Figli nel figlio
-Una teologia morale fondamentale
(Trattati di etica teologica)EAN 9788810505281
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 6
(http://www.ilregno.it)
In un tempo di frammentazione teologica, come il nostro continua ad essere, non sono frequenti opere monografiche o collettanee che tentino di ridonare, pur nel rispetto della opportuna specializzazione del lavoro teologico, una visione armoniosa delle singole branche teologiche fra di loro. In tale direzione si muove questo nuovo trattato di teologia morale la cui principale chiave ermeneutica diventa la categoria cristologica per antonomasia, quella del Figlio; la quale, in un certo senso, tutte le altre riassume. Gesù Cristo è l’unigenito del Padre, inviato da lui con una missione eterna: donare a noi tutti i doni del Padre, che è la Fonte di ogni vita e di ogni dono. E il dono più grande che Dio abbia fatto a noi è quello stesso dono che il Padre fece al Verbo: la figliolanza. In Gesù, Verbo eterno ed incarnato, la figliolanza si è compiuta per generazione eterna. Gesù è dall’eternità, come ipostasi divina, distinto dal Padre nella persona, ma non nella natura; “generato non creato”, dice di lui il simbolo della nostra fede. Nel credente invece questa figliolanza si compie per adozione. Cristo dona a noi il suo bene più grande, ciò che Lui è per natura: Figlio. Il credente, diviene, anche lui vero figlio del Padre, per rigenerazione, per partecipazione. La rigenerazione si compie per mezzo dello Spirito Santo, effuso dal Cristo innalzato e crocifisso, operante nel Suo Corpo che è la Chiesa. La parte storico-introduttiva del trattato non manca di una sua efficacia pedagogica, sia perché illustra il cammino storico che la morale ha compiuto nei secoli, dall’evento fondativo del cristianesimo sino ad oggi, sia perché consente di apprezzare maggiormente l’itinerario speculativo ed originale che il gruppo di questi teologi, membri del gruppo Hypsosis fondato nel 1995 da Réal Tremblay, coerentemente ha perseguito nella produzione di quest’opera. Il cuore del trattato, alla luce di quanto scritto sopra, è cristologico e filiale, ma è al contempo pneumatologico, ecclesiologico, mariano, sacramentale, escatologico. Da queste premesse non può che scaturire una comprensione della moralità dell’uomo nei termini dell’obbedienza filiale che fu di Cristo, e dunque, della perfezione, delle beatitudini, del martirio. Ma tutto ciò è determinato dalla natura nuova, che il cristiano riceve per mezzo dello Spirito Santo, e dunque dalla sua elevazione. O la morale cristiana si comprende all’interno di questa elevazione ontologica e di questa filializzazione che lo Spirito opera e si lascia plasmare dall’economia sacramentale della grazia, o non si comprende affatto. Per questa ragione il manuale, in un certo senso, rappresenta una attesissima e benefica rinascita nell’ambito della teologia morale; proprio perché riconduce la morale al suo fondamento teo-logico: il Padre, che dall’eternità vuole l’uomo e lo vede in Cristo creatura nuova e “figlio nel Figlio”; Cristo, immagine perfetta di Dio Padre, che con la sua opera redentrice, riscatta la creatura amata e dischiude all’uomo la sua vocazione eterna; lo Spirito Santo, che con la sua opera santificatrice realizza il mistero della filiazione adottiva e conforma l’uomo a Cristo, riconducendolo al Padre, ma anche consentendo che questi lo possa ridonare ai fratelli come autentico “servo” (340ss.; 349ss.). Grazie all’opera sapiente e costante degli Autori, in speciale modo del redentorista Réal Tremblay, che da tempo porta avanti questo progetto di “agganciamento” della morale alla cristologia (la parte seconda del trattato, 109-180 è destinata a questo fine), o se si vuole di restituzione della morale all’ambito propriamente teologico, si può assistere alla messa in opera di un rinnovamento della materia che il Concilio Vaticano II, come ricorda la presentazione di Lorenzetti, aveva con forza richiesto (7ss.). La morale cristiana non è compiere un’opera buona, nell’adesione ad un precetto esterno, fosse anche il più perfetto. La morale cristiana non è dare qualcosa a qualcuno. La morale cristiana è vita nuova, vita in Cristo e nello Spirito; vita nuova che si effonde poi dall’alto della croce di un’obbedienza al Vangelo che non è estrinseca al credente, ma ne scaturisce dal suo nuovo essere filializzato. All’approfondimento di questo dinamismo etico che scaturisce dall’antropologia letta in chiave filiale, vero luogo di mediazione tra la cristologia e la morale, è proprio la Terza parte del trattato (183ss.). Essa con il contributo di Jerumanis, teologo belga che insegna a Lugano, si apre alla comprensione della morale cristiana come “agire” teologale cioè profondamente intessuto di fede, speranza e carità (195ss.). L’uomo adamitico è un uomo che non si possiede, non si appartiene. Anela per creazione ad una pienezza, che non ha la “forza” di raggiungere, né di realizzare. Egli è capace di una certa moralità, ma la sua non è una morale filiale cui invece Cristo chiama ogni uomo. La sua non è una morale delle Beatitudini cui invece Cristo vuole condurre ogni uomo, come al suo vero cuore. Perché le Beatitudini non sono altro che il cuore e la vita di Cristo donata a noi per mezzo dello Spirito (286-293). Al contrario, l’uomo filializzato si possiede e si governa. Si possiede perché è stato riconsegnato a se stesso dallo Spirito Santo che il Figlio di Dio ha effuso per noi. E proprio perché si appartiene, può essere donato al Padre dallo Spirito in Cristo Gesù, perché il Padre lo doni come ha donato Cristo per la salvezza del mondo. che altro non fu se non il dono dello Spirito, perché l’uomo venisse inserito a titolo filiale nello scambio di amore trinitario. In ultima analisi, la morale filiale che il trattato propone, per sua natura intrinseca è di stampo trinitario; è come se fosse “marcata a fuoco” da quest’opera comunionale che grazie all’incarnazione del Verbo il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo nella trinitarietà della loro azione, hanno realizzato e vogliono realizzare nell’uomo secondo un disegno di predestinazione eterna.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2008
(http://www.pul.it)
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Nicola Stefani il 24 agosto 2013 alle 13:17 ha scritto:
Sicuramente un ottimo libro per chi deve studiare sia bioetica sia morale! Tremblay- Zambon è un ottimo binomio che illumina la morale cristiana!