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Epistolario Clemente Rebora [vol_1] / 1893-1928. L'anima del poeta
(Scienze religiose)EAN 9788810403990
Esaurito
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Tipo
Libro
Titolo
Epistolario Clemente Rebora [vol_1] / 1893-1928. L'anima del poeta
Autore
Clemente Rebora
A cura di
Carmelo Giovannini
Editore
Edizioni Dehoniane Bologna
EAN
9788810403990
Pagine
736
Data
gennaio 2005
Peso
1240 grammi
Altezza
24 cm
Larghezza
16,5 cm
Profondità
3,5 cm
Collana
Scienze religiose
COMMENTI DEI LETTORI A «Epistolario Clemente Rebora [vol_1] / 1893-1928. L'anima del poeta»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Epistolario Clemente Rebora [vol_1] / 1893-1928. L'anima del poeta»
Recensione di Pio Pampaloni della rivista Studia Patavina
A dieci anni di distanza dall’avvio del «Progetto Rosmini» - intrapreso presso l’Istituto Trentino di Cultura in Trento e sviluppatosi con fasi diverse come è precisato da Antonio Autiero nella «prefazione» (pp. V-VIII) - esce questo volume: il primo di una trilogia intesa ad integrare e rivisitare con rigore critico la produzione epistolare di Clemente Rebora (1885-1957) dopo il lavoro pionieristico svolto negli anni ’70 da Margherita Marchione.
Complessivamente sono riportati 1031 documenti, quasi tutti dello stesso Rebora, che mettono in luce la tormentata evoluzione esistenziale del poeta a partire dagli 8 anni fino al 1928, cioè sino alle soglie del suo ancorarsi al cristianesimo. Il materiale è vario - lettere, cartoline postali o illustrate, biglietti più o meno ampi, telegrammi, ecc.-, non di rado arricchito da intuizioni che anticipano «Frammenti Lirici» o da intere poesie. Vi è, insomma, tutto quello che si è potuto reperire.
Ad ogni missiva è premesso un breve compendio che evidenzia subito i sentimenti e le idee più significativi in essa espressi, seguono: una descrizione del materiale usato per la corrispondenza, il te-sto integrale ed opportune note esplicative. Completa, infine, il volume una contenuta bibliografia del-le opere «di e su» Rebora (pp. 711-712), l’indice dei destinatari (pp. 713-714) e l’indice generale dei nomi reperibili (pp. 715-721).
Già da un primo rapido scorrere le pagine della pubblicazione si coglie quanto numerose siano le persone con cui Clemente Rebora tesse il suo dialogo epistolare. Ne ricordiamo alcune. In primo luogo i familiari: singolare la sintonia di affetti e pensieri che emerge sopra tutto con la madre Teresa, il fratello Piero e la sorella Marcella, pur nel contesto di una critica aperta agli schemi razionalistici del padre Enrico al quale precisa: «Io sto con Buddha Cristo Dante Bruno Vico Alfieri e Leopardi» (72, p. 63). Vengono, quindi, gli amici del gruppo letterario formato negli anni di università: Antonio Banfi, Angelo Monteverdi, Daria Malaguzzi. La corrispondenza si estende, poi, a Giuseppe Prezzolini - inteso come «l’alfiere d’un rinnovamento morale e pratico» (122, p. 100) -, a Giovanni Boine, Bruno Furlotti, Francesco Meriano, l’editore Enzo Ferrieri, l’amica russa Olga Resnevic Signorelli e ad altre simpatizzanti come: Lavinia Mazzucchetti, Bice Jahn Rusconi, Rosita Bentivegna, Adelaide Coari. Affettuosissime le lettere che intercorrono, tra il 1914 ed il 1925, con la scrittrice Sibilla Aleramo, benché il legame amoroso più intenso - una «passione folle» (317, p. 253) - si riveli quello con Lydia Natus Rivolta, una stimata pianista di origini russe che diverrà, almeno fino al 1919, compagna fedele e fertile ispiratrice, tanto che il poeta giungerà a dare disposizione «di essere cremato avvinto a lei» (364, p. 287). Meno abbondanti ma non meno significativi, infine, i rapporti epistolari con Giovanni Papini, il colonnello Clemente Capistro, il pittore Michele Cascella, il poeta Rabindranath Tagore.
Da questo molteplice carteggio emerge tutta la ricca personalità del mittente tanto nel cogliere e valutare gli eventi marginali della quotidianità quanto nel manifestare la complessità dei suoi sentimenti ed aspirazioni o le intense riflessioni sulle enigmatiche componenti del vivere umano.
Spirito inquieto, conscio fin da piccolo della sua «indole bisbetica» (7, p. 8) ma in costante ricerca del senso autentico della vita, Rebora fa intuire che impronta via via l’espressività del suo esistere su ideali mutuati da Mazzini, dai mistici: Francesco d’Assisi, Gioacchino da Fiore e Andrzej Towianski, dal poeta polacco Adam Mickiewicz, dal pensiero orientale - quello di Gandhi in particolare -, senza, però, approdare all’ubi consistam definitivo. Nell'inquietudine che lo tormenta, gli sono di sostegno: l’affetto degli amici, lo studio della musica, il contatto con la natura nelle escursioni in montagna, l’interesse per la filosofia - pur conscio che «non è possibile ragionare dove è bisogno vivere» (142, p. 115) -, l’approccio alla letteratura e cultura russe.
I primi incarichi scolastici gli fanno sperimentare la difficile condizione dell’insegnante precario (103, p. 82-83), benché attenda con dedizione assoluta a ciò che sente come una missione in sintonia con gli «sforzi eroici di un’infima minoranza» che, in una «scuola falsa e farabuttesca» (147, p. 119), sa coglierne ancora l'importanza come «plasmatrice della coscienza» (875, p. 584). In quest’ottica educativa, rende noto di avviare la collana «Libretti di vita» - poco fortunata, in verità, perché verrà sospesa già nel ’26 - nella convinzione di poter così concorrere ad aiutare la formazione «di un’unità umana di coscienza, mettendo soprattutto in luce quanto ci possa unire verso un affratellamento futuro anziché ciò che ribadisca la inconciliabilità delle credenze» (795, p. 533).
Emerge qui in nuce la sua filosofia della storia incentrata nell’attesa di un’epoca nuova che occorre, comunque, promuovere con «il sincero tendere a qualcosa che ci salvi», giacché «tutto il resto non è che, più o meno, gioco e sensibilità di bilance per commercianti» (644, p. 453), specie in un contesto in cui «l’anticristo è tutto il mondo moderno in quanto vive praticamente senza Dio, senza Amore, Senza Vita, senza eternità davanti a sé» (928, p. 633). Del resto, poco più che ventenne, aveva già scritto di Milano: «mi affogo in codesta città di fango e di lucro» (85, p. 72).
Vi sono, però, anche molte altre tematiche che Rebora sviluppa ampiamente nella sua corrispondenza. Basti accennare alle considerazioni sulla donna, sull’amicizia e l’amore o a quelle sul significato della sofferenza interiore, sulla contrapposizione fra ragione e cuore, sulla funzione della poesia e della fede, sulla vita come «servizio concreto». Né meno interessanti risultano le concise annotazioni riguardanti Dante, Leopardi, Benedetto Croce, Gabriele D’Annunzio, il positivismo, l’incipiente fascismo o il bolscevismo, il «nodo gordiano» di Roma (893, p. 598), l’Inghilterra, l’Italia, l’Europa. E si potrebbe continuare. Ma non si può certo tralasciare di ricordare l’ampia testimonianza che in molte missive, a partire dal ’14, il poeta dà contro la guerra: «tremendo festino di Moloch» (885, p. 590), che anche a lui costerà sofferenze tanto indelebili da obbligarlo ad un temporaneo ricovero in un centro neuro-psichiatrico.
Particolarmente significative in tema di assurdità dell’attività bellica sono le «Lettere dalla zona di guerra» (pp. 288-311) e quel piccolo capolavoro che è, a mio giudizio, lo scritto inviato nel ’25 al colonnello Clemente Capistro (885, pp. 589-591). In questo Rebora rivela pure che la sua «conversione» ebbe inizio proprio al fronte, perché fu lì che «cominciò l’agonia del vecchio e la nascita dell’ordine nuovo» (ibid., p. 590). Non sorprende, quindi, che, nemmeno tre anni più tardi, con una cartolina postale chieda all’amica Adelaide Coari di procurargli un’edizione recente con testo latino e italiano «della Bibbia approvata dalla Chiesa» e «gli Atti o le Memorie di Perpetua, martire cartaginese» (1018, p. 699). È questo un indizio chiaro che il viaggio intrapreso verso il cattolicesimo, anzi verso «istituzioni non soltanto contingenti e filantropiche, ma perpetue e missionarie» (1026, p. 706) - come scrive a Bice Jahn Rusconi - sia ormai prossimo alla sua conclusione. Ma su ciò, credo, avranno molto da dirci le successive pubblicazioni in programma.
Mi pare, allora, che già il poco estratto dal contenuto di questo primo volume sia sufficiente a comprovare l’utilità che l’edizione offre per cogliere non solo l’animo del poeta ma anche tutto il retroterra della sua attività, delle sue pulsioni liriche, delle pubblicazioni realizzate e del suo stesso pensiero.
Il lavoro curato da Giovannini merita quindi, fin da questa prima fase, un plauso sincero perché si dimostra strumento essenziale alla comprensione dei primi quarant’anni di vita d’una delle «tre o quattro» figure letterarie del XX secolo che - secondo Carlo Bo (p. VIII) - sono degne di «essere traghettate nel terzo millennio» e stimola ad attendere con vivo interesse il suo completamento.
Spiace, semmai, non trovare fin d’ora un «indice delle principali tematiche» presenti nella corrispondenza, perché ciò avrebbe costituito un valido filo d’Arianna per seguire e correlare i diversi argomenti prospettati da Rebora nel complesso dei suoi dettati epistolari. Può darsi, per altro, che ciò sia giustamente in programma nel III volume a conclusione della trilogia prevista. Non resta, dunque, che aspettare.
Nella sest’ultima riga di p. 584 c’è un refuso di stampa: un nulla su oltre 700 pagine.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Complessivamente sono riportati 1031 documenti, quasi tutti dello stesso Rebora, che mettono in luce la tormentata evoluzione esistenziale del poeta a partire dagli 8 anni fino al 1928, cioè sino alle soglie del suo ancorarsi al cristianesimo. Il materiale è vario - lettere, cartoline postali o illustrate, biglietti più o meno ampi, telegrammi, ecc.-, non di rado arricchito da intuizioni che anticipano «Frammenti Lirici» o da intere poesie. Vi è, insomma, tutto quello che si è potuto reperire.
Ad ogni missiva è premesso un breve compendio che evidenzia subito i sentimenti e le idee più significativi in essa espressi, seguono: una descrizione del materiale usato per la corrispondenza, il te-sto integrale ed opportune note esplicative. Completa, infine, il volume una contenuta bibliografia del-le opere «di e su» Rebora (pp. 711-712), l’indice dei destinatari (pp. 713-714) e l’indice generale dei nomi reperibili (pp. 715-721).
Già da un primo rapido scorrere le pagine della pubblicazione si coglie quanto numerose siano le persone con cui Clemente Rebora tesse il suo dialogo epistolare. Ne ricordiamo alcune. In primo luogo i familiari: singolare la sintonia di affetti e pensieri che emerge sopra tutto con la madre Teresa, il fratello Piero e la sorella Marcella, pur nel contesto di una critica aperta agli schemi razionalistici del padre Enrico al quale precisa: «Io sto con Buddha Cristo Dante Bruno Vico Alfieri e Leopardi» (72, p. 63). Vengono, quindi, gli amici del gruppo letterario formato negli anni di università: Antonio Banfi, Angelo Monteverdi, Daria Malaguzzi. La corrispondenza si estende, poi, a Giuseppe Prezzolini - inteso come «l’alfiere d’un rinnovamento morale e pratico» (122, p. 100) -, a Giovanni Boine, Bruno Furlotti, Francesco Meriano, l’editore Enzo Ferrieri, l’amica russa Olga Resnevic Signorelli e ad altre simpatizzanti come: Lavinia Mazzucchetti, Bice Jahn Rusconi, Rosita Bentivegna, Adelaide Coari. Affettuosissime le lettere che intercorrono, tra il 1914 ed il 1925, con la scrittrice Sibilla Aleramo, benché il legame amoroso più intenso - una «passione folle» (317, p. 253) - si riveli quello con Lydia Natus Rivolta, una stimata pianista di origini russe che diverrà, almeno fino al 1919, compagna fedele e fertile ispiratrice, tanto che il poeta giungerà a dare disposizione «di essere cremato avvinto a lei» (364, p. 287). Meno abbondanti ma non meno significativi, infine, i rapporti epistolari con Giovanni Papini, il colonnello Clemente Capistro, il pittore Michele Cascella, il poeta Rabindranath Tagore.
Da questo molteplice carteggio emerge tutta la ricca personalità del mittente tanto nel cogliere e valutare gli eventi marginali della quotidianità quanto nel manifestare la complessità dei suoi sentimenti ed aspirazioni o le intense riflessioni sulle enigmatiche componenti del vivere umano.
Spirito inquieto, conscio fin da piccolo della sua «indole bisbetica» (7, p. 8) ma in costante ricerca del senso autentico della vita, Rebora fa intuire che impronta via via l’espressività del suo esistere su ideali mutuati da Mazzini, dai mistici: Francesco d’Assisi, Gioacchino da Fiore e Andrzej Towianski, dal poeta polacco Adam Mickiewicz, dal pensiero orientale - quello di Gandhi in particolare -, senza, però, approdare all’ubi consistam definitivo. Nell'inquietudine che lo tormenta, gli sono di sostegno: l’affetto degli amici, lo studio della musica, il contatto con la natura nelle escursioni in montagna, l’interesse per la filosofia - pur conscio che «non è possibile ragionare dove è bisogno vivere» (142, p. 115) -, l’approccio alla letteratura e cultura russe.
I primi incarichi scolastici gli fanno sperimentare la difficile condizione dell’insegnante precario (103, p. 82-83), benché attenda con dedizione assoluta a ciò che sente come una missione in sintonia con gli «sforzi eroici di un’infima minoranza» che, in una «scuola falsa e farabuttesca» (147, p. 119), sa coglierne ancora l'importanza come «plasmatrice della coscienza» (875, p. 584). In quest’ottica educativa, rende noto di avviare la collana «Libretti di vita» - poco fortunata, in verità, perché verrà sospesa già nel ’26 - nella convinzione di poter così concorrere ad aiutare la formazione «di un’unità umana di coscienza, mettendo soprattutto in luce quanto ci possa unire verso un affratellamento futuro anziché ciò che ribadisca la inconciliabilità delle credenze» (795, p. 533).
Emerge qui in nuce la sua filosofia della storia incentrata nell’attesa di un’epoca nuova che occorre, comunque, promuovere con «il sincero tendere a qualcosa che ci salvi», giacché «tutto il resto non è che, più o meno, gioco e sensibilità di bilance per commercianti» (644, p. 453), specie in un contesto in cui «l’anticristo è tutto il mondo moderno in quanto vive praticamente senza Dio, senza Amore, Senza Vita, senza eternità davanti a sé» (928, p. 633). Del resto, poco più che ventenne, aveva già scritto di Milano: «mi affogo in codesta città di fango e di lucro» (85, p. 72).
Vi sono, però, anche molte altre tematiche che Rebora sviluppa ampiamente nella sua corrispondenza. Basti accennare alle considerazioni sulla donna, sull’amicizia e l’amore o a quelle sul significato della sofferenza interiore, sulla contrapposizione fra ragione e cuore, sulla funzione della poesia e della fede, sulla vita come «servizio concreto». Né meno interessanti risultano le concise annotazioni riguardanti Dante, Leopardi, Benedetto Croce, Gabriele D’Annunzio, il positivismo, l’incipiente fascismo o il bolscevismo, il «nodo gordiano» di Roma (893, p. 598), l’Inghilterra, l’Italia, l’Europa. E si potrebbe continuare. Ma non si può certo tralasciare di ricordare l’ampia testimonianza che in molte missive, a partire dal ’14, il poeta dà contro la guerra: «tremendo festino di Moloch» (885, p. 590), che anche a lui costerà sofferenze tanto indelebili da obbligarlo ad un temporaneo ricovero in un centro neuro-psichiatrico.
Particolarmente significative in tema di assurdità dell’attività bellica sono le «Lettere dalla zona di guerra» (pp. 288-311) e quel piccolo capolavoro che è, a mio giudizio, lo scritto inviato nel ’25 al colonnello Clemente Capistro (885, pp. 589-591). In questo Rebora rivela pure che la sua «conversione» ebbe inizio proprio al fronte, perché fu lì che «cominciò l’agonia del vecchio e la nascita dell’ordine nuovo» (ibid., p. 590). Non sorprende, quindi, che, nemmeno tre anni più tardi, con una cartolina postale chieda all’amica Adelaide Coari di procurargli un’edizione recente con testo latino e italiano «della Bibbia approvata dalla Chiesa» e «gli Atti o le Memorie di Perpetua, martire cartaginese» (1018, p. 699). È questo un indizio chiaro che il viaggio intrapreso verso il cattolicesimo, anzi verso «istituzioni non soltanto contingenti e filantropiche, ma perpetue e missionarie» (1026, p. 706) - come scrive a Bice Jahn Rusconi - sia ormai prossimo alla sua conclusione. Ma su ciò, credo, avranno molto da dirci le successive pubblicazioni in programma.
Mi pare, allora, che già il poco estratto dal contenuto di questo primo volume sia sufficiente a comprovare l’utilità che l’edizione offre per cogliere non solo l’animo del poeta ma anche tutto il retroterra della sua attività, delle sue pulsioni liriche, delle pubblicazioni realizzate e del suo stesso pensiero.
Il lavoro curato da Giovannini merita quindi, fin da questa prima fase, un plauso sincero perché si dimostra strumento essenziale alla comprensione dei primi quarant’anni di vita d’una delle «tre o quattro» figure letterarie del XX secolo che - secondo Carlo Bo (p. VIII) - sono degne di «essere traghettate nel terzo millennio» e stimola ad attendere con vivo interesse il suo completamento.
Spiace, semmai, non trovare fin d’ora un «indice delle principali tematiche» presenti nella corrispondenza, perché ciò avrebbe costituito un valido filo d’Arianna per seguire e correlare i diversi argomenti prospettati da Rebora nel complesso dei suoi dettati epistolari. Può darsi, per altro, che ciò sia giustamente in programma nel III volume a conclusione della trilogia prevista. Non resta, dunque, che aspettare.
Nella sest’ultima riga di p. 584 c’è un refuso di stampa: un nulla su oltre 700 pagine.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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