Monachesimo e istituzioni ecclesiastiche in Egitto
(Scienze religiose)EAN 9788810415160
iò che maggiormente mi ha colpito nella lettura di questo saggio di Mariachiara Giorda, giovane ma già apprezzata storica del monachesimo cristiano, è l’approccio metodologico con cui si avvicina alla materia che esamina, gli elementi di novità che caratterizzano il ricorso alla documentazione. Allieva di Giovanni Filoramo, la studiosa è organicamente inserita in una scuola, quella torinese, che da decenni studia ambiti prossimi a quelli affrontati in questo libro, e dunque arriva a questa impegnativa monografia sia con la consapevolezza di collocarsi nel solco di una consolidata tradizione internazionale di studi sul monachesimo egiziano sia con la convinzione di potere apportare un innovativo e significativo contributo storiografico grazie a una lettura incrociata dei testi e al superamento di ogni superfluo steccato disciplinare. L’autrice, mediante un esame critico delle fonti documentarie e letterarie, dimostra quanto sia inesatta la communis opinio secondo cui i monaci vivono completamente distaccati dal mondo e dalle altre istituzioni ecclesiastiche. Lo studio fa viceversa emergere importanti funzioni religiose e sociali che il monachesimo svolge dentro al mondo. In particolare pone l’accento sulle dinamiche di relazione, spesso conflittuali, tra monaci, chierici e laici. Tutto ciò contribuisce notevolmente a una ridefinizione dell’identità propria del monachesimo egiziano e a una costruzione più precisa delle sue rappresentazioni interne ed esterne nei secoli IV e V, che costituiscono l’ambito cronologico proprio della ricerca della studiosa. Il libro si apre con l’esame di alcune questioni in certo senso preliminari al più ampio discorso su monachesimo e istituzioni. Anzitutto Giorda pone l’accento sulla pluralità del fenomeno monastico egiziano. Così la distinzione manualistica tra anacoreti, cenobiti e girovaghi risulta troppo schematica e non illumina adeguatamente la complessità della realtà effettiva. Tra i tratti identitari che aiutano a tracciare un profilo di questo monachesimo, l’abito (sia come veste sia come disposizione interiore) costituisce senza dubbio un elemento di primaria importanza. I monaci si distinguono da altri gruppi che compongono il panorama sociale cristiano: subordinati alla gerarchia, sono sin dalla fine del III secolo chiaramente distinti dal laicato e dal clero. Essi sono per lo più laici, solo pochi già appartengono alla gerarchia o sono successivamente consacrati diaconi, presbiteri e vescovi. Tuttavia la situazione evolve progressivamente verso una loro clericalizzazione, conforme a un processo d’istituzionalizzazione che trasforma il monachesimo da realtà laica ed equidistante rispetto a laicato e clero in realtà molto più vicina alle istituzioni ecclesiastiche. Tutto ciò si verifica non senza tensioni, nel quadro di rapporti istituzionali spesso difficili, ma anche sul piano di una collaborazione che implica interazioni e integrazioni, all’insegna di una comune costruzione di un’identità cristiana egiziana specifica. Nell’ambito di questa problematica generale – autonomia, identità e interazioni tra monachesimo e istituzioni ecclesiastiche – Giorda espone lo stato della ricerca su tre temi specifici: la celebrazione della liturgia, in particolare quella eucaristica, tra i monaci e nei monasteri; la presenza e il ruolo del clero monastico; il rapporto tra i monaci e i vescovi e la figura del monaco-vescovo. La materia è distribuita lungo sei capitoli, che un solido discorso unitario tiene saldamente legati tra loro. L’indagine sulla liturgia monastica si apre con un’interessante premessa sulla terminologia specifica, per poi passare alle celebrazioni nelle chiese dei monasteri e alla partecipazione dei monaci alla vita liturgica. Al di là dei topoi letterari, che tendono a presentare i santi monaci estranei a quest’ultima, anche in tal caso un’analisi critica e incrociata della documentazione consente di pervenire a una conclusione assai diversa, quella di una significativa presenza della liturgia nella prassi e nella spiritualità monastiche egiziane del tempo: gli anacoreti laici si recano nei villaggi per partecipare all’eucaristia e d’altro canto i preti si recano presso i monaci per officiare la liturgia; nei monasteri sorgono delle chiese per le celebrazioni liturgiche e presto qualche monaco viene ordinato per il servizio liturgico. Le relazioni tra monaci e clero locale si presentano, a quest’epoca, sostanzialmente positive. Successivamente il volume prende in esame la questione dei monaci chierici. Dopo un indispensabile excursus terminologico, la studiosa affronta le ragioni di una vera e propria trasformazione. Infatti, col passare del tempo, i monaci ordinati divengono più numerosi: il ruolo ecclesiastico viene a un certo punto percepito sintonico con lo stato monastico e la stessa santità di vita monastica la si vede riflessa nel presbiterato, come espressione di avanzamento spirituale. A un certo momento di questo processo evolutivo la dignità sacerdotale è assunta dai monaci come modello culturale e comportamentale. E nondimeno ciò non significa istituzionalizzazione e clericalizzazione delle funzioni monastiche. Le fonti, infatti, documentano in più casi come molte funzioni di responsabilità siano nelle mani di monaci laici e non costituiscano quindi una prerogativa dei monaci chierici. Economi, padri spirituali, confessori, igumeni sono laici. Giorda considera poi la figura-modello del monaco-vescovo, che inizia a concretizzarsi fin dai primi sviluppi del monachesimo, diventando tipica nella storia monastica ed ecclesiastica dell’Egitto dei tempi successivi. Infine il libro affronta due casi-studio: il cenobitismo shenoutiano, che s’inserisce nel contesto del monachesimo copto ortodosso, e il monachesimo meliziano, che è l’esempio meglio documentato di un monachesimo eterodosso strutturato.
Tratto dalla rivista Il Regno 2010 n. 10
(http://www.ilregno.it)
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