Formazione permanente: ci crediamo davvero?
(Psicologia e formazione)EAN 9788810508473
Mi sono reso sempre più conto, nei vari contatti col mondo presbiterale e consacrato, anche fuori d’Italia, di quanto l’idea di formazione permanente fosse e sia ancora piuttosto vaga e nebulosa, povera e ambigua, parziale e superficiale, più legata alla sociologia che alla teologia... Ecco forse perché la cosa stenta a decollare e divenire prassi abituale e universale, per quanto se ne parli» (dall’Introduzione). Le pagine del vol. espongono il senso della formazione permanente e la sua ragione: rendere la vita dei presbiteri e dei consacrati sempre più ricca e matura.
Tratto dalla Rivista Il Regno n.10
Il volume di A. Cencini affronta di petto la questione della formazione permanente (FP) del clero e dei religiosi, con le derive e l’inadeguatezza che la affliggono dal post-concilio ad oggi. Ovviamente, c'è anche una pars construens, che sale pian piano soprattutto alla fine del testo. È chiaro che l'A. intende provocare, stimolare e far desiderare un approccio nuovo alla FP, affinché essa diventi ciò che deve essere: non un semplice "aggiornamento" teologico o pastorale, affidato a qualche sporadico incontro durante l'anno; bensì, quell'atteggiamento di fondo, attraverso il quale il consacrato vive il suo ministero e ne trae continuamente nutrimento per crescere, formarsi e "convertirsi", imparando dalla vita.
Nel primo capitolo, Cencini amaramente riconosce che ad «oggi non esiste una cultura della FP» (20): siamo in cammino verso tale cultura, ma essa è ancora di là da venire.
Nel secondo capitolo, intitolato Mentalità, attraverso tredici brevi tesi ed una sintesi conclusiva, tratteggia in che cosa debba consistere (e non consistere) la FP. L'A. insiste sull'idea-chiave della FP come atteggiamento costante del consacrato, pertanto «già in atto, in ogni istante della nostra vita e in ogni giorno, feriale o festivo, quando le cose vanno bene e quando qualcosa va storto [.] attraverso le realtà e le cose e le persone che mi vivono accanto, sante e meno sante, che io non scelto e da cui non sono stato scelto, nei luoghi pastorali o nella parrocchia ove sono stato assegnato» (37). La FP permette al consacrato, inoltre, di essere in uno stato di vigilanza su di sé e sulle situazioni che vive, «per non cadere nei tranelli dei nostri meccanismi di difesa, delle nostre auto-giustificazioni, delle paure di riconoscere il nostro peccato» ed essere liberi di dirsi la verità (40). Non solo la responsabilità verso sé stessi chiede al consacrato di essere continuamente in formazione, ma è anche un «diritto della Chiesa che invia e della gente cui si è inviati» (45). Pertanto, conclude Cencini, «se la vita non è FP, è frustrazione permanente» (47), in quanto «l'assenza di disponibilità formativa è un fatto né neutro né innocuo. Se nella nostra vita non camminiamo, torniamo indietro: non restiamo semplicemente fermi. Se non cogliamo al volo le occasioni di bene, ci lasciamo sempre più condizionare da altre attrazioni, quelle che si discostano dal bene e piano piano, come per una lenta e drammatica ipnosi del cuore, dei sensi e della volontà, ci portano al male» (48).
Il terzo capitolo, Sensibilità, mette a tema il coinvolgimento del singolo sempre in riferimento alla FP. L'idea-chiave è la docibilitas: il termine, ormai diffuso negli ambienti formativi, significa molto più di docilitas (l'essere docili) e può essere reso con "disponibilità ad apprendere" o "lasciare che Altro/altri mi insegni/insegnino". Il capitolo prevalentemente mette a fuoco in che cosa consista la docibilitas e quali siano le conseguenze nella vita del consacrato dell'essere (e del non essere) docibile. Elemento essenziale della docibilitas è la responsabilità personale, che fa del consacrato il primo protagonista della FP. In secondo luogo, la persona docibile apprende da qualsiasi condizione di vita, sa che «non esiste affatto un diritto alla vita perfetta» (59). Inoltre, è capace di "integrare" il proprio passato: ciò non significa semplicemente accettare il bene e il male della propria storia personale, ma è la «scoperta di quella valenza formativa che ogni evento della vita possiede» (62), bello o brutto che sia. Se non c'è integrazione, c'è dis-integrazione, perché «ciò di cui non abbiamo scoperto e accolto l'intrinseca valenza formativa diviene de-formativo o deformante [.] inoculandoci nel cuore e nella mente una velenosa sensazione di diffidenza nei confronti della vita e in fondo di Dio» (63). Un'altra caratteristica della docibilitas riguarda la relazione con l'altro, ovvero la capacità di apprendere dalle relazioni con gli altri/ Altro sia quando sono facili sia (a maggior ragione) quando sono più difficili: «la disponibilità volonterosa a lasciarsi istruire e arricchire, educare e formare, provocare e mettere in crisi, dall'altro in quanto tale» (80). La parte finale del terzo capitolo, offre indicazioni sulla formazione iniziale per propiziare la docibilitas nei giovani in cammino verso la consacrazione. Una fra tutte: «Non si pretende che la prima formazione cancelli tutte le immaturità e inconsistenze del soggetto, ma che lo aiuti a precisarle, a dare loro un nome senza accontentarsi di diagnosi generiche, a porsi di fronte ad esse con senso di responsabilità, per trovare la via che gli consenta di esserne sempre meno dipendente e impedire in particolare che falsino il suo rapporto con se stesso, con gli altri, con Dio e la sua Parola, con l'interpretazione della propria vocazione e missione» (89). Infatti, conoscere le proprie inconsistenze è il primo passo per iniziare il processo di liberazione, che consente di non ripetere imperterriti sempre gli stessi errori.
Il quarto capitolo, Prassi, scende ancor più nel concreto e chiarisce in che cosa consista la FP "ordinaria" e quella "straordinaria" e il legame che intercorra tra le due. L'A. ribadisce che la FP non si esaurisce nelle iniziative proposte dalle FP "straordinaria": queste devono essere semplicemente degli strumenti atti a creare e promuovere, all'interno di un presbiterio, una mentalità condivisa di FP "ordinaria". Il capitolo si chiude richiamando alcune iniziative di FP "straordinaria", che si possono rivelare efficaci: tempi prolungati di ritiro, il mese ignaziano, l'anno o il semestre sabbatico, il "secondo noviziato", etc.
Chi ha letto la trilogia sulla formazione (Il respiro della vita, L'albero della vita e La verità della vita) sicuramente riconosce nel presente volume il taglio, il linguaggio e i temi cari a Cencini. Pertanto, il testo si presenta molto utile proprio perché mette a disposizione di un vasto pubblico le sagge intuizioni che l'A. ha acquisito in anni di accompagnamento e di riflessione. Il linguaggio è semplice e diretto, talvolta acuminato e tagliente. Qualche passaggio, forse, poteva essere espresso in termini più sintetici. L'A., con inusitato vigore, sprona a prendere sul serio la propria formazione, vista la fatica che sembra attanagliare il mondo dei consacrati. Auspichiamo che l'A. raggiunga il suo obiettivo e che questo strumento aiuti il clero, i religiosi e le religiose a dedicare più tempo per la cura di sé e del proprio ministero.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2013
(http://www.rassegnaditeologia.it)
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RENATA BONATO il 14 giugno 2021 alle 21:17 ha scritto:
È un testo veramente valido! Mi ha confermato nel credere che la formazione permanente deve essere fatta partendo dalla vita e per tutta la vita. Mi accompagna sia nel mio cammino che in quello di tante persone che accompagno!