L' ora di Dio. La crisi nella vita credente
(Psicologia e formazione)EAN 9788810508435
«Se la vita dell’uomo è avvolta dal mistero, è anche fatta di crisi; anzi, la crisi è voce del mistero». Il titolo del vol. esprime con chiarezza il senso dato dall’a. alle crisi che accompagnano la vicenda del credente, sacerdote o consacrato. Esse «rappresentano “l’ora di Dio”. Il momento in cui l’azione della sua grazia è all’opera, dunque kairos, momento opportuno per la crescita». Lo studio individua il significato della crisi e le aree più vulnerabili, per cogliere poi come essa sia oggi percepita dal singolo che la sperimenta. Suggerisce infine come vivere e aiutare a vivere le crisi, affinché queste possano diventare occasione di crescita sul piano umano e spirituale.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 6/2010
(http://www.ilregno.it)
Il testo di A. Cencini affronta il tema della crisi in una prospettiva credente, come dice esplicitamente il titolo. Il momento della crisi non è semplicemente qualcosa da superare al più presto, ma uno snodo importante, che cela il misterioso passaggio di Dio e spinge al cambiamento: «Occorre idealmente giungere a rendere inevitabile la decisione di cambiare o favorire la forzatura o la spinta estrema impressa dagli eventi (o da Dio, per il credente) alla storia del singolo perché si decida a cambiare.
La crisi in tal senso è proprio questa forzatura, provvidenziale potremmo dire, come un limite estremo, che dovrebbe far capire alla persona che deve assolutamente cambiare, la sua decisione è inevitabile, non può farne a meno» (56-57). Di quale crisi si tratta? Fondamentalmente, è la crisi della vocazione. Il focus è concentrato sulla vita consacrata, ma le dinamiche prese in esame possono avere dei paralleli anche nella vita sponsale. Il volume è suddiviso in tre parti: la prima si sofferma sulle definizioni e distinzioni della crisi, la seconda sulla realtà della crisi oggi e la terza sul vivere la crisi. Raccogliamo alcune sottolineature, che ci sono parse utili in vista di un .buon uso delle crisi.. La prima parte del volume ricorda che la crisi può diventare occasione di crescita solo a patto che «la persona sia libera di lasciarsi insegnare; così come la vita parla se c’è un cuore che ascolta, e soprattutto se c’è un fratello maggiore che si pone accanto per aiutare a capire, a riconoscere l’equivoco di fondo e decidere di non esserne più schiavo» (82).
Inoltre, di contro a una certa visione dello sviluppo della persona come processo spontaneo e pura espressione del sé (vedi certi approcci psicologici, eccessivamente ottimisti, diffusi oggi), l’A. ribadisce che la crisi ha a che fare con la “lotta”, anzi quest’ultima ne è «sua parte integrante» (93). Chi non accetta di lottare, nel tempo della crisi, ben difficilmente potrà superarla. Il tema della crisi come lotta fa da filo-rosso all’intera prima parte. Per quanto riguarda la realtà della crisi - seconda parte del volume - l’A. sostiene che spesso la crisi nasce come non riconoscimento e mistificazione della verità di sé e della propria storia (prima forma). In altri casi, l’ora di Dio assume la forma della crisi affettiva o della crisi di fragilità. Raccolgo qualche stimolo sull’attenzione che il consacrato deve riservare al mondo affettivo: «Il celibe [...] parte svantaggiato, quasi povero, o meglio, viene a trovarsi in una situazione di rischio, poiché la rinuncia all’esercizio dell’istinto genitale potrebbe implicare una minore possibilità espressiva di altri bisogni fondamentali, non solo di quello genitale-sessuale […].
Il rischio nella fattispecie sarebbe quello di una tensione (da non gratificazione) che all’inizio è inconscia ma poi potrebbe alla lunga risultare insopportabile o di un’energia repressa (o negata nel suo bisogno di appagamento) alla perpetua ricerca di gratificazioni alternative e compensazioni varie» (195). Inoltre, proprio nell’area affettivo-sessuale vanno a mimetizzarsi talvolta problemi non risolti, che hanno un altro tipo di causa. Infatti, «nella grande maggioranza delle crisi affettivosessuali di persone consacrate non c’è una motivazione affettivo-sessuale all’origine, ma qualche altro problema non debitamente e tempestivamente rilevato» (199). Dopo aver passato in rassegna le varie forme di espressione della crisi affettivo- sessuale, entrando nella concretezza delle situazioni, Cencini trae un’importante conclusione: «Strano a dirsi, la psicologia [...] ammonisce e ricorda che la concessione affettiva, per quanto leggera, se non è espressione trasparente delle scelte di fondo o dell’identità del soggetto ed è ripetuta, ne incrina progressivamente la stabilità, ne indebolisce le convinzioni, lo allontana dalla sua verità, inizia a sviarne la sensibilità e deformarne persino il giudizio morale, sempre più benevolo verso quelle concessioni [...] il bisogno inconsistente con il proprio ideale di vita non va gratificato per nessun motivo, neppure quando sembra ed è leggero, non si sarebbe innescato quel dinamismo che l’ha portato progressivamente alla perdita della propria libertà, con conseguenze anche gravi sul piano della propria maturità vocazionale generale» (232-233). La crisi di fragilità vocazionale, la terza forma, si radica in una struttura umana fragile, segnata dalla in-docibiltas e dal narcisismo: è legata all’incapacità di stare di fronte ai propri insuccessi, alla fatica che il ministero inevitabilmente porta con sé, alla solitudine con se stessi. Anzi, in tal caso, «prende il sopravvento la parte inquieta di sé in continua eruzione e scarso controllo, fatta di punti deboli e delle alienazioni subite o vissute, e che crea un’inquietudine che porta a ridurre drasticamente gli ideali di consacrazione e missione» (258).
Se ne esce soltanto quando il consacrato ha il coraggio di rilanciare e di guardare oltre i propri limiti e le proprie frustrazioni. La terza parte del volume, Vivere la crisi, suggerisce delle indicazioni concrete. Ad esempio, è bene .prevenire . le crisi, per non trovarsi poi in situazioni che rischiano di non essere più gestibili. C’è quasi una legge, in quattro tappe, che conduce pian piano all’instaurazione di circoli viziosi, da cui è arduo uscire: lievi gratificazioni iniziali; abitudine ad esse; automatismo; fissazione di una motivazione inconscia. Per venirne fuori, sarà necessaria molta buona volontà del singolo, ma anche un aiuto dall’esterno. Tale aiuto può proporsi alla persona, solo se esiste una vera fraternità nel presbiterio o tra religiosi e, pertanto, se c’è un fratello che vede la realtà di fatica dell’altro e se ne fa carico. L’A. invita a favorire una per nulla scontata "cultura dell’attenzione fraterna", cioè «una cultura della solidarietà fraterna e della responsabilità reciproca, perché ognuno si faccia carico dell’altro, si senta custode del fratello e abbia occhi per vedere quel che solo un cuore adulto, attento e discreto, può rilevare» (282). È saggio prevenire le crisi anche a livello di relazione e vigilare «circa il contatto corporale nella relazione interpersonale» (326), perché la carne unisce molto di più di quanto si pensi e occorre sempre chiedersi che reazioni il proprio gesto può provocare nell’altro. Si tratta cioè di essere onesti con se stessi e con il proprio corpo, diffidando di «quel modo di pensare che dà la precedenza alla sensazione del proprio benessere sulla qualità globale e morale dell’operare (gesti compresi) [...].
Ogni stato vocazionale ha il suo corrispondente stile relazionale o il suo modo di volere bene» (326-327). L’esito della crisi è incerto. Può essere superata oppure no. L’A. richiama le varie possibilità di conclusione di una crisi. Incuriosisce, verso la fine del volume, il dato relativo ai preti che, dopo aver lasciato il sacerdozio, chiedono di essere reintegrati nel ministero: dal 1970 al 2004 ben 11.213 preti hanno ripreso il ministero. Sono forse crisi che non sono state affrontate adeguatamente, per incapacità del singolo o dei propri formatori/superiori? L’interrogativo va preso sul serio e va fatto proprio in modo particolare da quanti hanno responsabilità educative e formative. Infatti, la crisi ha una funzione positiva nella vita del credente, ma va preparata adeguatamente in modo tale che il singolo - quando sarà l’ora della prova - sappia tenere le redini della propria vita e, pur con qualche sbandata, sappia raggiungere la meta cui è chiamato.
In questa pubblicazione - come nelle altre, numerose, su queste tematiche - l’A. attinge dalla sua esperienza di docente e di studioso e dalla sua lunga esperienza di accompagnamento personale. Il testo rinvia spesso a casi concreti e a situazioni di vita, che rendono la proposta molto chiara ed efficace. Essa appare decisamente incisiva ed efficace sul versante concreto dell’affrontamento della situazione di crisi. Pertanto, il volume si offre come una sorta di “lettura fenomenologica” dell’esperienza di crisi, che nasce dal contatto diretto con il dato reale.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 1/2013
(www.rassegnaditeologia.it)
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