Nell’ambito della crisi economica e finanziaria le osservazioni tecniche e puntuali degli economisti, come Paolo Onofri («Sul rallentamento della crescita mondiale nel 2011 il consenso sembra ora molto diffuso»; cf. Regno-att. 20,2010,657), sono accompagnate da considerazioni di più lunga scadenza, aperte all’aspetto politico, morale e culturale. È il caso del volume postumo di Edmondo Berselli L’economia giusta, in cui si affronta il prevedibile impoverimento delle società occidentali e, fra queste, di quella italiana. «La scelta è fra essere poveri nella consapevolezza della propria condizione storica, da un lato, e, dall’altro, essere poveri nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che è avvenuto, nella sorpresa dell’indicibile, e quindi soggetti a tutte le frustrazioni possibili». «Dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche noi tutti dovremo rallentare. Proviamoci con un po’ di storia alle spalle, con un po’ d’intelligenza e d’umanità davanti» (98s). Il fallimento del neoliberismo, del monetarismo, del turbocapitalismo è ormai davanti a tutti. Ma, dietro di sé non ha lasciato «una nozione generale e coerente in grado di sostituirlo» (28), cosicché permette alle forze neoconservatrici della destra di ottenere il consenso a una politica della paura e dell’affabulazione. Al fallimento dei regimi comunisti s’accompagna la crisi del socialismo europeo, pur erede di scelte coraggiose come quelle compiute dalla socialdemocrazia tedesca nel 1959. La sinistra non sa riscattarsi da sentimenti comprensibili ma inefficaci come la rabbia e l’indignazione. Anche il tentativo del laburista Tony Blair si è risolto di fatto in un thatcherismo minore, nella subalternità all’ideologia economica della destra. Come uscire dall’impasse? Anzitutto con la consapevolezza della propria originalità storica che il volume riconosce in particolare nel modello economico «renano» (centro-europeo) e nella tradizione della dottrina sociale cattolica. L’economia sociale di mercato, la co-gestione della aziende, il ruolo non decisivo della finanza e l’intreccio virtuoso fra azionisti, dipendenti, banche, istituzioni e territorio hanno permesso al capitalismo europeo di assumere una propria configurazione e una propria efficacia. Il mercato non è lasciato a soggetti anonimi, alla «mano invisibile (…). È piuttosto una comunità civica aperta, retta da ordinamenti formalizzati, un bene pubblico fondato sulla realtà della persona, del diritto di proprietà, e di funzionamenti reali, di scambi e di transizioni, permeate dalla legge naturale e dalle leges sottoscritte dagli operatori» (69). Un funzionamento che ha permesso all’economia tedesca di contenere la disoccupazione e di avviare prima degli altri paesi europei la ripresa. Persona, sussidiarietà, bene comune, critica all’ideologia sono alcune delle tradizionali e fondamentali concezioni della dottrina sociale cristiana che il volume ricorda in molti passaggi. Particolarmente suggestiva viene riconosciuta la sussidiarietà non solo verticale (fra le istituzioni), ma anche orizzontale (fra i veri protagonisti locali, dalla famiglia all’azienda, dai gruppi di interesse a quelli di volontariato). Come anche la capacità d’indicare con largo anticipo i limiti dei processi economici imperanti. Come quando Giovanni Paolo II scriveva al n. 42 della Centesimus annus: «Ma se con capitalismo s’intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa » (EV 13/210; 18). Ma è soprattutto la difesa di una concezione della dignità umana che non si piega agli interessi immediati e anima dall’interno opzioni economiche come il capitalismo renano a rendere prezioso il patrimonio del magistero cattolico. Tradizione socialdemocratica, capitalismo renano, dottrina sociale: un patrimonio di fondamentale importanza che tuttavia viene sollecitato a produrre nuovi pensieri e nuovi valori. «Di fronte alla globalizzazione oggi occorrerebbero sintesi di impressionante potenza intellettuale; mentre c’è la sensazione che le idee siano troppo piccole e parziali per investire e controllare il tutto che ci domina» (44). Il profondo rinnovamento culturale richiede anche una nuova sintesi umanistica perché i fenomeni sociali potrebbero indurre persino un nuovo processo antropologico. Come a dire: più pensiero, più umanesimo, più trascendenza.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 4
(http://www.ilregno.it)
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