In versione agile, con copertina in plastica, il volume fornisce in lingua italiana il CIC e il CCEO, ovvero i codici che regolano il diritto della Chiesa cattolica rispettivamente di rito latino e di rito orientale. Si tratta di uno strumento di grande utilità, non solo per gli studiosi, ma per chiunque voglia approfondire il proprio sguardo su una Chiesa «a due polmoni», come ebbe a dire Giovanni Paolo II.
PRESENTAZIONE
di Adolfo Longhitano
RESPIRARE CON I DUE POLMONI DELL'ORIENTE E DELL'OCCIDENTE
La decisione di pubblicare in un solo volume e con reciproci riferimenti il Codice di diritto canonico e il Codice dei canoni delle chiese orientali assume un significato particolare che va oltre gli aspetti concreti di una iniziativa editoriale. A ragione può essere considerata come un ulteriore avvicinamento di due percorsi legislativi, nati in tempi e in contesti diversi, portati a termine fra tante difficoltà e diffidenze, che hanno stentato a riconoscere la propria complementarietà nel progetto del corpus legislativo dell'unica Chiesa cattolica.
La proposta di recepire nella Chiesa latina e nelle Chiese orientali cattoliche una raccolta di leggi conforme al modello del codice napoleonico era stata fatta a partire dal concilio Vaticano I (18h91870). Per la Chiesa latina il suggerimento fu accolto e la sua attuazione sul piano operativo fu avviata il 19 marzo 1904, quando Pio X istituì una commissione di cardinali e una di consultori per elaborare e presentare i diversi progetti. Dopo tredici anni di intenso lavoro, il primo Codice di diritto canonico per la Chiesa latina fu promulgato da Benedetto XV il 27 maggio 1917.
L'iter per elaborare un codice delle Chiese orientali cattoliche fu più complesso e incontrò non poche difficoltà. Solo nel 1927 — quando il codice della Chiesa latina era stato promulgato da dieci anni — Pio XI manifestò il proposito di dotare le Chiese orientali di un analogo strumento. Tuttavia i lavori per la codificazione della disciplina canonica orientale ebbero inizio nel 1929 con l'istituzione di una commissione cardinalizia, che nel 1935 elaborò gli schemi da inviare ai vescovi delle Chiese orientali per avere il loro parere.
La redazione dei canoni ebbe inizio lo stesso anno; ma, invece di pubblicare il codice nella sua interezza, si ritenne opportuno procedere a una promulgazione per parti: i canoni riguardanti il matrimonio furono promulgati nel 1949; quelli relativi ai processi nel 1950; nel 1952 fu la volta dei canoni sui religiosi, sui beni temporali e sul significato delle parole; nel 1957 i canoni sui riti orientali e le persone. Chi prende in esame le parti promulgate del primo codice delle Chiese orientali può facilmente notare che i suoi canoni ricalcano il codice della Chiesa latina del 1917, scelto dalla commissione come punto costante di riferimento. Il primo codice delle Chiese orientali cattoliche non fu portato a termine perché, dopo l'indizione del concilio Vaticano II (1961), la commissione ritenne opportuno sospendere i lavori.
Conosciamo la svolta operata nella Chiesa dal concilio Vaticano II. Le innovazioni non riguardarono tanto il piano disciplinare, quanto quello dottrinale. Il decreto Orientalium Ecclesiarum (EV 1/457-493) riconobbe alle Chiese orientali una specifica identità e autonomia, che era necessario tradurre anche sul piano normativo. A questo punto, Paolo VI, invece di portare a termine i lavori avviati dalla commissione prima del concilio, decise di istituire una nuova commissione per elaborare ex novo un codice delle Chiese orientali rispondente alle istanze del concilio Vaticano II.
Se poniamo a confronto l'iter seguito per la revisione del codice della Chiesa latina con quello per la revisione del codice delle Chiese orientali è possibile notare un diversa cadenza: la volontà di rivedere il codice di diritto canonico latino fu manifestata nel 1959, contestualmente al primo annunzio di indire un concilio ecumenico, e i lavori furono avviati concretamente nel 1965 dopo la chiusura del concilio Vaticano II; la commissione per la revisione del codice delle Chiese orientali cattoliche fu istituita il 10 giugno 1972 e nel 1974 stabilì i principi direttivi del suo lavoro(EV 5/114-152).
Mentre la commissione era impegnata nella revisione del codice delle Chiese orientali, non mancarono da parte dei canonisti latini dubbi e perplessità sulla buona riuscita dei lavori: la diversa disciplina esistente nelle chiese orientali, la difficoltà di far rientrare nello schema unitario di un codice prassi e norme non sempre convergenti, la tradizionale diffidenza dell'Oriente verso le iniziative promosse da Roma scoraggiavano anche i facili ottimismi di facciata. Contribuiva a questo diffuso stato d'animo di incertezza e di perplessità la scelta molto pragmatica di redigere un codice delle Chiese orientali in lingua latina. Gli addetti ai lavori si chiedevano: come accoglieranno un codice per le Chiese orientali scritto in latino i cattolici di lingua greca, slava, copta, malabarese, ecc.?
Il Codice dei canoni delle chiese orientali, nonostante i timori della vigilia, fu portato a termine e promulgato il 18 ottobre 1990. Destarono una piacevole sorpresa alcune espressioni adoperate da Giovanni Paolo II nella costituzione apostolica di promulgazione: «Fin dall'inizio della codificazione canonica delle Chiese orientali, la stessa costante volontà dei romani pontefici di promulgare due codici, uno per la Chiesa latina e l'altro per le Chiese orientali cattoliche, dimostra molto chiaramente che essi volevano conservare ciò che è avvenuto per provvidenza divina nella chiesa, cioè che essa, riunita da un unico Spirito, deve respirare come con i due polmoni dell'Oriente e dell'Occidente e ardere nella carità di Cristo come con un solo cuore composto da due ventricoli» (EV 12/516).
L'immagine eloquente dei due polmoni e dei due ventricoli del cuore per un verso richiamava alla reale natura della Chiesa, per un altro verso costituiva un invito a prendere coscienza di questa realtà e a trarre da essa le conseguenze sul piano operativo. La scienza canonistica ha come suo oggetto specifico di studio entrambi i codici e deve promuovere un metodo che favorisca lo studio comparato di tutto il corpus legislativo della Chiesa cattolica. Il canonista non può limitarsi alla conoscenza di un solo codice.
L'iniziativa editoriale, che pubblica in un unico volume i due codici, si colloca in questa visione unitaria suggerita dal legislatore e intende offrire un valido strumento di studio per superare in qualche modo le antiche barriere esistenti fra la Chiesa latina e le Chiese orientali cattoliche.
Per l'uso di questo volume è necessario tener presente che in esso non sono riportati i testi originali in latino dei due codici, ma la sola traduzione italiana. Trattandosi di un'edizione che si prefigge la diffusione e la conoscenza dei due testi legislativi era necessario che il volume fosse allo stesso tempo maneggevole e poco costoso. Gli specialisti che volessero avviare uno studio approfondito di esegesi dei canoni devono far riferimento al testo originale latino che si trova nell'edizione bilingue dell'Enchiridion Vaticanum: il Codice di diritto canonico è contenuto nel vol. 8, il Codice dei canoni delle chiese orientali nel vol. 12.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
CODICE DI DIRITTO CANONICO
LIBRO I
Le norme generali
Can. 1 - I canoni di questo Codice riguardano la sola Chiesa latina.
Can. 2 - Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservarsi nel celebrare le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il loro vigore, a meno che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice.
Can. 3 - I canoni del Codice non abrogano le convenzioni stipulate dalla Sede Apostolica con le nazioni o con le altre società politiche né ad esse derogano; le medesime perciò continuano ad essere in vigore come al presente, non opponendosi in alcun modo le disposizioni contrarie di questo Codice.
Can. 4 - I diritti acquisiti, e parimenti i privilegi che, concessi dalla Sede Apostolica fino al presente alle persone sia fisiche sia giuridiche, sono in uso e non revocati, permangono integri, a meno che non siano espressamente revocati dai canoni di questo Codice.
Can. 5 - § 1. Le consuetudini sia universali sia particolari vigenti al presente contro le disposizioni di questi canoni, che sono riprovate dagli stessi canoni di questo Codice, sono soppresse del tutto, né siano lasciate rivivere in futuro; anche le rimanenti si ritengano soppresse, a meno che non sia disposto espressamente altro dal Codice oppure siano centenarie o immemorabili; queste appunto, se a giudizio dell'Ordinario non possono essere rimosse a causa di circostanze di luoghi e di persone, possono essere tollerate.