Annunciare Cristo alle genti
-La missione dei cristiani nellorizzonte del dialogo tra le religioni
(Biblioteca di teologia dell'evangelizzazione)EAN 9788810450055
Già noto, soprattutto per il suo manuale su Il ministero ordinato (Queriniana 2002), Erio Castellucci, Preside delle Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, offre una sintesi documentata ed insieme un sano discernimento cattolico circa l’attuale e delicato tema della salvezza mediante le altre religioni e la necessità della missione ecclesiale. Il lavoro si articola in quattro parti cui si aggiunge una buona bibliografia internazionale di più di duecento titoli (pp. 175-190). La prima sezione esamina «La questione della “salvezza dei non cristiani” » e si sofferma soprattutto sui due principali modelli ecclesiocentrici della prima metà del Novecento: quello a tendenza esclusivistica (Barth/ Feeney) e quello inclusivistico (Pio XII, de Lubac, Journet). L’a. si premura di fornire pure le radici patristiche e dottrinali del primo modello riassumibile nel motto “Extra ecclesiam nulla salus”. Si ottiene così un percorso che va da Origene e Cipriano sino al magistero antigiansenista e a quello di Pio IX, passando per Agostino, Fulgenzio e Tommaso. Chiude il capitolo una riflessione sul concetto di missione correlato a tale impianto: la missione evangelizzatrice si presenta come l’unica via per comunicare la ‘salvezza’ (in senso ultraterreno) ai non cristiani facendoli entrare nella compagine sociale della Chiesa (p. 39). La Seconda parte, «La “Teologia cristiana delle religioni”», si incentra sulle posizioni cristocentriche di J. Daniélou (Dieu et nous) e di K. Rahner (I cristiani anonimi), definite rispettivamente ‘a tendenza inclusivista’ la prima e ‘immanentista’ la seconda. Le radici di questo pensiero affondano nell’affermazione neotestamentaria circa l’universalità della salvezza mediante la peculiare mediazione di Cristo (“cristocentrismo inclusivo”, p. 53; cf. Mt 11,27; Gv 14,6; At 4,12; 1Cor 85s; 1Tm 2,5 e Col 2,9). A suffragare, nella tradizione ecclesiale, questo punto di vista positivo è la dottrina dei semina Verbi, presente da Giustino a Tommaso e recuperata dal Vaticano II che supera l’assetto ecclesiocentrico (LG 16-17, NA 2, AG 3, 9, 11 e 18). L’a., sulla scorta del documento Dialogo e annuncio del 1991 e delle analisi di G. Canobbio, fa notare però che il concilio, pur riconoscendo gli ‘elementi’ positivi delle altre religioni, non afferma mai che queste possano considerarsi, come tali, “vie di salvezza” (p. 66). In questo senso, la riflessione ulteriore del magistero, evoluto in tensione tra le linee di Daniélou e di Rahner, da un lato riafferma la “pienezza insospettabile” ed unica del Cristianesimo (cf. Paolo VI, EN 53), e dall’altro si spinge parecchio più in là, riconoscendo che «la presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture e le religioni» (Giovanni Paolo II, RM 28). Nel Terzo capitolo, intitolato «La teologia cristiana del pluralismo religioso», Castellucci esamina le posizioni più avanzate – e di fatto mai avallate dal Magistero – della cosiddetta teologia pluralistica. Così, il pensiero teocentrico/apofatico di Hick e Panikkar; quello regnocentrico di Knitter; e quello teocentrico con cristologia ‘costitutiva’ di J. Dupuis. Di nuovo, si propone una traccia storica delle fonti remote e moderne di queste prospettive: il misticismo apofatico di Dionigi, Eckhart e Cusano, ma anche il razionalismo di stampo illuministico (Rousseau, Kant, Lessino) e del protestantismo liberale (Troeltsch, Harnack). Ci si avvia ormai verso la mentalità, oggi dominante, del relativismo soggettivistico post-moderno che separa l’assoluto-divino dalle sue presunte concrete manifestazioni storiche. Si estenua così radicalmente ogni pretesa veritativa esautorando ogni slancio missionario (cf. p. 118). La Quarta sezione mira a discernere la composizione tra dialogo e annuncio nel contesto interreligioso. È la parte più sistematica in cui l’a. offre anche le sue personali considerazioni. Si muove da una disamina della reazione cattolica (teologica e magisteriale) alle recenti teorie teocentriche; da quelle di Hick a quelle di Dupuis. Si ricordano la Redemptoris Missio (1990), “Il Cristianesimo e le religioni” della CTI (1996), la “Dominus Iesus” (2000) e la ‘Notificazione’ a J. Dupuis (2001) della CDF. Nelle sue “Osservazioni teologiche conclusive”, Castellucci ritiene i seguenti capisaldi: 1. la questione della verità deve essere declinata cristologicamente (cf Bordoni); 2. l’unicità del piano di Dio, insieme creatore e salvatore del genere umano (Kasper/ Dhavamony); 3. l’originalità cristiana come salvezza trinitaria, in cui rivelazione e redenzione sono considerati indissociabili e universali, come lo sono la paternità divina e l’azione dello Spirito Santo; 4. la visione della Chiesa come ‘sacramento di salvezza’, in una prospettiva diaconale che eviti sia l’esclusivismo che un generico ‘soteriocentrismo’; 5. la necessità di una ‘teologia delle religioni’ dall’interno della fede cristiana, capace, cioè, di integrare e “comprendere la pluralità dell’esperienza religiosa” (M. Crociata); 6. una “soteriologia integrale”, ovverosia una concezione di salvezza che trascenda la mera salus animae per includere nel suo orizzonte i portati storici della liberazione concretamente prospettata. Solo riconoscendo quella “pienezza di vita” recata dall’incontro con Cristo si potrà preservare la duplice esigenza di dialogo e annuncio. La missione dipende quindi non solo dall’esplicita volontà di Cristo (cf. il dettato biblico), dalla natura intrinsecamente missionaria della Chiesa (cf. RM 11) e dal diritto/dovere umano di cercare e conoscere la verità (cf. ib. e 14), ma anche dalla “radicale novità di vita” scaturita della fede. La quale si dimostra capace di trasformare e trasfigurare l’esistenza terrena facendone il luogo dell’affiorare dell’eschaton e il principio di un ethos rinnovato (cf. RM 7 e 59, p. 163). In altri termini: il diventare cristiani permette non solo di ottenere il Cielo, ma anche una piena liberazione umana ed un inaudito sprone alla promozione della civiltà dell’amore. La conclusione generale invita giustamente a mantenersi fedeli sia all’esigenza di annuncio che di dialogo. L’evangelizzazione è motivata dalla proposta di salvezza integrale. Il dialogo è, dal canto suo, imprescindibile, soprattutto nella nostra epoca; esso dilata l’orizzonte al punto di vista degli altri su se stessi e sul Cristianesimo; rintraccia nelle varie religioni quei germi di bene e di verità che ci sono intrinseci e che talvolta non viviamo appieno ed è una occasione concreta di incontro e di pace. Facciamo soltanto un’osservazione sul contenuto e una postilla bibliografica. Ci pare ottima la rilevazione della dimensione ‘immanente’ della salvezza cristiana. Si potrebbe però forse approfondire ulteriormente il nesso tra “pienezza di vita” sulla terra e “salvezza ultraterrena”. Pensiamo cioè che lo slancio missionario possa trovare motivazione anche dalla riscoperta di un precipuo aspetto escatologico. La salvezza celeste sarà nel contempo unico e medesimo gratuito dono divino (cf. Mt 20,1-16) e giusta retribuzione per le opere compiute nella storia (cf. Lc 19,11-27), giacché “ciascuno raccoglierà ciò che avrà seminato” (Gal 6,7-8). Ora, la Chiesa cattolica genera, nutre e cura le persone affinché facciano del loro tempo terreno un’occasione di “semina nell’amore”. Essa dispone della pienezza dei mezzi di salvezza (“talenti” o “mine”, ossia del massimo di Rivelazione, Sacramenti e Vita comunitaria) ed elargendoli, non solo rende massimamente significativa questa esistenza, ma pone pure coloro che li accolgono nella migliore condizione possibile per portare quei “frutti dello Spirito” che meritano la ricompensa eterna (cf. Gal 5,22; Mt 6,20). La conversione battesimale, riempiendo di speranza, suscita, qui ed ora, una prassi di carità che incrementa l’uomo interiore, che si manifesterà nella risurrezione finale, e dilata il cuore umano disponendolo ad accogliere maggiormente l’unica ed infinita “Gioia del Signore” (cf. Mt 25,21s). Sicché, pur ammettendo che «ci si possa “salvare” in tutte le religioni e perfino senza una professione teista esplicita» (p. 166), tendiamo a pensare che, proprio in forza delle ricadute etiche della vita di fede, non sia esattamente la stessa cosa morire da buoni cristiani o da buoni atei, buddisti o musulmani… Come piccola integrazione al già menzionato sforzo bibliografico ricordiamo soltanto i seguenti titoli del tutto attinenti al tema del volume: A. Carioti, La missione salvifica della Chiesa. I fondamenti teologici della Dichiarazione “Dominus Iesus” nel magistero del concilio Vaticano II, Soveria Mannelli (CZ) 2008; S. Mazzolini, La chiesa è essenzialmente missionaria: il rapporto «natura della Chiesa» - «missione della Chiesa» nell’iter della costituzione de Ecclesia (1959-1964), Roma 1999; I. Morali, La salvezza dei non cristiani: l’influsso di Henri de Lubac sulla dottrina del Vaticano II, Bologna 1999; M. Serretti (ed.), L’attuale controversia sull’universalità di Gesù Cristo, Roma 2002 (con un nostro contributo sulla “Dominus Iesus” a pp. 179-195); B. Sesboüé, «Hors de l’Eglise pas de Salut». Histoire d’une formule et problèmes d’interprétation, Paris 2004 (ed anche l’articolo dedicato a J. De Torquemada di M. Semeraro in Lateranum [1996] 459-478). Non ci resta che congratularci di cuore con l’a. per questo libro, augurando larga condivisione alle sue tesi.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2009
(http://www.pul.it)
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