Lucio, il giovane insaziabilmente curioso, è stato trasformato in asino. Durante una rapina viene portato via da una banda di briganti e usato come bestia da soma. Ora è nel loro covo, una spelonca che si apre lungo i fianchi ripidi e scoscesi di una montagna aspra e altissima. Nella grotta, i delinquenti fanno baldoria, raccontandosi le proprie imprese. Hanno rapito una bella ragazza, di una famiglia importante e facoltosa, e si aspettano di ricavarne un grosso riscatto. La fanciulla, Carite, piange a dirotto. Allora la vecchia che fa da governante ai banditi prende a consolarla, dicendole che la distrarrà «con un racconto piacevole, una storia della nonna». E attacca: «C'erano in una città un re e una regina. Avevano tre figlie bellissime; le due maggiori però, per quanto incantevoli, tutti ritenevano che si potessero onorare appropriatamente con elogi a misura d'uomo, mentre la bellezza della più giovane era così prodigiosa e sbalorditiva che non era possibile descriverla né esaltarla a sufficienza: la lingua degli uomini non possiede le parole adatte». Siamo all'inizio del capitolo 28 del libro IV delle Metamorfosi di Apuleio, e quella che si apre cosìè la più famosa e la più lunga delle digressioni narrative all'interno del romanzo, quella di Amore e Psiche: la loro storia è all'origine di tante fiabe moderne, per esempio La Bella e la Bestia . Terminerà soltanto al capitolo 25 del libro VI dell'opera, destando nel lettore i sentimenti più contrastanti: incanto e stupore davanti a una vicenda di cui sembra protagonista indiscusso l'eros, ma anche perplessità, dubbi, persino disappunto. Perché Psiche in greco vuol dire «anima», e quindi Apuleio avrà forse voluto suggerire una qualche dimensione morale, o magari filosofica, perfino teologica. Le interpretazioni, in quasi duemila anni, si sono moltiplicate svariate dozzine di volte, e persino all'interno di questa stessa edizione vi sono alcune divergenze tra quella dell'Introduzione generale (nel volume I) e quella del volume presente. Psiche, ci dice la storia, pare più bella di Venere. E si sa, le dee dell'Olimpo sono gelose, soprattutto riguardo alla bellezza. L'«anima» pagherà cara la propria beltà, e anche la sua curiosità. Lasciamo a chi legge di farsi irretire dall'una e dall'altra, e di scoprire, alla fine, l'intrico, magari formulando una nuova, inedita interpretazione. Lara Nicolini insegna Letteratura e filologia latina all'Università di Genova e si occupa prevalentemente di letteratura tardoantica. Al romanzo apuleiano ha già dedicato un commento (2000), una traduzione con note e ampio saggio introduttivo (2005), la monografia Ad (l)usum lectoris (2011), oltre a molti articoli che affrontano problemi testuali e alcuni aspetti dell'influenza di Ovidio nelle Metamorfosi . Caterina Lazzarini, oltre che ad Apuleio, ha dedicato le sue ricerche ai commentatori antichi di Virgilio (con diversi lavori su Servio), a Ovidio, commentando i Remedia amoris (1986), e a Valerio Flacco, di cui ha pubblicato il commento ai vv. 1-287 del libro VIII delle Argonautiche ( L'addio di Medea , 2012). Ha conseguito l'Abilitazione Scientifica Nazionale a professore associato di Lingua e letteratura latina. Nicolò Campodonico è perfezionando in Scienze dell'antichità presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Il suo progetto di dottorato consiste in uno studio della tradizione biografica e aneddotica su Virgilio nell'antichità, in rapporto alla ricezione e all'esegesi della sua opera. Si è interessato anche di falsi letterari nell' Appendix Vergiliana e Tibulliana , di Lucrezio, Lucano, Apuleio, e di poesia epigrafica medievale. Luca Graverini è professore ordinario di Letteratura latina presso l'Università di Siena. Ha pubblicato molti lavori sulla narrativa antica, tra cui Il romanzo antico. Forme, testi, problemi (con W. Keulen e A. Barchiesi, 2006), e Le Metamorfosi di Apuleio.