Turismo Religioso. Un approccio storico-culturale
(Manuali)EAN 9788810430156
Le possibilità e i limiti di questo manuale sono ben presenti innanzitutto all’Autore stesso, che si dichiara del tutto consapevole della provvisorietà del suo intento riflessivo: «presentando non pochi aspetti opinabili, teorici e pratici, e dunque ancor più rivelatori di acerbità di ricerche e ancor più bisognosi di analisi più assestate e attestate, siamo convinti che questa nostra fatica non può non definirsi interlocutoria e realisticamente umile» (8). Il tema, tuttavia, merita attenzione, e la riconosciuta provvisorietà della ricerca e delle conclusioni raggiunte, nulla tolgono alla rilevanza di un tema pastorale – quello della mobilità – che avrà bisogno di essere ulteriormente tematizzato in un futuro non troppo lontano. Nelle variegate e molteplici forme attuali della mobilità, il tipico fenomeno del turismo religioso prende rilievo consistente e indicativo. Secondo Carlo Mazza, esso richiama allusivamente la prassi antica e tradizionale del pellegrinaggio del quale conserva tracce profonde che ne rivelano una continuità storica, culturale e religiosa di indubbia incidenza simbolica e pratica nel vissuto dell’uomo contemporaneo. È su questo legame che appunteremo le nostre osservazioni, oltre che sulla ragione della rilevanza del tema della mobilità in sé. Sotto la categoria della mobilità possono essere iscritti diversi, decisivi, fenomeni, naturalmente non tutti ascrivibili a situazioni di movimento fisico o di viaggio. Si tratta di quella mobilità territoriale, culturale o più generalmente sociale che contrassegna la stessa struttura sociale, altrimenti definibile come sistemica (cf. N. Luhmann, Einführung in die Systemtheorie, 2002). In tale struttura l’uomo non è più considerato parte del sistema sociale, ma svilito ad ambiente problematico del sistema stesso, ridotto a galleggiare in un sistema trasformato in una connessione rapsodica di funzioni equivalenti, di operazioni per rintracciare la cui razionalità bisogna dirigersi verso una stabilizzazione del sistema, disancorato dalla turbolenza delle passioni e di ogni dialettica anche solo latamente conflittuale. In un ambiente che mantiene una complessità impossibile da ridurre una volta per tutte, diviene dunque inevitabile che la totalità sfugga ad ogni tentativo di presa. Blindato in un disperante privatismo che ne lascia affiorare un solipsismo senza ancoraggi stabili, l’individuo immerso nella modernità liquida descritta da Barman (Liquid Modernity, 2000) vaga nomade alla ricerca di una libertà assoluta che efficacemente rappresenta l’effetto di sradicamento dall’insieme dei rapporti, delle relazioni sociali, trascinando l’esistenza verso una deriva quantitativa tempestata di desideri. Che alla necessità sovrappone quasi totalmente l’induzione al consumo, effettivo motore della società tardo-capitalistica, che nel mondo occidentale sostituisce ai bisogni immateriali quelli materiali. È questo, a nostro parere, l’orizzonte che giustifica e rende ragione della ripresa della pratica del pellegrinaggio e del turismo religioso. Questa, del resto, è anche l’opinione di Danièle Hervieu-Léger, ben nota sociologa delle religioni francese e directeur d’études alla École des hautes études en sciences sociales presso la Sorbona. La tesi sostenuta in La religion en mouvement : le pèlerin et le converti (Flammarion, Paris 1999; tr. it. Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento, Il Mulino, Bologna 2003) è questa: lungi dallo scomparire, la religione – o, volendo, la ricerca di Dio e/o del senso della vita – assume essa stessa i caratteri (dagli esiti opposti) della mobilità rispetto all’istituzione (il pellegrino) o della appartenenza totalizzante (il convertito). Entrambe le figure mantengono intatto il soggetto, la sua libera determinazione, come “centrale significante”: questo spiega la loro fortuna e la loro adattabilità al contesto. Gli individui fanno valere la loro libertà di scelta conservando le pratiche e le credenze che si addicono a ciascuno di loro. I significati che gli interessati assegnano a queste pratiche sono spesso lontani dalle definizioni ufficiali. Esse vengono selezionate, rimaneggiate e spesso combinate con tematiche provenienti da altre religioni o da correnti di pensiero mistiche ed esoteriche. Non è dunque l’indifferenza alla religione ciò che caratterizza la nostra società, bensì il fatto che il credere religioso sfugga al controllo delle grandi chiese e delle istituzioni religiose. Il fenomeno del turismo religioso attuale finisce – secondo noi, non secondo l’Autore – per coincidere con l’inventario di questa proliferazione incontrollata delle credenze o delle pratiche a sfondo genericamente religioso. In questo senso, il testo sembra mancare di criticità e di progettualità, laddove si limita a recensire il fenomeno e le sue concrete forme, ma senza indicare vie concrete per una sua risignificazione cristiana. È dubbio, infatti, che basti una meta religiosa per attestare che chi vi si reca abbia iniziato un processo di conversione religiosa, o esprima elementi specifici della fede cristiana. In questo senso va raccolta e mantenuta – secondo noi – la distinzione tra turismo religioso e pellegrinaggio, e la risignificazione cristiana di cui sopra consisterà nell’operare un passaggio dal turismo al pellegrinaggio. Il pellegrinaggio così inteso può diventare una via attraverso la quale tutta una serie di bisogni spirituali dell’uomo occidentale – che non possono essere negati, ma che non trovano posto all’interno dei vari sistemi in cui è frantumata la sua vita – vengono riconosciuti e fatti vivere. Tra di essi, il bisogno fondamentale di dare un senso alla vita e alla morte, al cammino stesso dell’uomo. Nessuno dei vari sistemi, infatti (nemmeno quello religioso, presentato e inteso sempre più spesso più come un’istanza etica che come un significato per la vita), pare interessarsi più al problema della trasmissione del senso dell’uomo e della sua vita. Uno sviluppo successivo della questione dovrebbe farsi carico del carattere cristiano del pellegrinaggio, cioè della sua esplicita connessione alla persona di Gesù (alla possibilità di un incontro rinnovato con lui) e alla parola del vangelo, che sottragga l’individuo dai labirinti del soggettivismo e dal bricolage delle credenze. Proprio perché all’interno della cultura moderna dell’individuo sono state trasformate in una riserva di segni e di valori che non s’inseriscono più in appartenenze precise né in comportamenti regolati dalle istituzioni, i gesti religiosi (e le stesse religioni) tendono a presentarsi come una materia simbolica estremamente malleabile, che dà luogo a trattamenti/ esiti diversi a seconda dei gruppi che vi attingono. Il risultato da scongiurare pastoralmente è che questi elementi vengano usati ma senza che vi sia un fondamento trascendente che li giustifichi. Va detto che Carlo Mazza è lui per primo consapevole di questa sfida, che aveva già delineato in un suo precedente, pregevole, saggio (Santa è la via. Pellegrinaggio e vita cristiana, EDB, Bologna 1999). Sulla stessa linea va segnalato anche un recente e interessante lavoro della Confraternita di san Jacopo di Compostella in Perugia, che ha raccolto una serie di importanti contributi sul nostro tema in La strada buona (Marietti, Milano-Genova 2008).
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2008
(http://www.pul.it)
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