Luoghi comuni
-Un tour etico nella città di Roma
(Itinerari)EAN 9788810513293
Si sa, l’informazione e le opinioni passano ormai attraverso il web o, meglio ancora, attraverso i blog, spazi virtuali utilizzati per creare notizie, commentare, riflettere su avvenimenti della vita quotidiana, socio-economica, politica e culturale, sportiva... sia del paese che del mondo. Così capita che Antonio, dipendente del Ministero dell’interno, s’imbatta proprio in un blog giovanile, che si esprime “con immediatezza e sincerità” sulla vita della città di Roma. Con piacevole sorpresa, egli costata che molte osservazioni, commenti e citazioni dei giovani blogger sono tratte da alcuni libri di un vecchio amico filosofo, Carlo, che aveva conosciuto quando erano giovani studenti. Il blog, da strumento prettamente virtuale, diviene occasione reale per assecondare il desiderio di Antonio di re-incontrare Carlo, affermato docente di filosofia a Londra, con il quale intende parlare e discutere di tutte le sollecitazioni venute fuori dalle pagine virtuali. Una telefonata e un po’ di pressing da parte di Antonio convincono Carlo a ritornare a Roma: da quest’incontro prende vita un tour, proposto da questo volume, per rivisitare e discutere di luoghi comuni, o meglio di luoghi simbolici, ma “prendendola con filosofia”, cioè secondo la classica direttrice greca tratteggiata, appunto, sui concetti di polis, doxa e philosophia (cf. p. 7). I due amici si ritrovano, così, protagonisti di un diario di agosto: Antonio con le sue domande schiette e sincere, Carlo con le sue sottili e penetranti risposte, fortemente improntate da un una profonda cultura, frutto di lunghi anni di studio su filosofi, scrittori e poeti. Come Dante e Virgilio, i due s’inoltrano per le vie della città di Roma, ricordando i tempi trascorsi e attenti alle trasformazioni a cui immancabilmente sono sottoposti i luoghi comuni. Comuni, perché simbolo della vita della città e del Paese, oltre che luoghi creatori d’immagini e concetti comuni nella percezione e visione della realtà dei cittadini, in particolare di quelli più giovani, come dei tanti turisti che accorrono in quella che proprio un luogo comune definisce città eterna.
Il tour parte da Montecitorio che l’autore del libro, Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia Politica all’Università Gregoriana di Roma, definisce monte-potere. La discussione dei due amici si sofferma, quasi naturalmente, sul concetto di potere e sul rapporto tra esso e la politica. Se Carlo è bravo nel ridimensionare subito le attese, giuste ma provocatorie, di Antonio, ricordandogli che il potere è un fatto simbolico, Antonio è altrettanto pronto nel far notare come siano proprio i simboli ad essere oggi in crisi. La forte disaffezione per la politica (p. 9), rende necessario ripensarla per poterla nuovamente leggere, non solo ed esclusivamente come esercizio di potere, ma come arte di educare alla vita buona, che è vita giusta e vita etica. La politica riguarda tutti i cittadini e la città in genere, e il suo ruolo, per dirla con Camus, è quello di tener in ordine la casa, poiché si fa politica dappertutto, anche, nei condomini, come spiega Carlo.
I due cittadini-turisti attraversano poi via dei Condotti, luogo del lusso e dello shopping: inevitabilmente il pensiero corre alla crisi economica, la cui causa scatenante, per Carlo, è quella di «essersi allontanati dai principi morali fondanti (cristiani o no che siano)» (p. 18). La crisi non è solo causata dai ricchi e dalle banche, seppure questo sia un luogo comune duro a morire: ognuno di noi ne è responsabile, nel proprio piccolo. I nostri stili di vita, troppo improntati a logiche utilitaristiche e poco solidali, dovrebbero anzi spingerci, come suggerisce Benedetto XVI nella Caritas in veritate, a ripensare l’economia, perché la politica governi «con giustizia ed efficacia, i processi economici» (p. 20). Anche qui al luogo comune fisico architettonico risponde quello intellettuale ed emotivo, per cui la costatazione di Antonio, che il capitalismo ci rende tutti un po’ stupidi, dà la possibilità di riflettere su come ciascuno di noi per seguire le mode, quindi il mercato, arrivi a tradire sé stesso e sia spesso costretto, spesso, a recitare (p. 21).
Una pausa pranzo all’insegna dei ricordi rigenera i due amici, prima della successiva tappa: il Quirinale. Tappa necessaria, forse più delle altre, per affermare, senza se e senza ma, l’Unità Nazionale, nonostante le «idiozie» e i proclami della Lega. Unità fondata sulla Carta costituzionale «tra le più belle del mondo» (p. 25). La riflessione verte sui contenuti dei principi fondamentali, fin troppo spesso dimenticati, perché sopraffatti da «diseducazione, corruzione, cattivo esempio dei governanti» (p. 25). Il pensiero va alle brutture causate dal berlusconismo, a cui segue una lucidissima pagina (p. 26) sui mali dell’Italia: utilitarismo, evasione fiscale, ambiguità, utilizzo strumentale della religiosità, mancato rispetto della laicità dello Stato, incoerenza, condotta viziosa… L’antidoto è educazione, legge fondamentale (cioè costituzionale) e amministrazione concreta. È vero, mancano, oggi, Moro, La Pira, Dossetti, Togliatti, Calamandrei, La Malfa, Nenni, Ingrao, Scalfaro che, con forte spirito nazionale e di abnegazione al bene comune, seppero dar forma alla Costituzione e vita ai partiti che oggi sono, invece, nella mani di «dirigenti poco formati e motivati, che li hanno trasformati in feudi di potere, dove spesso si ruba, si lotta all’ultimo sangue per conservare poltrone» (p. 28). Ma, per il futuro, i partiti sono fondamentali: giovani e adulti motivati, formati e onesti non possono tirarsi indietro e devono dedicarsi ad approntare strategie a medio e lungo termine, per dare vita a un rinnovamento politico dal basso e per evitare di essere ancora dominati da faccendieri e mafiosi. Chi è impegnato pubblicamente e politicamente non può non portare con sé la propria umanità e la propria maturità e, con questa convinzione, Carlo e Antonio si incamminano verso il Campidoglio. Passando per piazza Venezia, sotto «il triste e famoso balcone del Duce» (p. 34), riflettono «sul desiderio popolare dell’uomo forte», su certi nostalgici e su come la storia spesso riproponga errori e drammi già vissuti. Soprattutto Carlo sottolinea come spesso il leader si trasformi drammaticamente in un idolo. A queste osservazioni, Antonio ricorda a se stesso quanto già il teologo Bonhoeffer affermava: la potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Si arriva finalmente al Campidoglio, un tempo pascolo per le bestie e solo nel ’500 riqualificato dalla grande opera di Michelangelo: una metafora forte e potente che dà lo spunto al professore per sottolineare come l’Italia sia composta di comuni, «unità territoriali definite e non enormi» (p. 36) e come da queste realtà si debba ripartire per far sì che donne, uomini e giovani si ri-avvicinino alla politica. I cittadini sono i veri protagonisti e, da abitanti consapevoli e maturi delle proprie comunità, possono e devono trasformarle da pascolo in capolavoro. Ripartire, dunque, dalle realtà locali e territoriali così come un documento della Conferenza Episcopale Italiana del 1981 ricordava che è sbagliato, infatti, contare solo su tentativi di rifondazione o di riforma che vengano dai vertici della cultura ufficiale e della politica (cf. p. 37).
Il tour prosegue alla volta del Colosseo, che è il luogo comune per descrivere la corruzione. La recente rilettura, da parte di Carlo, del De civitate Dei di Agostino e di Scandali e vizi privati delle donne dei Cesari di Luca Canali, gli danno la possibilità di poter affermare come corruzione politica e intrighi sessuali hanno tanto contribuito alla distruzione di Roma, e a quella dell’Italia oggi (e non solo), soprattutto nell’ultimo ventennio. Ma l’intera visita al Colosseo è guidata dall’affermazione di Agostino: «Se non è rispettata la giustizia che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (p. 41). Il Colosseo, luogo di giochi spettacolari, era utilizzato come pretesto per imbonire le folle: i giochi devono rientrare nelle logiche squallide dei politici corrotti, così come oggi il calcio ha quasi completamente perso l’aspetto ludico per dedicarsi a logiche di mercato ed economiche. In un periodo di particolare crisi dovrebbero disgustare e indignare le cifre da capogiro che interessano il calcio-mercato appunto; nella politica, come nello sport o, semplicemente, nel vivere civile, si dovrebbe compiere una sana obiezione di coscienza, tesa a combattere la corruzione anche quando riguarda il divertimento e lo sport. Ad essere ridotti al lumicino sono i «principi morali quali l’onestà, la giustizia, il rispetto delle istituzioni, il vivere del proprio onesto guadagno, la sobrietà. Gli stessi credenti spesso riducono il messaggio evangelico alla morale familiare e sessuale, dimenticando tutti gli obblighi di giustizia» (p. 43).
Nell’allontanarsi dal Colosseo, i due amici passano sotto il Colle Oppio, dove sorge la Domus Aurea; di aureo, commentano i due, c’è la loro amicizia che, come insegna Aristotele, è necessaria a crescere nelle virtù, tra tutte la giustizia in primis (cf. p. 45). È la volta, ora, dell’ospedale di S. Giovanni e la riflessione si sposta naturalmente sul dolore e sui luoghi del dolore, «il luogo dove il dolore è anche comune nel senso di condiviso con altri simili di condizione e con altri che lo assumono per alleviarlo» (p. 47). Ma sono veramente questo gli ospedali? La sanità è in crisi, i fondi scarseggiano e troppo spesso mancano addirittura i posti letto. Come la mettiamo, allora, con la Costituzione che, all’art. 32, tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività? Troppo spesso ci si dimentica che la nostra Costituzione è di tipo solidaristico quando, all’art. 2, parla di dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale, per cui bisogna garantire cure gratuite agli indigenti. Ma cosa vuol dire essere solidali, cosa vuol dire che la solidarietà dev’essere a costo zero? Non è possibile pensare a governi e autonomie locali che, in materia, si occupino degli indigenti in base alle risorse disponibili – soprattutto se pensiamo che, in tempo di crisi, i primi capitoli di spesa ad essere tagliati sono proprio quelli della sanità e della cultura –, come pure non si può consentire che chi possiede di più, ipocritamente, si nasconda dietro false e infondate giustificazioni. Ma «oltre al problema dell’aziendalizzazione della sanità, ai suoi risvolti strutturali e politici, esiste in maniera ugualmente forte, quello del prendersi cura» (p. 50). Ci si prende cura dei pazienti? si chiede Antonio in ottica bioetica; e Carlo spiega come l’aver cura sia un’arte rara e preziosa e come, spesso, il personale sanitario sia tecnicamente preparato, ma carente in quanto a maturità umana, etica e psicologica. In ogni caso, bisognerebbe evitare quel processo iniziato, appunto, con l’aziendalizzazione che, già oggi, ha trasformato i pazienti in assistiti, ma che potrebbe presto tragicamente trasformarli in clienti: «Se si amano soldi e carriera, non si avrà mai cura di nessuno» (p. 51).
I due amici sono ora a via della Conciliazione, la prospettiva li proietta sulla Basilica di San Pietro, accolti dalle braccia del colonnato del Bernini. Il dialogo tra i due verte immancabilmente sul rapporto chiesa-stato e sul rapporto religione-comunità-potere. La Chiesa cattolica può essere superficialmente e frettolosamente considerata un’agenzia di potere? La risposta alla domanda di Antonio, Carlo la trova nel Concilio Vaticano II: la missione della chiesa è «annunciare il Vangelo e testimoniare l’amore del Cristo […] riprendere con forza il cammino di purificazione e conversione ecclesiale» (p. 68). Il riferimento, poi, all’Azione Cattolica non è occasionale, per ribadire l’importanza di gruppi e parrocchie, realtà in grado di riaprire luoghi di discussione e dialogo a partire dal primato della parola di Dio, unica in grado di generare cristiani adulti, capaci di rendere a Cesare ciò che è di Cesare a Dio ciò che è di Dio, cioè di esercitare pienamente la laicità. C’è bisogno di laici formati e responsabili, anche perché un «buon laicato genera un buon clero e viceversa» (p. 69).
Il tour, dopo altre tappe, si avvia alla conclusione: nel week end, Carlo e Antonio incontrano altri amici a Orte. La stazione Termini è il luogo per pensare a Roma come città globale, per riflettere su tanti stranieri ed extracomunitari che vivono nella città e sui tanti luoghi comuni che spesso li mortificano e li rendono più poveri di quanto già non lo fossero. La domanda è se ci si impegna a promuovere, come direbbe don Tonino Bello, la convivialità delle differenze, cioè fino a che punto può durare la solidarietà in Italia spesso provata dal «leghismo che fa testo con una cultura gretta, razzista e chiusa a tutti i sud del mondo» (p. 105) e dal liberismo che riduce tutto a mercato.
Il testo, oltre ad essere agile nella lettura, risulta essere, anche, una guida turistico-sociale per i vari riferimenti artistici e architettonici, oltre che etici: come dire, la bellezza è una via per immaginare e compiere quel bene necessario ad essere felici. Antonio e Carlo costituiscono le due anime dell’autore: il ricercatore che s’interroga e scandaglia il tessuto socio politico, il cittadino che fa tesoro della continua ricerca in vista della costruzione del bene comune. Qui i luoghi comuni diventano luoghi non più prettamente concettuali e spesso carichi di qualche pregiudizio, bensì luoghi che simboleggiano il vivere, il sentire di un popolo e ne richiamano valori e ideali. Le tante citazioni presenti nel volume costituiscono una stuzzicante bibliografia, che può risultare un utile invito alla lettura e all’approfondimento.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2014
(http://www.pftim.it)
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