Giovanni: l'enigma il Presbitero il culto il tempio la cristologia

Maria Luisa Rigato è forse una delle piú note esegete italiane per la sua intelligenza e genialità, che cerca non solo di andare aldilà del «già noto», ma anche di spingersi nelle sue ipotesi fin là dove nessuno avrebbe pensato, come ad esempio che il titolo «discepolo che Gesú amava» nasconda il nome di Giovanni (p. 28). La sua tesi di dottorato alla Gregoriana sul Titolo della croce di Gesú, fatto singolare, è arrivata alla seconda edizione (2005). Questo lavoro raccoglie molti dei suoi interventi su Giovanni arcisacerdote (secondo Policrate), autore dell’«opera giovannea»; pur essendo divisi in due parti (L’identità dell’evangelista: ottavo presbitero-apostolo-profeta-testimone e L’immaginario del tempio e la cristologia) comprendenti complessivamente 17 capitoli, e una conclusione in cui fa parlare lo stesso Giovanni che espone in prima persona le tesi dell’autrice (pp. 325-28), l’opera presenta una profonda unità tematica: l’identità dell’evangelista Giovanni arcisacerdote di Gerusalemme, discepolo di Gesú a Gerusalemme che gli avrebbe dato ospitalità per l’ultima cena, viene confermata nella seconda parte dal carattere cultuale dell’intera opera giovannea, compresa l’Apocalisse. I vari capitoli sono come tessere sparse che ci danno una immagine coerente di Giovanni. Le argomentazioni sono sempre molto documentate e puntigliose, ma volendo provare al limite del criticamente possibile a volte presentano ovvie lacune.
Porto solo tre esempi. Nella prima comparsa di Giovanni nel prologo «Un tale inviato da parte di Dio: il suo nome era Giovanni…» (Gv 1,6-8) (pp. 23-25) l’evangelista nasconderebbe il suo nome, mentre la seconda (Gv 1,15) riguarderebbe proprio Giovanni Battista. Motivo principale è il verbo «credere» utilizzato solo dall’evangelista anche in Gv 1,6-8 e mai da Giovanni Battista. E riporta poi tutti i paralleli fra i due sul tema dell’«essere inviato» e della testimonianza. Ma, anzitutto dallo studio strutturale è chiaro che 1,6-8 corrisponde a 1,15 e perciò tratta dello stesso personaggio. Che vi sia però un chiaro parallelismo fra i due nella testimonianza e quindi un crisptogramma è provato molto meglio da una considerazione letteraria, ben presentata da Roberto Vignolo, che l’a. non conosce e cioè «Un doppio letterario e testimoniale: Giovani Battista e il Discepolo Amato» (Personaggi del quarto vangelo, Glossa, Milano 20032, pp. 167-194). Questo doppio potrebbe nascondere il nome dell’autore del vangelo, Giovanni.
Il secondo esempio lo prendo dal testo di Policrate, fondamentale per la dimostrazione dell’a. che Giovanni sarebbe stato arcisacerdote di Gerusalemme, e lo prova puntigliosamente soprattutto con il particolare della lamina d’oro in cui sarebbe stato scritto il nome di JHWH (pp. 83-111). Un’obiezione elementare potrebbe essere questa: se Policrate pensava fosse stato sommo sacerdote perché non ha scritto «archiereus» invece di «hiereus»? La questione sarebbe stata chiusa senza tante e sottili argomentazioni.
Un terzo esempio, alle pp. 198-199. Gesú dice alla samaritana «Io sono» (Gv 4,26). Qui lei riposta tutti i testi con «Io sono» dimenticando proprio quelli che erano piú pertinenti al rapporto di «Io sono» col nome di JHWH in Es 3,14-15), e cioè 8,24.28 e 13, 19, ove si ha la formula di autorivelazione assoluta «che io sono».
Si potrebbero moltiplicare questi esempi di puntigliose interpretazioni a fronte di soluzioni molto piú semplici, secondo la regola dell’economia.
Si deve dare atto però che percorre strade sue con molta intelligenza critica e genialità e libertà non badando se sono secondo la tradizione o contro.
Tutto sommato è un libro molto utile per qualsiasi studioso di Giovanni, anche se forse non è sempre d’accordo con le sue tesi, molto utile per la puntualissima e puntigliosissima documentazione sulle fonti.

Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 1

(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)