degli Atti degli apostoli e del libro dei Salmi, consentendo di associare l'esigenza di accedere agilmente ai passi più consultati della Sacra Scrittura alla possibilità di usufruire dei commenti e delle note della Bibbia di Gerusalemme.
PRESENTAZIONE
di Gianfranco card. Ravasi
Una lampada su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo, una spada che penetra nella carne: è con questi tre simboli che la parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia. Il Salmo 119, monumentale cantico della legge-parola del Signore, vede l'esistenza dell'uomo come una strada avvolta nelle tenebre. Ecco, però, una luce che sfavilla: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Il profeta anonimo, cantore della liberazione di Israele dalla schiavitù «lungo i fiumi di Babilonia», chiamato convenzionalmente Secondo-Isaia, concludendo il suo libretto di oracoli disegna il panorama della Terra Santa: una luce che abbaglia, una distesa arida e screpolata e solo qualche magro ritaglio di terra coltivata. Ma a primavera e in autunno su questo scenario di fuoco e di caldo si stende il velo della pioggia e la terra è percorsa da un brivido di vita. Così è la storia di un popolo morto, fecondato dalla parola divina: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,10-11).
Quella solenne e raffinata omelia della Chiesa delle origini che è la Lettera agli Ebrei vede ramificarsi all'interno del popolo di Dio la stessa pericolosa tentazione che aveva colpito Israele nel deserto sinaitico, la tentazione dello scoraggiamento, dell'inerzia, della nostalgia. Ecco allora la provocazione violenta di una spada che penetra e sconvolge: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).
La Bibbia che ora apriamo deve, quindi, trasformarsi in lampada, in acqua viva, in spada. Ma perché avvenga questo, è necessario che si attui uno dei motti cari a chi si impegna alla conoscenza e alla diffusione della Bibbia: «Non basta possedere la Bibbia, bisogna anche leggerla; non basta leggere la Bibbia, bisogna anche comprenderla e meditarla; non basta comprendere e meditare la Bibbia, bisogna anche viverla.
Ora, la comprensione profonda della parola di Dio — una parola incarnata in una storia e in uno spazio precisi — è simile a una conquista, a un assedio nei confronti di una cittadella fortificata nella quale si aprono molte brecce, ma il cui centro sembra restare inviolato e misterioso. Lo scrittore medievale Ruperto di Deutz parlava di una lotta corpo a corpo col libro sacro, simile a quella che
Giacobbe dovette sostenere in quella notte oscura lungo le rive spumeggianti del fiume Iabbok (Gen 32): «Dolce lotta, più gioiosa di ogni pace». Qual è la scoperta che ci attende? Se sfogliamo le pagine della Bibbia è più facile che ci incontriamo con rumori di guerre che non con la pace di un eremo silenzioso; è più facile che vediamo una terra striata dal sangue e dalle ingiustizie che non il segno dorato di un mondo celeste perfetto; è più facile che nelle preghiere dei Salmi ci scontriamo con l'eterno grido di protesta dell'uomo sofferente («Perché Signore? [...1 Fino a quando starai a guardare?») che non con la serena contemplazione della natura; è più facile che ci imbattiamo nel brusio delle strade e della vita quotidiana che non nelle altissime intuizioni della mistica. La Bibbia è, quindi, l'intreccio tra Dio e la nostra storia: la pasqua del Cristo nasce dalla crocifissione, la vita sboccia dalla morte. Lo scopo della Bibbia non è quello di celebrare un Dio lontano, ma un Dio incarnato che salva la nostra storia: «La sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza» (Eb 3,6).
Proprio per l'incarnazione della rivelazione biblica, questa edizione della Bibbia non è fatta solo di un nudo testo. Certo, al centro c'è la Parola, il Libro per eccellenza, offerto nella nuova versione curata dalla Conferenza episcopale italiana e detta comunemente Bibbia della CEI (BC, editio princeps del 2008). Ma questo testo è accompagnato da una guida, costituita da una delle più alte espressioni dell'esegesi contemporanea, la celebre Bible de Jérusalem (BJ) nella nuova versione del 1998. Nota in tutto il mondo attraverso molteplici traduzioni, questa Bibbia commentata è opera dei migliori esegeti cattolici francesi. Essi si sono idealmente e spesso realmente connessi alla città santa della Bibbia il cui nome, come dice il curioso anagramma ebraico di Ez 48,35, è YHWH «hammali», «il Signore è là». In questa «casa di Dio tra gli uomini» essi hanno preparato introduzioni, commenti, titoli esplicativi, referenze marginali ai passi paralleli. I testi, stesi sempre in modo piano ed essenziale, riflettono in filigrana un'estrema ricchezza di dati, rivelando sempre una grande finezza letteraria e teologica. L'edizione italiana che ora presentiamo offre anche alcune note di critica testuale preparate da un'équipe di biblisti italiani: esse hanno lo scopo di segnalare i casi in cui la BC sceglie una «lezione» e quindi una versione diversa rispetto a quella della BJ, dando le motivazioni per la nuova proposta.
Con questa guida, la Scrittura diventerà anche testo letterario fragrante, espressione di poesia, di intuizioni altissime e dei mille segreti dell'esistenza. Con questa guida la Scrittura diventerà in modo più limpido parola di Dio, «saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale» (Dei verbum, 21). Gregorio Magno in una lettera giustamente famosa indirizzata a un laico, il medico dell'imperatore, scriveva: «Cerca di meditare ogni giorno le parole del tuo Creatore. Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio perché tu possa più ardentemente desiderare i beni eterni e con maggior desiderio la tua anima si accenda di amore per Dio e per il fratello» (Epist. 31,54).
La Bibbia e la comunità generante
di Fra' Paolo Garuti o.p.
Docente di Nuovo Testamento École biblique, Gerusalemme — Angelicum, Roma La cicogna nel cielo conosce il tempo per migrare, la tortora, la rondinella e la gru osservano il tempo del ritorno; il popolo mio, invece, non conosce il giudizio del Signore. Come potete dire: «Noi siamo saggi perché abbiamo la legge del Signore»?A menzogna l'ha ridotta lo stilo menzognero degli scribi! (Ger 8,7-8). Il cruccio filologico, il bisogno di confrontare testo con testo, d'entrare nei meandri dell'interretazione, è vecchio quanto la Scrittura. Mosè spezzò le tavole vergate dal dito di Dio, perché chi aveva adorato il vitello non ne facesse un nuovo feticcio. Es 34,27 28 afferma che le tavole nuove, quelle che vennero chiuse nell'arca, le scrisse Mosè con la sua mano d'uomo. Anche Gesù, un giorno, si burlò d'un raffinato cultore del testo: Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?» (Lc 10,25-26). La seconda domanda non è oziosa ripetizione della prima: la trascrizione manoscritta, non sempre accurata, non sempre onesta, obbligava sin dalla scuola i futuri scribi e dottori a correggere, comparandoli, i manoscritti in loro possesso. La critica del testo biblico, dunque, nasce già nella Bibbia, nei dubbi di Geremia sul menzognero calamo dei copisti, in Gesù che constata l'enorme distanza fra lo scritto e la lettura. Anche nella storia della Chiesa, il Grande Codice fu considerato cava da cui estrarre versetti infallibili perché rapiti al loro contesto e denucleati della loro significazione, o unico orizzonte in cui circoscrivere il pensiero su Dio e sul creato. Forse per questo, malgrado l'acume filologico del Padri della Chiesa, un sospetto di razionalismo distruttivo accompagna da sempre lo studio critico della Scrittura.
Lagrange: interrogare criticamente il testo
Dobbiamo a Leone III e alla Providentissimus Deus (1893) l'apertura ufficiale dell'esegesi cattolica all'orizzonte critico dei tempi moderni, ma il terreno era stato preparato da studiosi come Marie-Joseph Lagrange. Il celebre domenicano, che già nel 1890 aveva fondato a Gerusalemme una Ecole pratique d'études bibliques, fu anticipatore e incarnazione del pensiero che trovò una prima espressione in Leone XIII e fu riconfermato, cinquant'anni dopo, da Pio XII, nella Divino afflante Spiritu: il testo non vive solo del testo, né delle letture e sistematizzazioni ideologiche che se ne possono trarre, uve anche della storia umana, dell'ambiente etnografico, geografico, fisico in cui ha visto la luce. Tuttavia, Lagrange, che pure dovette piegarsi a tutte le esigenze e ai rischi della ricerca filologica, archeologica, documentaria, non fu mai maestro del sospetto.
Non c'è Bibbia senza comunità generante. Lagrange volle stabilire la sua scuola a Gerusalemme, secondo una metodologia caratteristica del tempo che, a seguito dell'appropriazione coloniale dell'Oriente ottomano, vide nascere e moltiplicarsi gli scavi archeologici e gli studi etnografici. Il libro era nato in quella terra, e lì doveva essere studiato, lontano dalle aule europee, spesso travagliate da conflitti politici o confessionali. Lagrange era anche un frate, e stabilì la sua scuola in un convento. Non so quanto se ne rendesse conto, ma la sua intuizione fu generatrice di due vere e proprie chiavi di lettura del testo, destinate a lunga durata. In effetti, non c'è Bibbia senza comunità generante. Quello che chiamiamo Antico Testamento è, in gran parte, opera dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme. Si perfeziona nelle sue aule la Torah , ovvero i cinque rotoli della Legge che descrivono minuziosamente il culto e dettano — intramezzato al racconto delle origini del mondo e del popolo — il «Codice di santità». Parlano della storia e del culto anche i Nevyim, i libri dei profeti, molti dei quali (basti ricordare Isaia, Geremia, Ezechiele) sono sacerdoti. Solo alcuni degli «scritti», i Ketuvim, non originano nel tempio, che resta tuttavia protagonista del maggiore di essi, il libro dei Salmi. L'Antico Testamento è, dunque, il frutto della meditazione sacerdotale, protratta lungo alcuni secoli in una città santuario: Gerusalemme. Solo dopo la caduta e la distruzione della città il testo passò agli scribi e alle scuole dei commentatori, che l'hanno incessantemente attualizzato nelle diversissime situazioni create dalla diaspora. Il Nuovo Testamento ha origini più popolari, si tratta di racconti trasmessi a voce sulle prime e di lettere in buona parte occasionali. Le Chiese che lo produssero non avevano templi o sacrifici: i primi scrittori cristiani conoscevano meglio le stive delle navi romane e le piste sassose che gli atri di una qualsiasi delle curie del tempo. Eppure, in buona misura, anch'esso cela l'opera di almeno tre comunità di credenti, determinate a conservare memoria dell'Evento: l'équipe di missionari collaboratori e successori di Paolo, la «scuola giovannea», i cristiani di Gerusalemme raccolti attorno a Giacomo o alla casa di Betania. Forse bisognerebbe aggiungere alla lista i nazareni, cristiani di Galilea e della Siria meridionale. Si tratta sempre, ad ogni modo, di comunità che formano lo scrivente, ne motivano l'opera e ne trasmettono il testo. L'individuo, l'autore umano, è evidentemente indispensabile, ma nessuno può negare che (a parte Dio) la Bibbia non ebbe un unico autore.
Un convento e la comunità di studio. Una comunità, una realtà alla quale si arriva assieme (con-ventus) dalle più diverse esperienze, non è certo l'unico ambito in cui studiare la Scrittura, è ovvio, ma è un ambito privilegiato: l'interazione fra i testi, fra le diverse prospettive e i diversi libri della Bibbia, diviene interazione fra persone, poiché — in certo senso — lo specialista di questo o quel libro intanto, l'ha scelto come campo di ricerca perché lo sentiva consOno; lo incarna perché si è pian piano assimilato alla porzione di mondo e di testo che gli è dato studiare; infine, fa egli stesso scuola e comunità quando altri, studenti o colleghi, vengono a cercarlo per parlare con lui. La comunità dell'École biblique non è solo il convento domenicano che la ospita e la anima: è una sorta di scuola socratica convivenza temporanea fra donne e uomini, religiosi e laici, credenti o non credenti, delle più varie fedi e idealità, che si ritrovano per capire un luogo e un testo. Chi abbia letto i due volumi che, a cent'anni dalla fondazione, ripercorrono la storia ria dell'École (traduzione italiana Cent'anni di esegesi nella collana «Supplementi alla Rivista Biblica», EDB 1992), può ben rendersi conto di quanto l'esegeta di oggi si senta come l'onda che increspa per un attimo, ma anche se piccola spinge in avanti le acque di un grande torrente. Se di questo primo effetto dell'intuizione di Lagrange solo l'apertura oltre gli stretti confini del clero cattolico era all'epoca imprevedibile, il secondo effetto somigliava a un oscuro orizzonte: Gerusalemme, insanguinata e indolente, sarebbe diventata luogo d'incontro e di conflitto fra le religioni che a fine ottocento erano un dato di cultura, in pieno novecento sarebbero parse morenti e ora resuscitano brandite dai professionisti dell'odio e dagli utopisti comunque motivati. Leggere in tale contesto la Bibbia, e altra letteratura ad essa vicina o da essa derivata, è indispensabile per capirne gli effetti, siano essi postivi e salvifici o negativi, in molti angoli del mondo.
Dai libretti il Libro. Questo intuì Lagrange, ai tempi della Providentissimus Deus. I suoi seguaci, dopo che in pieno conflitto mondiale Pio XII aveva appoggiato e incoraggiato lo studio scientifico della Scrittura anche laddove si faceva teologia, pensarono di mettere a frutto l'esperienza dei primi 50 anni dell'École, facendosi promotori d'una nuova edizione della Bibbia in lingua volgare, commentata da specialisti. Il progetto prese forma appena finita la guerra: fra il 1945 e il 1955 i libri della Scrittura furono pubblicati in fascicoletti, affidati ai più apprezzati specialisti francofoni in circolazione, corredati di un'ampia introduzione, di note esplicative e di un apparato di passi paralleli. Il formato era molto simile a quello dei volumetti su cui si studiavano i classici nelle scuole; le note testimoniano, spesso, d'una fase di passaggio, richiamando il testo latino, ancora il più conosciuto dal clero, ma suggerendo altrettanto spesso la molteplicità di letture e interpretazioni offerta dalla tradizione manoscritta come dal lessico, quando ricollocato nel suo contesto originale. La Bibbia in fascicoli rappresentava un'ulteriore novità: il Libro tornava a essere biblia, tanti libri, una biblioteca. Ciascun autore e ogni opera potevano così brillare di luce propria, mostrare la loro personalità originale e gli eventuali limiti, dettati dal tempo e dall'occasione di scrittura. Le introduzioni non nascondevano certo la storia redazionale del libro, le eventuali riverniciature, i problemi posti dalla tradizione manoscritta, ma cercavano anche d'enuclearne il messaggio teologico e il ruolo nel progresso della rivelazione. L'apparato dei passi paralleli creava una rete intertestuale, facendo sì che per un gioco di richiami e d'allusioni i libri parlassero fra loro e, in particolare, il Nuovo Testamento apparisse, a chi era abituato a teologie ormai distanti dal mondo semitico, radicato profondamente nell'Antico. Nel 1956, però, si pensò di ricompattare il Grande Codice e i fascicoli furono adattatier uniti in un solo volume. Sulle prime l'opera assunse il nome più scontato La Sainte Bible poi ci si rese conto che essa doveva troppo alla scuola e alla città in cui era nata e si chiamò La Bible de Jérusalem. Dopo il successo ottenuto da questa prima edizione, quasi tutte le Bibbie tradotte nelle tante lingue moderne adottarono lo stesso quadro editoriale: introduzioni, testo, note e passi paralleli. Queste Bibbie cercarono di diversificarsi nell'indole della traduzione (più o meno vicina al testo antico più o meno accattivante e prossima al parlato), delle note (pastorali, liturgiche, morali) o delle forme tipografiche, ma restarono sempre, per così dire, figlie della Bibbia di Gerusalemme. Gli anni sessanta conobbero il Concilio, la riforma della liturgia, notevoli progressi nello studio dei tempi e degli scritti antichi e, soprattutto, un'accresciuta coscienza dei fenomeni linguistici e ideologici.. questi fattori spinsero a una radicale revisione de La Bible de Jérusalem nei primi anni settanta. Il dialogo con gli altri cristiani e il Concilio, in particolare avevano evidenziato che non si sarebbe più potuto fare una teologia che non fosse, in tutto o in parte, una teologia biblica. Per questo la revisione del 1973 assunse le caratteristiche d'una vera e propria riedizione: ampie note, soprattutto a commento del Nuovo Testamento, disegnavano brevi sommari, accompagnando una parola attraverso i libri della Bibbia. Queste note di sintesi erano segnalate da una crocetta a fianco del richiamo dei versetti a commento dei quali erano collocate. Un'altra rete, una sorta di mappa viaria attraverso il Grande Codice.
Fu questa la Bible de Jérusalem le cui introduzioni, note, quadri cronologici e riassuntivi e indici tematici furono tradotti in italiano, e pubblicati a commento della traduzio ufficiale CEI nella Bibbia di Gerusalemme delle EDB. Tradotta in dodici lingue e pubblicata in una quarantina di paesi, la Bible de Jérusalem del 1973 ha rappresentato per moltissimi lettori e per molte comunità o movimenti lo strumento più completo e maneggevole per entrare nell'universo e nel testo della Scrittura.
L'aggiornamento necessario. Tuttavia, col passare degli anni e l'affievolirsi della speranza di costruire una teologia biblica oggettiva, sistematica e onnicomprensiva, le note di sintesi furono percepite come troppo debitrici all'ideologia del commentatore e poco accomodate al dettaglio del testo. Così, dopo un ventennio, l'École biblique mise in cantiere una nuova revisione della Bible de Jérusalem. La critica dell'Antico Testamento, del Pentateuco in particolare, era allora nel pieno della bufera: l'antica teoria delle quattro tradizioni, pur ancor solida nell'insieme, divenne poco utile per giudicare dell'origine e del messaggio dei singoli passaggi; la figura del profeta, un po' maestro un po' rivoluzionario, andava ricollocata nell'ambiente templare, ma, soprattutto, la datazione di alcuni testi ritenuti di venerabile vetustà andava rivista. Quanto al Nuovo Testamento (chi scrive fu arruolato a collaborare alla sua revisione causa la scomparsa del grande p. Spicq), decidemmo di recuperare lo spazio di alcune delle note di sintesi di cui s'è detto sopra, per far meglio risaltare la personalità del singolo libro o autore. Per certi aspetti, è stato un ideale ritorno ai fascicoli: s'è cercato di presentare ogni sezione come se il lettore abbordasse per la prima volta e separatamente questo o quel vangelo
Hanno trovato così largo spazio nuove critiche che, come era già avvenuto nelle precedenti edizioni, ma in forma più matura, mostrano e cercano di risolvere i problemi storici, filologici, di una missione testuale, per poi affrontare i nodi culturali e teologici, con grande attenzione alle odierne ricerche sul linguaggio. È questa l'edizione le cui note, introduzioni, quadri esplicativi e indici vengono oggi tradotti in italiano, per accompagnare la nuova traduzione della CEI.
La stessa Bibbia nel flusso delle parole. Quando apparve alla fine degli anni novanta, col titolo La Bible de Jérusalem - Cerf, non mancarono le polemiche, compresa un'acida recensione che l'accusava di non aver neppure l'imprimatur. Questo fu subito richiesto e concesso dal cardinal Pierre Eyt da Roma. Appurato che si tratta di una Bibbia leggibile e cattolica, non resta che da chiedersi se lo sarà anche da coloro che pensano che un'ostilità sorda e solo di rado superata separi fede e critica intelligente. In questa edizione, ma in parte questo era già chiaro nella precedente, si è tenuto conto del fatto che non solo i manoscritti hanno una storia di umana fatica, ma anche i libri biblici, che tali manoscritti s'incaricano di trasmettere, ne hanno una. Abbiamo dei libri «doppi», due redazioni di lunghezza e fattezze diverse. È il caso di Geremia, o degli Atti degli Apostoli. Abbiamo testi manifestamente riscritti, o doppioni all'interno dello stesso libro: soprattutto i brani legali, come è ovvio, paiono essere stati modificati per adeguarli a nuove situazioni. In altri termini: il testo canonico è come stretto da una parte dalla storia della sua redazione, delle sue varie riscritture, dall'altra dalla storia della sua trasmissione manoscritta.
La fatica del tradurre. Fa parte della tradizione (nel senso etimo di «consegna») anche l'edizione in lingua moderna, corredata di note spesso più leggibili del testo, anche tradotto, perché più vicine alla nostra sensibilità. Questo impegna enormemente il redattore dei commenti e, in misura minore, il revisore ingaggiato nelle edizioni successive. Quest'ultimo è chiamato a una doppia fedeltà creativa: fedeltà al testo in lingua originale, che bisogna far uscire dall'alveo d'una civiltà lontana e delle traduzioni canonizzate dall'uso perché risulti intelligibile nei decenni a venire, e fedeltà al primo commentatore, o almeno al suo metodo, pur tenendo conto dei progressi scientifici e della propria indole personale. Ma, anche attraverso tanti passaggi, la Bibbia è la Bibbia da sempre: una nuova edizione, una revisione delle note o anche della metodologia di lettura, serve a capire sempre meglio e a presentare nei termini più chiari quel testo, non un altro. Anche le glosse dei bizantini, o le miniature dei medioevali, erano delle note e richiamavano il messaggio del Grande Codice, affiancando il testo. Al nostro tempo, tanto sensibile alla storia, è opportuno mostrare che la Parola corre nel flusso delle parole che intessono un brano o lo generano, lo trasmettono, lo commentano, lo traducono, Se la prima è la dimensione sincronica incentrata sulla lettera, la seconda è la dimensione diacronica che coinvolge, lungo i secoli, generazioni di lettori.
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Giulio Giolfo il 24 aprile 2016 alle 14:03 ha scritto:
Tascabile, pratico, utilissimo per lo studio come per la meditazione personale, con tutti i commenti della Bibbia di Gerusalemme. Lo consiglio in particolare a coloro che desiderano portare ogni giorno con sé il Vangelo e i Salmi per pregare.
Giovanni Basile il 17 agosto 2018 alle 21:56 ha scritto:
Mi associo al commento sopra. Libretto pensato per una lettura quotidiana, anche breve, e meditare. Tascabile praticissimo da portare con sé e da sfogliare. Si tratta di un estratto della famosa Bibbia di Gerusalemme e, pertanto, non credo che ci sia da aggiungere alcunché.