Per il cardinale Carlo Maria Martini, Israele non è stato «un tema fra gli altri» e lo sguardo su Gerusalemme non si è collocato sul piano della ricerca astratta o della curiosità intellettuale, ma si è nutrito di una certezza: la priorità del popolo ebraico nel disegno di Dio.
L'intento del libro - vincitore del Premio internazionale Carlo Maria Martini 2013 - è di cogliere nella riflessione del cardinale, anche attraverso una selezione di testi poco noti, il luogo teologico e teologale - Gerusalemme, eccesso - da cui è scaturito il suo impegno per il dialogo ebraico-cristiano, ma anche il suo ruolo, come biblista e come arcivescovo di Milano, nelle concrete relazioni tra cristiani ed ebrei. «Un ritardo che ci deve pesare molto - sosteneva Martini - è il non aver considerato vitale la nostra relazione con il popolo ebraico. La Chiesa, ciascuno di noi, le nostre comunità, non possono capirsi e definirsi se non in relazione alle radici sante della nostra fede, e quindi al significato del popolo ebraico nella storia, alla sua missione e alla sua chiamata permanente».
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Da Gerusalemme verso Gerusalemme...
Carlo Maria Martini volle, fra le domande drammatiche e ineludibili che intessono la vita di ciascuno, affrontarne una specifica:
[...] tu, che dici di Gerusalemme? In che rapporto ti senti con Gerusalemme? (GS 18).
Nella catena della tradizione, quale heilige Kette, sacra catena, come affermò Hans Georg Gadamer, saldata da tutti gli anelli formati nei secoli da chi amava Israele, si inserisce anche Carlo Maria Martini, credente, dapprima come gesuita, biblista e rettore dell'Istituto biblico, poi come cardinale della diocesi di Milano e suo pastore, perché Israele, per il card. Martini, non è un tema fra altri.
Egli non si pose su di un piano di ricerca astratta, di curiosità intellettuale, di campo da indagare, di speculazione, ma su quello di una certezza: la priorità d'Israele nel disegno di Dio, perché senza Israele non esiste un disegno di Dio per l'umanità, pur all'interno di una precisa epistemologia teologica, in grado anche di dare risposta a un interrogativo soggiacente alla vita della Chiesa: come si è costituita l'immagine di Israele nei secoli?
Sempre all'interno di una questione d'accenti non di esclusività e non alla scoperta di microtemi ma di una sola grande passione, all'interno quindi di una tipologia di scrittura particolare e personale. Non si tratta neppure di una pazienza filosofante o, almeno, non solo di questa componente, pur necessaria per elaborare e strutturare, ma di un passo compiuto oltre, che sbilancia molto più in là e molto più profondamente: si tratta di un radicamento biblico ed ebraico. Se non è un tema però, che cos'è?
Intendo lasciarmi interrogare da Carlo Maria Martini e liberare la mia coscienza di credente e la mia riflessione teologica perché possa diventare trasparente e coerente, nel quadro di una ricerca rigorosa sul Martini biblista, teologo e amante di Israele, non in chiave di ricerca storica che si chini sui loci alieni, sulle external sources, ma direttamente sul dialogo ebraico-cristiano, riflesso e praticato da una persona il cui parteciparvi viene ritenuto «emblematico di una recezione personale».
Massimo Giuliani, da pensatore e studioso di ebraismo, indica con quale taglio entrare nel vivo della riflessione e della testimonianza:
Martini dà voce a una sensibilità biblica più che teologica (anche se scindere le due è un po' pretestuoso).
D'altra parte, è ben noto come qualsiasi riflessione teologica debba partire dalla Parola rivelata e poi articolarsi in una dimensione teologica, in cui non serva semplicemente da auctoritas ma ne sia linfa vitale.
Lucidamente Carlo Maria Martini affermava:
[...] un ritardo che ci deve pesare molto, ad esempio, è il non aver considerato vitale la nostra relazione con il popolo ebraico. La Chiesa, ciascuno di noi, le nostre comunità, non possono capirsi e definirsi se non in relazione alle radici sante della nostra fede, e quindi al significato del popolo ebraico nella storia, alla sua missione e alla sua chiamata permanente (PO 79).
Per chiunque sia alla ricerca di nuovi modelli per comprendere il mistero d'Israele e la Chiesa e viverlo, penetrare nel dono che è stato Carlo Maria Martini — come personalità appartiene agli eventi fondatori — è una restituzione e si inserisce nella memoria dei padri nella fede:
[...] il cammino da fare è ancora lungo. Occorrerà un sempre maggiore approfondimento da parte della teologia cattolica (ma anche del pensiero ebraico), tenendo ben presente che Israele è un mistero, il mistero di Israele — come lo chiamavano Maritain e tanti altri studiosi di queste realtà — Israele non è qualcosa che si possa ridurre a equazione matematica, non è una domanda che ammetta risposte semplici. È qualcosa che continuamente rimette in moto la coscienza sui grandi valori dell'essere e del non essere, di Dio e del non senso. È un mistero che continuamente ci rimette in questione. Per questo è così affascinante, così difficile. È un mistero nodale della storia umana e anche la Chiesa lo riconosce come sua misteriosa origine (CA 69-70).
Mistero non chiuso in se stesso, abbozzolato e quindi solo da riscontrare e accettare ineluttabilmente, sì realtà sfuggente, che non si lascia circoscrivere e prendere in mano, perché altrimenti sarebbe chiuso e concluso. Realtà pur sempre plasmabile e plasmatrice, che coinvolge e qualifica non solo un segmento della storia del mondo e dell'umanità ma si sporge molto più in là:
[...] la realtà misteriosa di Israele si proietta su un futuro lontano. È un mistero che si muove verso la pienezza come il cristianesimo e l'umanità tutta (CA 70).
Egli era consapevole di una realtà, del posto e del ruolo che [...] a Israele è affidato nel piano divino di salvezza: si tratta di un compito teologico di primaria importanza.
Compito che certamente deve rispondere a parametri rigorosi per risultare attendibile, di più, egli ha saputo trasferire idee, proposte, priorità valoriali, formulazioni teologiche, su di un altro piano, le ha incarnate nella sua postura, nel suo vissuto, in un vitale contesto teologale. Solo da qui gli è stato possibile contagiare, avendo dato ascolto alla locuzione originale della sua coscienza di credente.
Ne consegue una diversità di accenti, paralleli alle diversità delle fasi della sua vita, da cogliere nella rete dei sottili rapporti fra preghiera, studio, vita personale e vita da pastore, che abita ogni momento del quotidiano.