Il Vangelo racconta quanto Gesù dice o fa per qualcuno. Quel qualcuno è il lettore stesso, chiamato a fare in prima persona l'esperienza di ciò che è narrato: la Parola fa quello che dice, per chi l'accoglie con fede. L'interesse al racconto può essere a tre livelli. Può essere rivolto al testo, per vedere come esattamente è, qual è la sua storia, la sua struttura, il suo stile. Può essere anche rivolto a cosa dice il testo: qual è il suo messaggio, come capirlo e viverlo oggi. Può essere infine rivolto al Signore: oltre al testo e a ciò che ci dice, si è attenti a colui che dice quel testo. Tutta la Scrittura è una lettera che il Padre ha inviato a ciascuno dei suoi figli; dietro ogni parola c'è chi parla, e il suo dirsi è un darsi. Chi raggiunge questo terzo livello ha trovato ciò di cui ha fame. Gli altri tre Vangeli sono un racconto storico-teologico della vita di Gesù.
Quello attribuito a Giovanni è piuttosto come un teatro, uno «spettacolo» in cui si «vede» chi «parla». È un intreccio di dialoghi e lunghi monologhi, con brevi indicazioni di luogo, di tempo e di azione; protagonista è la Parola stessa, diventata carne in Gesù, per manifestarsi all'uomo ed entrare in dialogo con lui. È il dramma dell'incontro/scontro tra l'uomo e la sua Parola, dalla quale e per la quale è fatto. Come i precedenti, anche questo commento, dopo un calco del testo greco, contiene di ogni brano una prima parte con il messaggio nel contesto e una seconda con la lettura del testo; la terza e la quarta parte, pregare il testo e testi utili, sono indicazioni per il lavoro personale del lettore. Come si vede, al centro sta il testo, inteso come un modo specifico con cui il Signore mi parla e io lo ascolto. Questo commento è nato da una lettura continua del Vangelo tenuta settimanalmente, per tre anni. Vorrebbe aiutare il lettore a entrare nel mistero della Parola diventata carne in Gesù, per lasciarsi sempre più coinvolgere nel dialogo con lui. Tradotto in polacco nel 2003 Tradotto in russo nel 2003 Tradotto in spagnolo nel 2004.
INTRODUZIONE
Il Vangelo secondo Giovanni
Gli altri tre Vangeli sono un racconto storico-teologico della vita di Gesù. Quello attribuito a Giovanni è piuttosto come un teatro, uno «spettacolo» in cui si «vede» chi «parla». È un intreccio di dialoghi e lunghi monologhi, con brevi indicazioni di luogo, di tempo e di azione; protagonista è la Parola stessa, diventata carne in Gesù, per manifestarsi all'uomo ed entrare in dialogo con lui. È il dramma dell'incontro/scontro tra l'uomo e la sua Parola, dalla quale e per la quale è fatto.
Il nostro destino si gioca infatti nella parola scambiata: essa può fiorire in comunicazione, comunione e felicità, oppure abortire nell'incomunicabilità, nella solitudine e nell'angoscia. Per noi tutto dipende dalla parola, che può generare verità e luce, libertà e amore, dono e vita, oppure causare errore e tenebra, schiavitù e odio, possesso e morte. Il Vangelo secondo Giovanni è come un «concerto», una lotta (cum-certare = lottare con) tra queste realtà contrastanti, alle quali nessuno è indifferente. Si tratta di ciò che tutti desideriamo o temiamo, che ci dà o ci toglie la nostra identità.
Nel racconto della creazione si dice che ogni vivente è creato secondo la propria specie; dell'uomo invece non si dice che appartenga a una specie. È infatti depositario della parola: «diventa» la parola che ascolta e alla quale risponde. Egli è libero di determinare la propria natura. Se ascolta la parola di Dio, partecipa alla natura di Dio; se ascolta altre parole, diventa a loro immagine e somiglianza.
La parola ci pone in relazione con gli altri e ci mette a disposizione ogni realtà, nel bene e nel male. Essa ci entra nell'orecchio, accende l'intelligenza, riscalda il cuore e muove mani e piedi: «informa» le nostre facoltà ed energie, il nostro sentire e pensare, volere e fare, la nostra esistenza intera. La parola, come ci informa, così ci trasforma.
Se l'uomo di sua «natura» è ascolto e risposta, Dio a sua volta è Parola, comunicazione di sé senza residui. Parlare è consegnare se stesso all'altro. Dio e uomo sono interlocutori: nel dialogo i due si scambiano tutto e diventano un'unica realtà, pur nella distinzione.
Diventare come Dio! Il nostro sogno è lo stesso di Dio; e si realizza nell'ascolto della Parola che ci dà il potere di diventare figli di Dio.
Avvertiamo però che le cose non sono così semplici: la parola è per noi anche luogo di equivoci e fraintendimenti, fonte di ogni male. È come se fosse entrato un virus, che guasta il nostro programma. Il Vangelo è come un antivirus, che corregge l'errore specifico che certe parole hanno per noi. Si tratta di parole fondamentali, come padre. figlio. verità. libertà. fiducia, amore, che riguardano la possibilità stessa della nostra esistenza umana. Il Vangelo è un antidoto, che le «svelena» dalla morte e le restituisce alla loro autenticità.
Oltre che terapeutica. la Parola è anche «maieutica»: come ripara il nostro codice genetico. così ci fa nascere progressivamente alla nostra identità di figli di Dio e di fratelli degli altri. 11 Vangelo secondo Giovanni, chiamato anche il «quarto Vangelo>. mettendo come protagonista la Parola, ha questo intento. La forma del dialogo è la più adatta allo scopo. Chi lo legge è letto e reinterpretato da ciò che legge: la Parola dice ciò che accade in lui e fa accadere in lui ciò che dice. Alla fine il lettore si accorge di diventare lui stesso un nuovo racconto: quello della Parola che ha ascoltato. Se Marco dice che la Parola seminata cresce «automaticamente» (cf. Mc 4.28). Giovanni si premura di contemplare come avviene questo germinare e crescere sino al frutto pieno.
Giovanni non contiene «esorcismi», perché la Parola di verità è un esorcismo dalla menzogna. E non contiene neppure il racconto della trasfigurazione (cf. però 12 18b). risultato finale di ogni esorcismo, perché è il punto di vista dal quale fa vedere tutto. È infatti il Vangelo della Gloria.
Storicità del Vangelo secondo Giovanni
In Giovanni i «fatti» sono ridotti al minimo: sono dei «segni», brevemente raccontati, per lasciare ampio spazio al loro significato. Più che narrare, il quarto Vangelo interpreta.
Questo però non pregiudica la storicità. La storia non è solo un insieme di eventi accaduti, ma soprattutto il senso che essi hanno e cosa fanno accadere. Un fatto è storico perché determina l'inizio di un processo che modifica il modo di capire e di agire dell'uomo. La mela che cadde sulla testa di Newton è «storica» per l'interpretazione che ne è seguita. Tante altre mele sono cadute senza fare storia! Giulietta e Romeo sono personaggi storici non solo perché sono esistiti, ma perché ancora oggi. chi legge Shakespeare, li ritrova in se stesso. Del senso originario di un racconto storico fa parte anche il senso che esso ha originato nella storia.
Il Vangelo secondo Giovanni, ponendosi soprattutto come interpretazione, è quindi sommamente storico: non è tanto una finestra aperta sul cortile del passato, per vedere ciò che è avvenuto allora, quanto uno specchio che fa vedere ciò che accade qui e ora in chi legge.
Chi vuol tentare un commento al Vangelo secondo Giovanni incontra una difficoltà particolare che non c'è con gli altri Vangeli. Marco e Luca, infatti, sono una serie di racconti, altamente simbolici: basta spiegarli e chiarirli per comprenderli. Matteo. a sua volta, è strutturato «didatticamente», ben diviso in cinque discorsi, seguiti da altrettante sezioni narrative, che mostrano come Gesù fa ciò che dice: in lui parola e azione si illustrano a vicenda. Giovanni invece è poco racconto e quasi tutto spiegazione. Da qui il problema: come spiegare una spiegazione, chiarire un chiarimento? È più penoso che parafrasare una poesia, più rischioso che sciogliere una sinfonia, più ridicolo che spiegare una barzelletta.
Il Vangelo secondo Giovanni è veramente, ma anche ingannevolmente semplice. Già una prima lettura è di suggestiva evidenza: si coglie subito che Gesù, con ciò che fa e dice per i fratelli, mostra l'amore del Padre. Quando però si cerca di capire meglio, le cose diventano complicate. Si ha l'impressione di nuotare nell'oceano o di voler abbracciare l'acqua. Non resta che immergersi dentro e giocare piacevolmente con le onde, perdendosi in un orizzonte senza orizzonte. È un Vangelo nel quale bisogna entrare con ésprit de finesse, con l'occhio del contemplativo che gode dell'acqua e dell'aria, del moto e della luce. Va letto e riletto, masticato e ruminato, gustato e assimilato. Ogni frase è un'ondata dello stesso mare e riporta la stessa realtà infinita. Chi si abbandona ad essa, vive in una nuova dimensione e si trova a suo agio: ritrova la propria vita, come appunto il pesce nell'acqua o l'uccello nell'aria.
Contenuto, articolazione e finalità
Il Vangelo secondo Giovanni è composto di 15.416 parole greche e utilizza 1.011 vocaboli diversi. Sono termini semplici e primordiali, altamente evocativi, spesso accostati per opposizione, in ognuno dei quali risuona il tutto dell'esperienza umana. Dei suoi 868 versetti, solo 153 hanno il parallelo negli altri vangeli.
Il contenuto del Vangelo è il Figlio che parla ai fratelli del Padre, che ancora non conoscono. Padre ricorre direttamente 136 volte, riferito 109 volte al Padre celeste, designato anche come «Dio», «colui che invia/manda», il «da dove» e il «verso dove», o con altre espressioni. Figlio ricorre solo 55 volte, per lo più riferito a Gesù. Siccome, però, è sempre lui che agisce e parla, tutto il suo agire e parlare è nella coscienza di Figlio che conosce e ama il Padre e i fratelli. Questa relazione Padre/Figlio è la Gloria (41 volte) da «sapere» e «conoscere» (141 volte), da «vedere» (110 volte, con quattro diversi verbi in greco): per questo c'è la «parola» e il «parlare» (99 volte), il «testimoniare» e la «testimonianza» (47 volte) della «verità», di ciò che è «vero» e «veritiero» (48 volte), perché, attraverso la Parola, il «mondo» (78 volte) «creda» (98 volte), abbia la «vita» e «viva» (53 volte). Ciò avverrà nell'«ora» (26 volte) decisiva, quando Dio diventerà «dimora» (40 volte) nostra e noi sua. Credere e accogliere la parola del Figlio ci fa diventare ciò che siamo: figli amati dal Padre, che amano i fratelli.
Come già detto, il testo riferisce poche azioni: in tutto sette «segni» (le nozze di Cana: 2,1-11; la guarigione del figlio di un funzionario regio: 4,46-54; la guarigione di un infermo: 5,1-18; il dono del pane: 6,1-13; il cammino sul mare: 6,16-21; la guarigione di un cieco: 9,1-41; la risurrezione di Lazzaro: 11,1-44) e otto «azioni simboliche» (la frusta nel tempio: 2,13-22; il perdono dell'adultera: 8,1-11; l'unzione di Betania: 12,111; l'ingresso messianico sull'asinello: 12,12-19; la lavanda dei piedi: 13,1-20; il boccone dato al traditore: 13,21-30); il dono a sua madre del discepolo e al discepolo di sua madre: 19,26 s; la pesca fruttuosa sul lago di Tiberiade: 21,1-14.
Questi segni e atti simbolici, descritti con poche parole, rimandano sempre alla realtà significata: la Gloria dell'amore compiuto che si rivela nell'ora dell'innalzamento sulla croce.
Non sono state eliminate le ripetizioni, ritenute utili a chi accosta il libro con distensione di spirito e a distanza di tempo tra un testo e l'altro. Giovanni stesso contiene molte ripetizioni, che ogni volta portano a un livello più profondo di comprensione.
Questo commento presenta, di ogni singolo passo, un calco del testo greco; segue una prima parte con il messaggio nel contesto e una seconda con la lettura del testo: la la terza e quarta parte, pregare il testo e testi utili, sono indicazioni per il lavoro personale del lettore, al quale si spera sia venuto l'appetito di mangiare la Parola.
Esprimo gratitudine e benedizione innanzitutto per chi ha ispirato e per chi ha scritto questo Vangelo. Poi per tutti i commentatori e studiosi, antichi e recenti, che me ne hanno facilitato l'accesso. Un grazie particolare a padre Filippo Clerici, con il quale mi sono imbarcato a leggerlo e proporlo. Un grazie anche ai partecipanti, che hanno occasionato il commento e l'hanno arricchito con le loro osservazioni. Un grazie infine a padre Cesare Geroldi, Graziella Ronchi, Enrica D'Auria, Franca Montagna. Barbara Centorame, Marina Galli e Beatrice Schiralli, che hanno collaborato in vario modo al lavoro.
Come pregare il Vangelo
Il Vangelo è scritto per essere letto, capito e vissuto. Se il commento può aiutare a leggerlo e capirlo, per viverlo bisogna farne oggetto di preghiera: tra il dire e il fare c'è di mezzo il pregare che, più che un mare, è un oceano infinito.
Nel cammino di preghiera nessuno è maestro. Ma il Signore ci aiuta e ci istruisce con la Parola e con lo Spirito. Da parte nostra, tuttavia, è necessario disporci con metodo e impegno, lasciando però subito spazio all'azione di Dio quando si annuncia.
Chi cerca con la lettura. trova con la meditazione; chi cerca con la meditazione. trova con l'orazione; chi cerca con l'orazione, trova con la contemplazione; chi cerca con la contemplazione, trova con l'unione.
Ci permettiamo di indicare il seguente metodo, antico e collaudato, per la lectio divina. Come ogni metodo può sembrare macchinoso all'inizio. Ma, quando è praticato e appreso. risulta più utile di quanto si pensi.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
METODO PER PREGARE IL TESTO
a. Entro in preghiera
pacificandomi:
con un momento di silenzio;
respirando lentamente;
pensando che incontrerò il Signore;
chiedendo perdono delle offese fatte e perdonando di cuore le offese ricevute. — mettendomi alla presenza di Dio:
faccio un segno di croce;
per la durata di un "Padre nostro" guardo come Dio mi guarda;
faccio un gesto di riverenza;
inizio la preghiera, in ginocchio o come più mi aiuta, chiedendo al Padre, nel nome di Gesù, lo Spirito Santo, perché il mio desiderio e la mia volontà, la mia intelligenza e la mia memoria siano ordinati solo a lode e servizio suo.
b. Mi raccolgo
immaginando il luogo in cui si svolge la scena da considerare.
c. Chiedo al Signore ciò che voglio
è il dono che quel brano di Vangelo mi vuoi fare: corrisponde a quanto Gesù fa o dice in quel racconto.
d. Medito e/o contemplo la scena
leggendo il testo lentamente, punto per punto;
sapendo che dietro ogni parola c'è il Signore che parla a me;
usando
la memoria per ricordare;
l'intelligenza per capire e applicare alla mia vita;
la volontà per desiderare, chiedere, ringraziare, amare, adorare.
e ha gridato dicendo:
Questi era colui del quale dissi:
Colui che viene dopo di me è diventato davanti a me perché era prima di me.
16 Infatti dalla pienezza di lui
noi tutti accogliemmo grazia su grazia;
17 poiché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità fu per mezzo di Gesù Cristo.
18 Dio nessuno mai l'ha visto:
l'unigenito Dio,
che è verso il grembo del Padre,
egli l'ha narrato.
1. Messaggio nel contesto
«Dio nessuno mai l'ha visto: l'unigenito Dio, che è verso il grembo del Padre, egli l'ha narrato». Vedere la madre è nascere, vedere Dio è venire alla luce del proprio volto. Nostalgia di colui davanti al quale è se stesso, l'uomo è desiderio di vedere Dio. suo volto nascosto. Ma nessuno l'ha mai visto, perché, fin dall'inizio, Adamo gli ha voltato le spalle.
Non abbiamo di lui nessuna immagine, perché l'unica sua immagine e somiglianza siamo noi. se stiamo davanti a lui. È lui il nostro «luogo naturale»: altrove siamo fuori posto, doloranti come un osso slogato, estranei a noi stessi e a tutto.
Gesù Cristo. l'unigenito Dio, che è verso il seno del Padre, con le sue opere e parole. con la sua vita e morte, ci ha mostrato Dio, sino a dire: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (14.9). È infatti la Parola, che per questo è diventata «carne».
Nel prologo l'evangelista, che secondo la tradizione chiameremo Giovanni, dice che. come e perché Gesù è venuto a manifestarci questo Dio. Lo fa solo annunciando i temi che saranno sviluppati nel seguito del libro.
L'inizio del Vangelo di Giovanni ci porta, con un colpo d'ala, sopra lo spazio e oltre il tempo. al di là di ogni creatura, per mostrarci chi è Gesù, l'uomo abilitato a pieno titolo a narrarci l'invisibile. Con sorpresa scopriamo che colui che amava chiamarsi Figlio dell'uomo e si proclamò Figlio di Dio, è la Parola che da sempre è presso il Padre ed è Dio. Essa. testimoniata da sapienti e profeti e mai conosciuta, divenne carne in Gesù, per rivelarci e donarci la sua stessa gloria di Unigenito dal Padre. in modo che. in lui, possiamo scoprire di essere figli di Dio.
Il prologo è come l'inizio di una sinfonia, in cui si preludono i motivi. Nella storia della teologia è come una miniera di pietre preziose, da cui sono state attinte le più importanti riflessioni sulla Trinità e sull'incarnazione. Si tratta di un inno alla Parola. luce e vita di tutto. dove ciò che si dice apre alle armonie dell'indicibile. Le sue radici, più che nella tradizione greca, pur presente all'autore, affondano nell'AT, in quei testi che cantano la Parola e la Sapienza creatrice, personificazioni di Dio all'opera nella natura e nella storia.
Leggendo questo inno si ha l'impressione di essere trasportati a volo d'aquila verso un luogo elevatissimo eppure domestico, quasi fosse il nostro nido, dove ci sentiamo a nostro agio. come a casa. E infatti nella Parola rivolta al Padre che troviamo la nostra patria: il Padre stesso.
Solo alla fine del Vangelo si può capire pienamente il senso del prologo: la prima parola di ogni discorso è comprensibile dopo l'ultima. Tuttavia, come ogni libro, anche questo comincia e va letto dall'inizio, dove, per farsi capire, l'autore usa parole note a tutti e altamente evocative, che nel seguito saranno giocate in racconti nei quali esplicano le loro potenzialità inesplorate. I termini del prologo, secondo l'ordine della loro prima comparsa, sono: principio, essere, parola, Dio, tutto, nulla, essere fatto/divenire, vita, luce, uomo, tenebra, afferrare, inviare, testimoniare, credere, mondo, riconoscere, proprietà, prendere, accogliere, figli, sangue, carne, volontà, generare, attendarsi, contemplare, gloria, unigenito, Padre, grazia, verità, venire dopo/avanti/prima, legge, Mosè, Gesù Cristo, grembo, narrare. L'argomento del prologo è, dunque, la «Parola», origine di ogni divenire, che a sua volta divenne carne in Gesù Cristo, per farci divenire figli di Dio, rivelandoci l'invisibile. L'azione di questa Parola sarà l'argomento di tutto il Vangelo, nel corso del quale saranno svolti i temi qui accennati.
E, con sorpresa, vedremo che, di mano in mano, la Parola opera in noi ciò che dice. Mentre la ascoltiamo, ci crea a sua immagine e somiglianza; mentre la leggiamo, ci legge nella nostra verità originaria, alla quale ci apre l'accesso. Questo prologo anticipa ciò che avviene nel lettore del vangelo.
Nel Vangelo il termine Lógos (= Parola), personificato, esce solo nel prologo, sino al v. 14, dove si dice che diviene carne per manifestarci la sua gloria di Figlio unigenito. In seguito si parla di Gesù, dicendo perché e come si fa nostro fratello.
Il testo si può articolare in molti modi, secondo diversi criteri e prospettive. Numerosissimi autori si sono cimentati ad analizzarlo, scoprendo strutture concentriche, parallele, spiraliformi, discendenti/ascendenti o altro ancora, evidenziando conseguenti divisioni. È bene comunque tenere presente che ogni testo è sempre un textus, un tessuto, un intreccio, anzi un'unità organica, un corpo vivo, dove ogni singolo elemento ha senso per la sua funzione nell'insieme, in connessione con ciò che precede e ciò che segue. Per questo è meglio parlare di articolazioni invece che di divisioni.
Senza entrare in merito al complesso problema, ciò che il prologo dice è sufficientemente chiaro. L'inizio parla del Lógos presso Dio e del suo ruolo nella creazione e nella redenzione, il centro del suo diventare carne in Gesù, il finale del suo narrarci il Padre. Lo scopo di tutto è che noi, ascoltandolo e accogliendolo, possiamo diventare figli di Dio.
Quel Gesù, che con segni e discorsi si manifesta a noi nel Vangelo, ci potrà raccontare quel Dio che nessuno mai ha visto perché è la parola di Dio, Dio stesso. che è diventato carne per dimorare tra noi. È autorizzato a presentarci il Padre perché è «il» Figlio. Aderire o meno alla sua persona, significa per noi accettare o rifiutare la nostra verità di figli. Questo è il giudizio che ogni uomo è chiamato a pronunciare sulla propria vita.
Come si vede, Giovanni presenta una «cristologia alta», che contiene il vertice della comprensione che la prima Chiesa ha avuto di Gesù.
Accostandosi a questo testo, si ha l'impressione di aggirarsi ai piedi di un massiccio altissimo, che va oltre le nubi, oltre il cielo stesso. È una montagna inaccessibile: è il Dio ignoto, la Gloria invisibile, il Nome ineffabile. Ci coglie un senso di stupore infinito, di vertigine abissale. Ma ci colma subito di gioia il fatto che il monte è sceso a noi, l'indicibile è Parola, la Gloria ha il volto del Figlio dell'uomo, il Nome si chiama Gesù. Tutto il Vangelo esporrà e offrirà il dono di sé che Dio ci fa nella carne del Figlio, nella quale vediamo la Gloria di cui siamo il riflesso.