Spiritualità dell'Antico Testamento
-Corso di teologia spirituale 2
(Teologia spirituale)EAN 9788810541227
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 8
(http://www.ilregno.it)
Frederic Raurell parte dalla constatazione della difficoltà di parlare di spiritualità dell’Antico Testamento, tema escluso spesso dai trattati di spiritualità, non presentandosi la Bibbia come “una trattazione sistematica e organica della spiritualità”. Per questo dedica tre capitoli per chiarire i termini e le questioni metodologiche annesse per evidenziare la specificità della spiritualità biblica rispetto alla teologia biblica e all’esegesi. Egli sottolinea, innanzitutto, l’importanza dell’approccio diacronico alla Sacra Scrittura per fondare metodologicamente la possibilità di poter parlare di spiritualità dell’Antico Testamento, volendo indagare l’esperienza vissuta dai credenti «secondo la divina rivelazione»›, dell’uomo «che vive e personalizza la relazione di alleanza con Dio e quindi ne fa esperienza» (p. 11). Fondamentale risulta anche non dimenticare che l’esperienza di fede vissuta è stata poi espressa con un certo linguaggio biblico, per cui è necessario tener conto che la varietà dei generi, degli stili, delle lingue e delle teologie presenti nella Bibbia «riflette e testimonia esperienze di fede molteplici e diverse» (p. 14), di “personaggi tipo” che diventano modelli di vita spirituale. Importante è chiarire la distinzione tra teologia biblica e teologia spirituale biblica, il cui compito «non è l’esegesi, né la storia della religione di Israele, né la teologia dell’intera Bibbia» (p. 25), perché «indaga la risonanza della confessione di fede nel vissuto, la capacità del linguaggio di evocare l’esperienza e di preparare, di suscitare e di dirigere nuove esperienze» (p. 17). Un ultimo chiarimento metodologico riguarda il rapporto tra spiritualità biblica e l’esegesi scientifica, che rimane in ogni modo indispensabile e a cui l’autore dedica un intero capitolo, il terzo, per descriverne l’itinerario critico.
Il quarto capitolo affronta il Dinamismo della Parola nella Bibbia, essendo la Parola strumento di comunicazione dell’esperienza vissuta. Degno di nota risulta il confronto con i testi del Vicino Oriente Antico (testi sumero-babilonesi, di Mari, dell’Egitto, di Ugarit), nei quali emerge la forza della Parola come tema comune. Tuttavia, la distinzione con la concezione biblica è chiara: nella Bibbia non è una Parola astratta, ma una «Parola incarnata » (p. 66), in quanto si manifesta nella storia, «la parola divina entra nella storia» (p. 74), a partire dalla creazione che avviene mediante la parola, e nella vita del profeta che diventa testimone e servo di questa forza, nel quale “la parola diventa carne”. Per questo, il successivo capitolo è dedicato interamente al vissuto della vocazione profetica: i profeti sono visti come “modelli spirituali”, persone che concretamente hanno fatto esperienza di Dio e vissuto secondo l’alleanza con Dio. Ormai è chiarito definitivamente che «la specificità della spiritualità dell’Antico Testamento, al di là delle determinazioni che essa ha assunto nella storia, è precisamente vivere l’esistenza umana in alleanza con Yhwh» (p. 86). I racconti di vocazione dei profeti sono i testi da cui attingere questa esperienza. Il sesto capitolo descrive un’altra categoria biblica spirituale, che evidenzia in particolare la dimensione e struttura storica dell’uomo, quella del cammino, tipico della cultura nomadica di Israele popolo pellegrinante, e il cui paradigma fondamentale è Abramo. L’autore passa poi alla spiritualità dei poveri, che avverte essere un tema complesso, a causa del vocabolario anticotestamentario e dello sviluppo non del tutto chiaro che parte da un concetto tipicamente sociale fino a delinearsi quale atteggiamento spirituale di “umiltà e minorità” (p. 151), di chi confida in Dio, “canone” del credente, come è descritto nei profeti e nei salmi.
Una caratteristica che emerge qui è la spiritualità “francescana” dell’autore. Il salterio, essendo parola di Dio e parola umana, è definito dall’autore, nel penultimo capitolo, “la guida fondamentale” dell’esperienza spirituale, espressa in un linguaggio simbolico, il cui elemento portante risulta di nuovo l’alleanza, come dialogo e relazione tra Dio e Israele; nei salmi «è possibile riconoscere il volto di Dio, che Israele ha cercato e che a Israele si è rivelato come un Dio personale » (p. 172). Non poteva mancare alla fine tra i personaggi- tipo della fede il dramma vissuto da Giobbe, testo che mette in crisi il rapporto tra Dio e uomo, ma la cui conclusione evidenzia un rapporto vero con un Dio libero da schemi, perché «la salvezza non è una conquista, è dono» (p. 198). Il testo, fornito alla fine di una buona bibliografia, ha chiaramente intento “didattico” e un approccio “introduttivo”, facendo parte di un percorso più ampio di teologia spirituale. Purtroppo, sembra mancante di una conclusione che avrebbe potuto evidenziare la categoria spirituale biblica di alleanza, più volte richiamata, come esperienza di fede vissuta per dire l’incontro tra Dio e l’uomo, per aiutare il lettore a “leggere” la testimonianza di tante altre esperienze narrate nella Bibbia.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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