Paolo, la Scrittura e la Legge
-Antiche e nuove prospettive
(Studi biblici)EAN 9788810410080
L’A. mette a fuoco le complesse relazioni tra Paolo, la Scrittura e la Legge prendendo come riferimento le principali lettere dell’apostolo (1-2 Corinzi, Galati, Romani e Filippesi). Questo perché è proprio nelle lettere autentiche, più che nelle deuteropaoline e nelle pastorali, che si può cogliere la complessità del rapporto di Paolo con la Scrittura e la Legge. La relazione tra i tre termini ha dato vita dagli anni ’70 a un acceso dibattito circa l’ermeneutica dei testi e la figura dell’apostolo. E questo a partire dalla cosiddetta New Perspective proposta da E. Sanders nel suo volume Paolo e il giudaismo. Studio comparativo su modelli di religione (bt 21), Brescia 1986 (or. ingl. 1977).
In seguito agli sviluppi della ricerca si dovrebbe parlare non più di New perspective ma di New perspectives, al plurale. L’A. traccia un bilancio delle «nuove prospettive» comparse nell’ultimo trentennio su Paolo e le sue lettere, e sulle conseguenze per la teologia paolina. Il volume si articola in sei capitoli, in cui sono discusse le questioni relative alla formazione farisaica dell’apostolo, all’identità dei suoi avversari, la retorica letteraria e l’intertestualità, il rapporto tra legge e giustificazione, la sociologia del cristianesimo delle origini e l’etica paolina. Si tratta di questioni che concernono la storiografia, la metodologia e il contenuto teologico. E tutte e tre strettamente relazionate Nel primo capitolo esamina il rapporto tra Paolo e il giudaismo farisaico a partire dal confronto tra Gal 1, 13-14 e Fil 3, 5-6, da quanto l’apostolo afferma del suo passato nel fariseismo. Dal confronto deduce che il giudaismo citato in Galati è quello farisaico e non quello di matrice apocalittica, qumranica o sadducea. Mostra che l’apostolo non ha un’accezione negativa del fariseismo. Contrariamente a quanto fanno diversi studiosi che preferiscono parlare di «giudaismi», è preferibile riprendere la categoria del «giudaismo» che trova nel fariseismo prima del 70 d.C. una delle correnti principali.
Se questo è vero non ha senso parlare di «conversione» di Paolo, perché egli non rinnega il suo passato giudaico. Nel capitolo successivo prende in considerazione l’identità degli avversari della sua predicazione. Anche in questo caso si avvale dei brani più eloquenti per l’oggetto della sua ricerca: 2Cor 10-13, Galati e Fil 3, 2-16. L’analisi di tali brani dimostra che non si può accettare l’ipotesi di un fronte paolino monolitico. Gli avversari pur essendo di origine giudaica e credenti in Cristo sembrano diversi per ogni lettera, anche perché diverso è l’oggetto dell’argomentazione (apostolato in 2Cor, giustificazione per fede e/o mediante le opere della legge, contrasto aperto e sarcastico con i suoi avversari in Fil 3, 1b-16). Dal momento che non abbiamo altre fonti per conoscere i suoi avversari, se non le sue lettere, non è possibile applicare il criterio del mirror-reading o dell’analisi speculare delle fonti agli oppositori di Paolo. Uno dei tratti che accomuna le correnti del giudaismo nel I sec. d.C. è il riferimento alle Scritture d’Israele. Il terzo capitolo è dedicato allo studio delle citazioni dirette dell’AT, tralasciando le evocazioni di passi e personaggi dell’AT, per concludere che Paolo da fariseo riprende le categorie portanti dell’AT e del suo linguaggio. Per l’apostolo, criterio ermeneutico per interpretare la Legge e i Profeti è la morte e risurrezione di Cristo. E reinterpreta e rilegge i testi anticotestamentari in modo nuovo e originale pur adoperando procedimenti esegetici non dissimili da quelli del giudaismo palestinese e alessandrino. Come Plutarco, egli fa ricorso alle autorità scritte nella letteratura greca del suo tempo. Ciò che cambia è l’orizzonte apocalittico-escatologico inaugurato dall’evento Cristo.
L’apostolo ricorre all’AT anche quando si rivolge a comunità composte in prevalenza da gentili, come quella ai Romani. Ciò significa che giudei e gentili sono diventati «uno in Cristo» ed egli ha evangelizzato le comunità dei gentili servendosi delle Scritture d’Israele. Nel capitolo successivo fa rilevare che, se ci si basa sulla presentazione della Legge in Galati, sembrerebbe che Paolo abbia una valutazione pressocchè negativa della Legge. Tanto più che solo in Gal 5,13-6,10 si legge una valutazione più positiva. Ma questo è dovuto all’esigenza di confutare l’opinione dei destinatari della necessità della circoncisione. L’apostolo dimostra che la Legge è stata promulgata in vista delle trasgressioni. Non afferma mai che non sia divina né che sia stata abrogata, sebbene relativizzata rispetto alla fede operante nella carità. Nel vivere la carità fraterna i credenti adempiono la Legge stessa, senza sottomettervisi, perché essa diventa legge di Cristo. Sono le «opere della Legge», ovvero quelle sulle purità alimentari che vietano la comunione di mensa tra giudei e gentili e quella che nega la fede nel Messia crocifisso, ad essere considerate inefficaci e negative. I capitoli quinto e sesto sono dedicati al conflitto tra i forti e i deboli in 1Cor 8- 10 e Rm 14-15.
Si tratta di una contesa reale: «ai forti e ai deboli non si può applicare la distinzione etnica tra giudeo-cristiani e gentilo-cristiani o quella sociale ed economica tra potentes e inferiores né, tantomeno, quella tra due gruppi separati, invitati a raggiungere l’unità intorno al vangelo paolino» (p. 178-179). Non conosciamo le proporzioni numeriche tra i due gruppi, anche se la ricerca sul contesto sociologico romano ha fatto importanti passi in avanti. Erroneamente si è parlato e si parla di «rigidismo etico che si è spesso attribuita al movimento farisaico» (179). Da Rm 14-15 abbiamo l’immagine di un apostolo che «condivide la situazione dei deboli, pur appartenendo ai forti nella fede» (179). Può essere applicata a Paolo l’espressione attribuita a Qumran ai farisei: gli uomini dalle «interpretazioni facili ». I contributi che provengono dalle nuove prospettive sulla visione storica e dall’analisi retorico-letteraria circa l’interpretazione della lettera ai Romani sono da prendere insieme per evitare che una visione esclusivamente storica faccia esaurire il contenuto della lettera nel conflitto tra forti e deboli e un approccio esclusivamente retorico abbia ripercussioni sull’interpretazione della Legge. Diventa necessario invece un uso combinato di entrambe le prospettive.
Nella conclusione abbiamo una panoramica globale sulle «nuove prospettive » enucleate nel corso del volume. Il merito del contributo di Pitta consiste nell’aver offerto al vasto pubblico, con la competenza che tutti gli riconosciamo, una sintesi approfondita e chiara degli sviluppi della ricerca paolina, dall’ipotesi di un fondamento comune tra il giudaismo e il cristianesimo ovvero il nomismo del patto di Sanders all’ipotesi di frammentazione del medio giudaismo in diversi giudaismi e del cristianesimo in differenti cristianesimi, come pure il dibattito sul quando sia avvenuta la separazione tra il giudaismo e il cristianesimo; dall’applicazione della sociologia alle origini del cristianesimo all’analisi retorica dell’epistolario paolino; dal rapporto tra legge e giustificazione da valutare alla luce del carattere non sistematico, ma situazionale e diversificato delle lettere, alla ricerca di un centro della teologia paolina come il «partecipazionismo dell’essere in Cristo» (12). La bibliografia finale ricca ed esauriente consente al lettore di continuare la propria ricerca per approfondirne i contenuti.
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose n. 1/2009
(http://www.facoltateologica.it/rivistadiscienzereligiose.html)
In occasione delle celebrazioni del bimillenario della nascita dell’apostolo Paolo, si sono notevolmente moltiplicate le pubblicazioni di contributi tesi a far conoscere, a livello divulgativo e scientifico, la personalità, l’opera e il messaggio di colui che, anche se a torto, è stato indicato come il “secondo fondatore del cristianesimo” (cf. F. Nietzsche e W. Wrede). A nostro avviso, gli studiosi e gli appassionati del genio paolino non possono mancare l’appuntamento con la lettura del saggio pubblicato da Antonio Pitta, ordinario di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Lateranense. In questo saggio, l’autore sviluppa il complesso rapporto tra Paolo, la Scrittura e la Legge. È un trinomio che lo stesso autore definisce quale «campo minato dell’esegesi paolina» (p. 11). A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, gli studi paolini hanno ricevuto un notevole impulso dai contributi della New Perspective, i cui sostenitori (su tutti: E.P. Sanders e J. D. Dunn) hanno rivisto in maniera significativa alcuni paradigmi classici dell’esegesi paolina (oltre ai titoli segnalati in bibliografia da Pitta [241-256], si vedano i recenti articoli: W. JOURDAN, Paolo e la «nuova prospettiva».
Esiste ancora la giustificazione per fede?, in Protestantesimo 63 [2008] 231-244; S. ROMANELLO, Dove si stanno dirigendo gli studi su Paolo? Alcune considerazioni in occasione dell’anno paolino, in Teologia 34 [2009] 15-32). In questo solco, si colloca anche la ricerca di Pitta, a giudizio del quale occorre parlare di New Perspectives, al plurale, a causa delle «diversificate revisioni in atto» (p. 12). Integrando la metodologia storico- critica e i contributi della retorica letteraria, il saggio offre un’ampia analisi dei luoghi in cui si rivela più intenso e fecondo il rapporto tra Paolo, la Scrittura e la Legge. Il primo capitolo è dedicato alla formazione farisaica dell’apostolo (15-54) e analizza quanto Paolo riferisce di sé in Gal 1,13-17 e Fil 3,2-6, dai quali si deduce che il giudaismo citato in Gal 1,13.14 «è quello farisaico e non quello di matrice apocalittica, qumranica o sadducea». I testi soprammenzionati sono inseriti in contesti di dialettica polemica con gli avversari di Paolo; la questione circa la loro identità è il tema del secondo capitolo (55-80), in cui Pitta passa in rassegna i passi della 2Cor che si riferiscono agli antagonisti giudeo-cristiani, provenienti dall’esterno della comunità e impegnati a discreditare l’apostolato paolino. Anche in Galazia, Paolo è costretto a cimentarsi con un gruppo di sobillatori che predicano come necessaria in vista della salvezza l’adesione alla Legge mosaica e la pratica della circoncisione. Infine, in Fil 3,2-16, Paolo esorta i suoi destinatari a prendere le distanze da coloro che sono definiti “cattivi operai” e persino “cani”; l’autore è propenso a identificarli con oppositori cristiani di origine giudaica. Al rapporto tra Paolo e le Scritture è dedicato il terzo capitolo del volume (81- 130).
I procedimenti esegetici cui Paolo fa ricorso per interpretare i testi sacri non costituiscono una novità nel panorama del giudaismo palestinese e alessandrino; assolutamente inedite sono, invece, la rilettura e l’interpretazione che l’apostolo compie del messaggio scritturistico a partire dall’evento apocalittico della morte e risurrezione di Cristo. I capitoli quarto, quinto e sesto studiano le profonde connessioni tra le Scritture e la Legge mosaica e fanno leva sulla lettera ai Galati (131-160) e ai Romani (161- 221). Nella corrispondenza epistolare con i galati, Paolo si impegna, da un lato, a negativizzare la Legge, in quanto non è in grado di offrire la vita e, dall’altro, a relativizzarla, poiché giunge al suo pieno compimento nell’amore. All’interno delle comunità romane si registra il conflitto tra i forti e i deboli (cf. Rm 14,1-15,13), corrispondenti «a due categorizzazioni morali o etiche che si pongono al di là delle distinzioni tra il giudeo-cristianesimo e l’etnico-cristianesimo», legato a questioni di purità alimentare, come si evince in Rm 14,14. Il pericolo soggiacente alla polemica forti-deboli è «di ricadere nella condizione di chi, nonostante sia stato giustificato in Cristo, si apre alla condanna reciproca e a quella finale». In realtà, con la morte di Cristo, la Legge è divenuta adiaphoron, cioè indifferente in quanto non ha più alcun potere su quelli che appartengono a Cristo.
Le conclusioni (223-239) offrono un bilancio delle nuove prospettive e, nel contempo, una proiezione sulle conseguenze per la teologia paolina; gli argomenti sono organizzati in base a tre direttrici: storia e sociologia del Nuovo Testamento; retorica e intertestualità; nuovi ritratti su Paolo. Nel suo complesso, il volume di Pitta ha il merito di offrire uno sguardo panoramico esaustivo sulle nuove prospettive inaugurate dalla pubblicazione di E. P. Sanders (Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione, Brescia 1986), pur non mancando di esprimere delle riserve verso taluni approdi ermeneutici (cf. p. 234).
Tratto dalla rivista Asprenas n. 4/2009
(http://www.pftim.it)
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