Voglio, dunque sono
-La teologia morale di Giuseppe Angelini
(Etica teologica oggi)EAN 9788810406120
Angelini è uno dei più noti rappresentati della scuola teologica milanese (cf. Regno-att. 8,2011,273). I due saggi di apertura, che costituiscono la I parte del vol., tentano di offrire sia una versione abbreviata del suo progetto teologico, sia una sua valutazione critica. La II rilegge alcuni dei principali temi della morale fondamentale ponendoli a confronto con il suo pensiero. Complessivamente, il testo raccoglie i frutti di un’attività più che trentennale di studio e d’insegnamento della disciplina.
Tratto dalla Rivista Il Regno n.10
(http://www.ilregno.it)
Angelini è uno dei più noti rappresentati della scuola teologica milanese (cf. Regno-att. 8,2011,273). I due saggi di apertura, che costituiscono la I parte del vol., tentano di offrire sia una versione abbreviata del suo progetto teologico, sia una sua valutazione critica. La II rilegge alcuni dei principali temi della morale fondamentale ponendoli a confronto col suo pensiero. Complessivamente, il testo raccoglie i frutti di un’attività più che trentennale di studio e d’insegnamento della disciplina.
Tratto dalla Rivista Il Regno n.12
(http://www.ilregno.it)
Il volume raccoglie diversi testi, sei per la precisione. Il primo, La teologia morale di G. Angelini. Una visione sintetica (pp. 13-72), è firmato da G. Quaranta, docente di teologia morale presso la Facoltà teologica del Triveneto. Si tratta di una fedele e lineare esposizione, accompagnata da puntuali rilievi e osservazioni, dell’opera più significativa di G. Angelini, la sua teologia morale fondamentale. Il secondo testo, Il progetto teologico-morale di G. Angelini. Esposizione e considerazioni critiche (pp. 79-145), è frutto di una collaborazione tra G. Quaranta e M. McKeever, professore di teologia morale all’Accademia Alfonsiana di Roma.
La teologia morale fondamentale di Angelini viene ripresa e sottoposta al vaglio di un’attenta valutazione critica che si articola in due parti: la prima, «Identità e compiti della teologia morale fondamentale», ricostruisce nelle sue linee essenziali la teoria generale della morale che gli autori ritengono di intravedere nelle analisi e nelle riflessioni di Angelini; la seconda, «Considerazioni critiche e valutazione globale», rileva pregi e difetti del pensiero e dell’opera del teologo milanese cogliendone stimolanti prospettive di crescita e di sviluppo per il rinnovamento della teologia morale. Il terzo testo, La teologia morale si trova in “crisi epistemologica”? Una lettura della teologia morale fondamentale di G. Angelini alla luce del pensiero di Alasdair McIntyre sulle crisi epistemologiche (pp. 147-171), è a firma di M. McKeever ed è un tentativo di accostare il progetto teologico di Angelini a quello filosofico di A. McIntyre, entrambi impegnati, secondo l’autore, a ripensare e ricalibrare statuto e metodo delle rispettive discipline, investite nella modernità da una profonda crisi epistemologica e bisognose di ripensamenti radicali.
Il quarto testo, Il “posto” della Bibbia nei manuali di teologia morale (pp. 173-200), vede nuovamente McKeever e Quaranta insieme, nel tentativo di analizzare come viene trattato il tema «Bibbia e morale» in diversi manuali di teologia morale recenti (B. Häring, R. Gula, K. Demmer, E. Chiavacci, L. Melina - J. Noriega - J.J. Perez-Soba). La conclusione cui pervengono gli autori è che il manuale di Angelini rappresenta un notevole passo in avanti nel modo di trattare il testo biblico in teologia morale. E il motivo è che il rapporto tra Bibbia e morale Angelini lo comprende nel contesto più generale del rapporto tra fede e morale: dato, questo, che lo costringe a pensare in termini piú complessi e raffinati l’ermeneutica teologico-morale della Scrittura.
Gli ultimi due testi, il quinto, La legge morale naturale in G. Angelini, di S. Zamboni, docente di teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana, e il sesto, la postfazione di Angelini, Critica della dottrina e ascolto della coscienza, rappresentano senz’altro un prezioso complemento al volume. S. Zamboni, dopo aver apprezzato il tentativo di Angelini di ripensare la teologia morale “ab imis”, dai suoi fondamenti, gli rivolge tre domande, che non solo ripropongono la tesi portante della sua opera, in base alla quale la tradizione cattolica avrebbe privilegiato in modo esagerato l’apporto della ratio a scapito della libertà/volontà dell’uomo, ma lo invitano a precisare meglio il suo pensiero in ordine a tre questioni: se vi sia un “logos” nell’agire dell’uomo mediante il quale egli viene a coscienza di ciò che lo costituisce; se il modo in cui l’“originario” si offre all’uomo possa rivelare l’identità costitutiva (natura) del suo essere; se il rapporto tra legge naturale e rivelazione cristiana non possa venire ulteriormente e piú chiaramente analizzato: mancherebbe infatti una riflessione approfondita sul proprium cristiano.
Angelini replica dichiarandosi anzitutto piacevolmente sorpreso e riconoscente per l’attenzione che i colleghi hanno riservato al suo manuale. Ammette molto onestamente che vi sono «difetti di incompiutezza» nel suo manuale e addirittura «la presenza residuale di vecchi codici» della tradizione. Ma su un punto non arretra, esprime anzi «franco dissenso». Ed è proprio il punto su cui si è maggiormente soffermata e concentrata la critica dei recensori, la radicalità della sua «ritrattazione» della tradizione dottrinale da lui accusata di intellettualismo, razionalismo, logicismo. «La recensione degli amici dell’Alfonsiana – osserva – appare prima di tutto interessata alle molteplici suggestioni che la mia ritrattazione della tradizione dottrinale propone; e tuttavia alla fine essi, tornando sempre da capo, si riferiscono a quella tradizione per elevare consistenti obiezioni al mio discorso» (p. 221).
Un modo gentile e rispettoso per dire che forse non hanno chiara consapevolezza del circolo vizioso dentro al quale si muovono e che vi è un solo modo per uscire da quel circolo vizioso e non lasciarsi irretire nelle maglie di una riflessione filosofico-razionale previa. «Nella mia prospettiva – precisa – l’esigenza urgente che la teologia morale accordi attenzione al momento fondamentale non equivale alla richiesta di un momento di riflessione filosofica, in ipotesi possibile alla luce della ragione; comprende invece anche il momento della ricognizione fenomenologica, e rispettivamente dell’ermeneutica biblica» (p. 238-239). Parole, queste, che vanno ben oltre la «pars destruens» che solitamente viene imputata ad Angelini e lasciano intravedere una «pars construens» degna di grande attenzione da parte dei cultori di teologia morale, inclini troppo spesso – questa in sostanza la denuncia – a interpretare il rinnovamento della teologia morale auspicato dal concilio come una specie di ripulitura delle categorie della morale generale, magari riverniciate a nuovo con qualche citazione biblica, senza entrare nel merito di un vera e propria teologia morale fondamentale.
Per la verità a denunciarlo non è solo Angelini, lo denunciano anche, pur non concordando con la sua critica radicale della tradizione, i suoi recensori. Il fatto è che l’accusa di intellettualismo che Angelini rivolge alla riflessione moral-teologica tradizionale potrebbe venire facilmente rovesciata dai suoi critici in un’accusa di volontarismo, che non sarebbe difficile imputare al manuale di Angelini nella misura in cui, pur criticando aspramente la cosiddetta «antropologia delle facoltà», riprende il filone agostiniano-francescano-ockamista della libertà/volontà come esperienza e base portante della riflessione. Non è però questa la strada da percorrere. Il mancato rinnovamento della teologia morale non dipende soltanto dall’impostazione intellettualistica della tradizione che secondo Angelini continuerebbe ad operare nella teologia morale, lasciando tracce persino nel suo stesso manuale. E non dipende nemmeno soltanto dalla mancata integrazione di elementi nuovi dentro la tradizione vigente, come vorrebbero i suoi recensori.
Dipende piuttosto da una duplice incapacità o, forse meglio, difficoltà che la riflessione teologico-morale incontra e non riesce a superare, e a volte neppure a percepire. Da una parte la difficoltà di articolare meglio in tutta la sua complessità la riflessione sull’esperienza morale nei suoi molteplici risvolti descrittivi, normativi, formativi e fondativi: di qui la confusione logica e metodologica di un discorso morale che non distingue spesso i diversi piani della riflessione. Dall’altra la difficoltà di elaborare un sistema, una teoria morale, in grado di supportare e dirimere in modo rigoroso e convincente una serie di conflitti e dilemmi che la coscienza, anche la coscienza credente, non sembra piú in grado di risolvere e d’altra parte è chiamata quotidianamente ad affrontare nella società pluralistica. Non basta quindi affermare che l’etica normativa non è sufficientemente radicale per cogliere le sottili e quasi invisibili contraddizioni di un costume che la rende funzionale a visioni dell’uomo e del mondo di matrice neo-contrattualistica o neo-utilitaristica che impediscono al soggetto la percezione delle evidenze etiche che innervano l’esperienza umana.
E' logico, sotto questo profilo, che Angelini e in parte i suoi recensori e critici auspichino il superamento della cosiddetta morale casistica, di volta in volta scambiata – e qui sta l’equivoco – con un’etica normativa poco rigorosa o con l’uso direttivo che ne hanno fatto in epoca post-tridentina confessori e padri spirituali poco illuminati. Di qui due domande cruciali: se se si possa fare teologia morale senza una casistica, una rigorosa analisi di casi o problemi morali; e se si possa operare tale analisi senza una teoria etico-normativa rigorosa, scientificamente attrezzata, in grado di aiutare il soggetto a individuare la norma morale in tutta la sua obiettività e assolutezza, in riferimento sia all’atteggiamento che al comportamento. Impostato in questi termini il problema diventa quello delle argomentazioni mediante le quali fondare la norma morale. Che sono sostanzialmente due: l’argomentazione teleologica, in base alla quale la verità o falsità delle azioni dipende in ultima analisi dai valori o non valori che ne conseguono; e l’argomentazione non teleologica o deontologica, in base alla quale il giudizio non dipende esclusivamente dai valori o non valori delle conseguenze, ma anche da altri fattori. Non c’è chi non veda, a questo punto, come si possano commettere errori sia a livello etico-normativo, come anche a livello etico-formativo.
A livello etico-normativo gli errori possono essere di natura empirica, storico-genetica, oppure di natura assiologica, di comparazione, soppesamento e bilanciamento dei valori. A livello etico-formativo, invece, gli errori si verificano quando si scambia un problema teorico, di valutazione, con un problema pratico, di coerenza Mentre il primo chiama in causa l’intelligenza, il ragionamento, il secondo chiama in causa la volontà, la libertà. Ciò che importa è individuare con precisione dove si colloca il problema e affrontarlo in modo corretto mediante argomentazioni, se si tratta di un problema di valutazione, mediante esortazioni, se si tratta di un problema di coerenza. Scambiare un problema con un altro non giova a nessuno, tanto meno alla maturazione e alla crescita di una coscienza morale credente.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2011
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Con questo lavoro gli AA. intendo proporre all'attenzione e allo studio dei cultori della disciplina teologico-morale l'opera di G. Angelini Teologia morale fondamentale, apparsa oltre dieci anni fa. I motivi di una tale insolita proposta sono essenzialmente due. Primo, Angelini presenta, seppure in una forma frammentaria, un vero progetto teologico-morale, una concezione della morale «molto più dinamica e coinvolgente e persino attraente» (136), distinguendosi da molte altre opere recenti, le quali affrontano gli inquietanti interrogativi morali del nostro tempo in termini rarefatti, astratti, informativi più che riflessi e formativi (cf 13). Secondo, le recensioni più o meno immediatamente successive alla pubblicazione del poderoso volume di Angelini, sebbene siano di studiosi qualificati, a causa della loro natura sintetica presentano soltanto un'esposizione dei contenuti e qualche commento critico poco articolato, di per sé insufficienti ad aprire un confronto sulla consistenza e il valore dell'opera nella sua interezza. Ora, a giudizio degli AA., tale confronto è necessario, poiché Angelini, a differenza di molti suoi colleghi, ha l'abitudine di vedere i problemi dove ci sono, e ha la capacità e la tenacia non comuni di affrontare e rielaborare i nodi problematici (cf 134.138). Una discussione vivace sul suo progetto è pertanto più che auspicabile, al fine dell'elaborazione di proposte teoretiche che «sappiano chiarire in termini concettualmente precisi e pertinenti il profilo dell'esperienza morale stessa e del sapere che le è più proprio» (13). Sostenuti da questi motivi gli AA. non si sono sottratti alla fatica di raccogliere in un quadro unitario e coerente le numerose indicazioni sparse nell'opera, affrontando oltre 650 pagine di non immediata comprensione, allo scopo di invogliare il lettore a studiarla personalmente.
Il volume, composto da quattro capitoli più un saggio e la Postfazione di Angelini, si apre con il capitolo di G. Quaranta, dal titolo: La teologia morale fondamentale di G. Angelini. Una visione sintetica (13-78). In esso si espone l'opera rendendo con un linguaggio più chiaro le formule linguistiche meno accessibile e i passaggi più ostici per i lettori non iniziati alla "scuola milanese". Si tratta di una sorta di parafrasi sintetica, senza sovrapporvi valutazioni personali. Il capitolo seguente: Il progetto teologico-morale di G. Angelini. Esposizione e considerazioni critiche (79-145) è scritto da entrambi gli AA., ed è il più importante. In esso non ci si accontenta di esporre con chiarezza e in dettaglio il contenuto dell'opera, ma si mette a fuoco l'"idea" o la "figura" di teologia morale in essa presente articolandola in cinque postulati: a) la necessità di un ripensamento radicale della teologia morale; b) l'effettiva carenza della riflessione teorica sull'agire morale a causa dell'intellettualismo che privilegia l'aspetto cognitivo a svantaggio della dimensione volitiva e affettiva, e che separa il sapere morale della ragione da ogni riferimento alla storia e alla tradizione; la necessità di partire dalla coscienza morale intesa non come facoltà e conoscenza dei primi principi, ma come esperienza morale che, includendo la coscienza psicologica o presenza a sé mediante le forme dell'agire, rivela al soggetto di "avere dei doveri" e soprattutto di "essere in debito di sé" nei confronti di altro da sé; d) il vantaggio di un approccio di tipo fenomenologico per la comprensione più adeguata della morale, della fede e del loro rapporto reciproco; e) la teologia morale come spiegazione adeguata che l'esperienza umana universale esce dalla sua indeterminatezza solo grazie al Vangelo.
Valutando globalmente l'idea di teologia morale enucleata nei cinque postulati suddetti, gli AA. segnalano la preferenza di Angelini per la teologia morale fondamentale piuttosto che per quella generale. La prima svolge una riflessione di ordine filosofico sull'esperienza morale inscritta in ogni uomo, articola l'esperienza morale in categorie non esclusive della tradizione cristiana e rende possibile l'incontro della coscienza interrogante con il vangelo; la seconda, invece, si occupa delle principali nozioni del discorso morale cristiano (atto umano, legge, coscienza, peccato) (cf 114). Questo sbilanciamento è giudicato negativamente perché rende la proposta del teologo milanese difficilmente integrabile con la tradizione esistente e, di conseguenza, poco promettente in vista di un effettivo miglioramento della disciplina. Altro punto particolarmente problematico e insidioso è l'affermazione centrale che «soltanto mediante la fede nel vangelo il soggetto può venire a capo di quella verità che fin dall'inizio è iscritta nell'esperienza immediata della coscienza morale» (cit. a p. 127). Per gli AA. questa asserzione che Angelini propone come conclusione della sua argomentazione è in realtà il suo punto di partenza, che andrebbe giustificato teoricamente. Ciò, se non impossibile, è cosa molto ardua, per cui quello che si deve ammettere è che il vangelo è capace di interpretare le attese, gli interrogativi e le invocazioni della coscienza morale come lo sono i testi delle grandi religioni e le tradizioni sapienziali dell'umanità, con la sola differenza di qualità e di livelli di profondità (cf 130). Nel terzo capitolo (147-171) M. McKeever persegue lo scopo di «discernere se la condizione attuale della teologia morale illustrata da Angelini corrisponda effettivamente a ciò che MacIntyre descrive come situazione di crisi epistemologica» (153). In effetti, l'analisi del teologo milanese mostra che la crisi attuale della disciplina teologico-morale è di natura epistemologica: non può essere risolta sulla base delle attuali conoscenze in suo possesso, poiché concerne i presupposti, le conoscenze, le teorie e i criteri della disciplina stessa, e ha gravi ripercussioni sulla vita della comunità credente e sulla sua presenza nella società civile. La riflessione di Angelini concorda con MacIntyre anche per quanto riguarda la proposta di superamento della crisi. Egli non ha ignorato le nuove scoperte empiriche e teoriche che hanno messo sotto scacco la teologia morale, ma si è confrontato con il sapere delle scienze sociali, soprattutto con la filosofia, costruendo l'argomento centrale del libro intorno al "metodo fenomenologico". La griglia ermeneutica offerta da MacIntyre ha consentito a McKeever di riconoscere nella proposta di Angelini sia il merito di offrire «uno strumentario concettuale necessario» in quanto assente nella tradizione, sia il limite già segnalato di non fornire una teoria generale della morale che permetta «l'integrazione di elementi nuovi entro la tradizione vigente oppure la proposta di una nuova tradizione o, almeno, di un nuovo ramo della tradizione classica» (169). Nonostante questa incompletezza, l'opera Teologia morale fondamentale costituisce una sfida ineludibile, al punto che si deve parlare di «fare teologia morale "dopo Angelini"» (167). Nel quarto capitolo: Il "posto" della Bibbia nei manuali di teologia morale fondamentale (173-200) i due autori espongono quale sia il rapporto tra Bibbia e morale in alcuni manuali recenti al fine di meglio valutare l'apporto di Angelini al riguardo. I manuali sono: Liberi e fedeli in Cristo (B. Haring); Reason informed by faith (R. Gula); Fondamenti di etica teologica (K. Demmer); Teologia morale fondamentale (E. Chiavacci); Camminare nella luce dell'amore (L. Melina J. Noriega J.J. PéerezSoba). Dall'analisi di questi testi, consapevoli in egual misura del ruolo centrale della Scrittura nella morale fondamentale, ma molto diversi per la prospettiva di indagine, gli AA. deducono che il rapporto Bibbia-morale sia diventato un vero e proprio nodo teorico. Per scioglierlo, essi suggeriscono una griglia interpretativa formata da quattro domande: Come l'autore intende il compito rispetto al tema 'Bibbia e morale'?; Che cosa intende l'autore per "morale"?; Quale logica architettonica guida una determinata collocazione della Bibbia nella struttura di un manuale?; Quali sfide ermeneutiche conseguono alla collocazione scelta?. Con questi interrogativi gli AA. ritornano sul volume di Angelini, nel quale lo studio della Bibbia occupa quasi la metà delle pagine (241551). La forte novità di Angelini in accordo con l'impostazione della sua riflessione si mostra nel presentare la Scrittura come una teologia dell'esperienza credente che è in grado di accogliere e rendere ragione di ogni esperienza umana, inclusa quella morale.
Nella Postfazione (221-245) Angelini risponde all'ampia, articolata e approfondita recensione di G. Quaranta e M. McKeever. Rammentando la genesi del suo volume, egli riconosce e spiega sia i difetti di incompiutezza, sia la presenza di formule linguistiche non del tutto coerenti con il suo pensiero più maturo, sia una certa sproporzione tra le parti e i tratti di dispersione. Su alcuni nodi essenziali del suo pensiero, Angelini non solo non recede, ma marca ancora di più la distanza dai recensori. Riguardo alla tradizione precedente afferma che non è affatto sua intenzione integrarsi, come vorrebbero i suoi recensori. Ciò che egli propone è un «mutamento radicale dell'impianto teorico complessivo», il superamento dell'«antropologia delle facoltà», del «modello del pensiero naturalistico o sostanzialistico» (cf 240s). Riguardo alla tradizione precedente egli propone una rivoluzione simile a quella del sistema copernicano rispetto a quello tolemaico. Riguardo alla critica di uno sbilanciamento che privilegia la morale fondamentale a scapito di quella generale Angelini chiarisce che l'«attenzione al momento fondamentale non equivale alla richiesta di riflessione filosofica, in ipotesi possibile alla luce della sola ragione; comprende invece anche il momento della ricognizione fenomenologica, e rispettivamente dell'ermeneutica biblica» (238s). Di conseguenza si apre un'ulteriore distanza tra i recensori e Angelini circa il rapporto del vangelo con l'esperienza morale universale. Mentre i recensori sembrano far proprio il presupposto dell'autosufficienza della filosofia morale, il teologo milanese ritiene che «a monte del riferimento alla rivelazione cristologica di Dio la forma morale della vita umana è un enigma, è un interrogativo sospeso, non invece un "ordine" avallato dall'evidenza della ragione» (237).
Nella Postfazione, se siamo stati attenti, non c'è alcun riferimento alle tre domande sulla legge naturale che S. Zamboni ha rivolto ad Angelini nel saggio dal titolo: La legge morale naturale in G. Angelini, e che costituisce il quinto capitolo del libro (201-219). 1) Vi è un logos in quell'agire mediante il quale vengo a coscienza di ciò che mi costituisce? 2) Come l'"originario" si offre all'uomo quale identità costitutiva (natura) del suo essere? 3) Come va concepito il rapporto tra legge naturale e rivelazione cristiana? Dispiace che a queste domande non sia stata data una risposta diretta. L'invito di Zamboni a riflettere sia sul logos che si manifesta nell'agire in cui il soggetto perviene alla conoscenza dei suoi doveri e, soprattutto, di sé come essere in debito di sé nei confronti di altro da sé (essere generato, essere figlio), sia sul proprium cristiano connesso con il disegno del Padre di rendere l'uomo figlio nel Figlio, non solo aiuta la riflessione di Angelini a evitare il rischio del formalismo (cf 217), ma è stimolante anche per M. McKeever e G. Quaranta, poiché dischiude una via diversa da quella indicata da Angelini per giungere alla conclusione che il Vangelo (la Parola fatta carne) non è solo una risposta tra le altre più profonda all'esperienza umana e morale universale, ma è la soluzione del mistero dell'uomo: Reapse nonnisi in mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit (GS 22). Inoltre, ci pare che gli AA., nel riflettere sul rapporto Bibbia e morale e nel valutare al riguardo l'opera di Angelini, non abbiano sufficientemente tenuto in conto che la Parola di Dio è l'Alfa e l'Omega della creazione: «La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all'umanità» (Benedetto XVI, Verbum Domini, 11). Più che su Bibbia e morale si dovrebbe riflettere su «Cristologia della Parola» (Id., 12) e morale. A partire da questa prospettiva, chissà che il panorama offerto dalle pubblicazioni recenti nel campo degli studi teologico-morali non sia meno sconfortante di quanto pensino i due autori?
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2013
(http://www.rassegnaditeologia.it)
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