"Resta vero che la Bibbia - Antico e Nuovo Testamento - è una noce durissima da rompere con i soli denti" scrive Gianfranco Ravasi. Ma c'è una chiave per penetrare nell'universo della Sacra Scrittura e Ravasi, da grande studioso, la offre al lettore. "Il tutto nel frammento: è questa l'espressione di un grande teologo, Hans von Balthasar, che vogliamo assumere come motto ideale per il percorso" ci spiega. "Procederemo alla ricerca delle frasi più belle della Bibbia, quelle appunto che hanno in sé una densità di pensiero, un fascino così incisivo da riuscire a racchiudere in una miniatura il grande segreto umano e divino delle Sacre Scritture." Questo libro raccoglie pensieri e riflessioni che prendono spunto dai profeti, dall'Apocalisse, da san Paolo, dal Giudizio universale, da Giobbe e da Giuditta, dalle norme del Levitico, dall'Esodo. Pietre miliari che segnano momenti di sosta aperti su vasti orizzonti.
INTRODUZIONE
Quella che ora il lettore ha tra le mani è una Bibbia molto particolare, accompagnata da una guida di lettura piuttosto insolita, forse sorprendente e per certi versi originale. A essa potremmo adattare il titolo di un'opera pubblicata nel 1963 da uno dei più importanti teologi del Novecento, lo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988): Das Ganze im Fragment, cioè «il tutto nel frammento». Vorremmo, infatti, proporre la Bibbia — in tutti i 73 libri o libretti che la compongono (in greco Biblía significa appunto «libri/libretti») — attraverso una sequenza di frammenti che racchiudano in miniatura la sostanza del loro messaggio. Sono frasi che custodiscono una densità di pensiero e un fascino così incisivo da potersi trasformare in sintesi di un «tutto» più ampio e di più largo respiro.
Un mosaico di testi e parole
La stessa Bibbia, infatti, è un mosaico di testi dalle mil le sfaccettature. L'Antico Testamento comprende 46 scritti che sommano 300.613 parole ebraiche e 4828 aramaiche per un totale di 305.441 unità, che diventano oltre 421.000 se si dovessero numerare anche le particelle prefisse ai vocaboli. A essi si devono aggiungere poi quei sette libri composti in greco, non accolti dal Canone ufficiale delle Sacre Scritture degli Ebrei e dei Protestanti, ma dal Canone della Chiesa cattolica e di quella ortodossa e, perciò, detti «deuterocanonici»: Baruc, Giuditta, Primo e Secondo Libro dei Maccabei,Sapienza, Tiracide e Tobia. In questo piccolo oceano testuale che però è costruito con l'uso di solo 5750 vocaboli ebraici diversi, si hanno scritti vasti come quello del profeta Geremia, fatto di 21.819 parole (il 7,26 per cento dell'intero Antico Testamento ebraico) e il foglio del profeta Abdia di sole 291 parole (lo 0,10 per cento).
Similmente, se vogliamo continuare a ricorrere alla statistica, i 27 libri del Nuovo Testamento raccolgono 138.013 parole greche, basate su un vocabolario di soli 5433 vocaboli diversi. Anche qui accanto, ad esempio, a un Vangelo di Luca che si distende per 19.404 parole, rivelandosi così come il più lungo dei quattro Vangeli, si hanno le 219 parole che compongono il biglietto di poche righe noto come la Terza Lettera di Giovanni. Abbiamo, inoltre, in queste pagine un arcobaleno di testi, di parole, di frasi, di idee, di simboli, di figure, di temi che nascono dall'opera di una folla di autori espliciti e impliciti appartenenti a un arco di tempo di un millennio. Eppure, dietro a questo spettro multicolore la teologia intravede come sottostante una voce unica, profonda, misteriosa, nonostante, quella del Dio che rompe il silenzio della sua trascendenza e del suo mistero.
Lo fa nell'avvio stesso della Bibbia ove si delinea l'inizio assoluto dell'essere e dell'esistere che infrange la notte del nulla: «In principio ... Dio disse: Sia la luce!» (Gen 1,1.3). Una voce che continua a echeggiare anche nel groviglio confuso spesso insanguinato, ma pure glorioso, della storia umana. Un messaggio trascendente che però, secondo la Bibbia, si accosta all'umanità e alle sue parole, fino a identificarsi con essa e con esse: «Il Verbo divenne carne e venne ad abitare n mezzo a noi» (Gv 1,14), assumendo un volto che si svela e labbra che parlano in Gesù di Nazaret, Figlio di Dio. La Bibbia si impone, quindi, contemporaneamente come parola emana, storica, legata a sistemi linguistici (l'ebraico, l'aramaico e il greco), «puntuale» e contingente perché vincolata il tempo e allo spazio, ma anche come parola eternamente, messaggio divino che sfida i secoli «lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8).
La frase e il frammento
Ebbene, a questo scrigno di parole umane e divine noi attingiamo afferrandone quasi delle schegge, delle briciole testuali, delle frasi, dei frammenti appunto. Significativi sono proprio questi ultimi due vocaboli che abbiamo usato. Innanzitutto la «frase». Essa deriva dalla parola greca phràsis, che a sua volta è generata dal verbo phràzein che designa l'esporre, il mostrare e il dimostrare, l'indicare, lo spiegare, ma anche il guardare e l'osservare. Questo verbo è usato una sola volta nel Nuovo Testamento, nel Vangelo di Matteo, ed è posto sulle labbra di san Pietro che chiede a Gesù: «Spiegaci (phràson) questa parabola» (15,15). Possiamo, perciò, dire che le «frasi» bibliche che noi selezioneremo sono come uno svelamento di senso, ottenuto attraverso un minuzzolo testuale che è innervato, però, in un corpo più ampio, il «testo», in latino textus, cioè «tessuto» dal quale noi estraiamo un filo.
È facile comprendere il rischio che una simile operazione di ritaglio comporta. Rischio che è espresso dall'altro vocabolo a cui rimandiamo, «frammento». Esso deriva dal verbo greco phràssein che ha dato origine al latino frangere e al nostro «infrangere, frantumare». È, quindi, un atto quasi aggressivo che spezza un corpo e un oggetto unitario, riducendolo in minuzzoli, in schegge, in brandelli, persino in briciole. Sono appunto i frammenti. Si può intuire, perciò, anche il limite della nostra operazione condotta su quella realtà compatta e vivente che è un testo nel quale le parole sono coordinate, intrecciate, coerenti tra loro. Non per nulla dalla stessa radice verbale sottostante a «frammento» deriva anche la parola «fragile».
Per questo è indispensabile che ogni frammento biblico proposto sia in qualche modo riportato alla sua matrice. Dobbiamo sempre raccogliere, sia pure metaforicamente e liberamente, il monito di Isaia: «Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati» (51,1). Bisogna, cioè, ricostruire il contesto che rendeva vivente e vibrante quel brandello di parole che abbiamo ritagliato col bisturi della citazione. Solo così si eviteranno sia la «frammentarietà», che è sconnessione e scoordinamento del senso primigenio generale, sia la «frammentazione», che è la spezzettatura in tante tessere colorate di un mosaico in sé conseguente e compatto. Esorcizzati questi due rischi, si può illuminare il valore positivo, anzi, il fascino che può produrre il frammento: si pensi solo all'emozione che generano, a causa della loro forza evocativa, della loro stessa incompiutezza e del loro isolamento solitario, i frammenti che ci ha lasciato la poetessa greca Saffo (eros «è come il vento che si abbatte sulle querce del monte... »).
Nel suo celebre L'uomo senza qualità, lo scrittore austriaco Robert Musil suggeriva di «classificare le attività umane secondo il numero delle parole di cui hanno bisogno: più gliene occorrono e più c'è da pensar male del loro carattere». La forza della parola efficace, incisiva, decisiva è celebrata dalla Bibbia in modo costante, sia nel bene (la Parola per eccellenza che è quella creatrice e redentrice di Dio, la sua «benedizione»), sia nel male (la maledizione, la sentenza di giudizio). Sul versante negativo è folgorante la dichiarazione del protagonista del romanzo Malone muore (1951) di Samuel Beckett: «Conosco quelle piccole frasi che hanno l'aria di niente e che, una volta accettate, possono appestare tutta una lingua». Ma può essere vero anche il contrario.
Cristo è un maestro nell'uso della «piccola frase» positiva: è quello che gli studiosi chiamano il lóghion, ossia il «piccolo detto» che riesce veramente a far balenare «il tutto nel frammento». Facciamo soltanto due esempi, partendo dalla prima «predica», cioè dal primo annunzio pubblico di Gesù appena apparso sulla ribalta della Galilea. Naturalmente a suo tempo proporremo e commenteremo questo passo del Vangelo di Marco (1,15) all'interno del nostro fiorilegio. Ora facciamo semplicemente notare che Cristo si esprime in sole quattro frasi che il greco di Marco formula in modo molto accurato e che la traduzione italiana è costretta a rendere in forma pallida e dilatata: «Il tempo è unito a pienezza, il Regno di Dio si è fatto vicino, convertitevi e credete nel Vangelo». Ebbene, l'originale greco è composto di sole 15 parole, compresi gli articoli e le particelle, che assommano 78 caratteri, 90 se interponiamo gli spazi. Non è chi non veda che siamo ben sotto i 140 caratteri che costituiscono il limite massimo del cosiddetto tweet, il ben noto «cinguettio» col quale si comunica in uno dei più significativi social networks contemporanei.
Similmente il secondo lóghion che proponiamo è quello, celebre, di Marco 12,17 (ripreso anche da Matteo 22,21 e Luca 20,25): «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». In sole 10 parole, compresi gli articoli e la congiunzione, in 41 caratteri greci (50 se si comprendono gli spazi), si ha una lapidaria sintesi del rapporto tra fede e politica, senza sacralismi teocratici e secolarismi laicisti. Altro che il famoso lamento dell'Amleto shakespeariano: Words, words, words, «parole, parole, parole...» (atto II, scena II)! Se si rispetta il valore genuino delle parole, se non le si inflazionano, se non vengono corrotte, esse sono uno strumento straordinario di comunicazione, di comunione, ma anche di liberazione e di trasformazione. Aveva ragione il poeta francese Alfred de Musset quando affermava che «si è ribaltata [bouleversé] la terra con alcune parole».
«Lampada per i miei passi»
Iniziamo, dunque, un viaggio all'interno di tutta la Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse, dall'incipit della creazione fino all'explicit della redenzione finale, attraverso quasi duecento passi simili a stelle che s'accendono nel cielo di un orizzonte testuale molto vasto o anche analoghi a porte del grandioso palazzo storico, letterario, teologico delle Sacre Scritture. Sarà una via per conoscere in modo primordiale e sintetico il «tutto» di quella che per i credenti è la rivelazione che Dio fa di se stesso, la sua Parola espressa in parole umane. Tuttavia, anche per i non credenti, sarà un modo per incontrare in forma essenziale gli snodi fondamentali del «grande codice» della nostra cultura occidentale, delle arti e delle lettere, della musica, della filosofia e della stessa etica (si pensi al Decalogo!), cioè la Bibbia.
In un tempo così fluido, superficiale, indifferente com'è quello che stiamo attraversando, questi «frammenti», ricomposti sulla trama dei 73 libri biblici, potranno essere anche la nostra luce che brilla nella nebbia. È per questo che concludiamo la premessa ovviamente con un «frammento che desumiamo dal più lungo dei Salmi, il 119, un canto di 22 ottonari, 176 versetti e 1064 parole ebraiche (tutti i 150 Salmi assommano 19.531 vocaboli!). E un verso (il 105) di sole cinque parole, ner leragli debareka we'ér lintíbatí, «lampada per i miei passi è la tua parola e luce sul mio cammino». L'uomo che cammina nel buio rischia di inciampare o di smarrirsi; se però regge alta una fiaccola, egli riesce a raggiungere la meta.
L'ultimo appello del Buddha ai suoi discepoli fu: «Siate a voi stessi la vostra lampada». Senza escludere il rilievo della coscienza personale, la Bibbia esalta, invece, il primato di una luce che ci precede e ci eccede, di un sole che sta lassù fisso e sfolgorante, privo di ombre e di ambiguità (si legga più avanti il commento al Salmo 19,7). Per l'autore sacro ebreo questa lampada è la Torah, la «Legge», l'«insegnamento», come subito vedremo nella prima tappa del nostro itinerario. Un antico testo rabbinico commentava: «Le parole della Torah illuminano l'uomo che, altrimenti, sarebbe simile a chi brancola nelle tenebre e si dispone a camminare: egli urta contro una pietra e inciampa contro di essa. Egli, infatti, non ha in mano una lampada. E qual è la lampada di Dio? È la Torah».
E san Pietro, nella sua Seconda Lettera, continuava così: «Alla parola dei profeti fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori» (1,19). Il grande teologo e filosofo inglese John Henry Newman (1801-1890), convertito dall'anglicanesimo al cattolicesimo, creato cardinale nel 1879 da Leone XIII e beatificato da Benedetto XVI nel 2010, in una sua famosa ode, Lead kindly light, cantava: «Guidami, benevola luce, / in mezzo a queste ombre! / Guidami tu. / La notte è oscura, / io sono lontano dalla casa: / guidami in avanti! / Veglia sul mio cammino! / Che mimporta di vedere l'orizzonte lontano? / Un sol passo basta...».
È stato l'apostolo Paolo a coniare per primo la locuzione «Antico Testamento», in greco palaià díathéke (2 Cor 3,14), anche se oggi molti preferiscono la formula «Primo Testamento», per ricordare in modo esplicito quanto Gesù affermava: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Ebbene, a venirci subito incontro nella sequenza dei 46 scritti che compongono l'Antico/Primo Testamento sono cinque libri che gli Ebrei designano come la Torah, la «Legge» per eccellenza, anche se il termine significa etimologicamente «insegnamento». La tradizione cristiana ha optato per un vocabolo di matrice greca, Pentateuco, che rimanda a «cinque teche» entro le quali si potevano collocare e custodire quei testi.
Essi ora scorreranno tutti davanti a noi attraverso il lampeggiare di alcuni frammenti emblematici e riveleranno la loro qualità non solo di «Legge», ma anche e soprattutto di racconti di eventi. Sono le vicende costitutive dell'essere cosmico (la creazione descritta nei primi undici capitoli della Genesi), ma in particolare quelle della storia della salvezza, a partire da Abramo e dai patriarchi per giungere all'esodo di Israele, liberato dall'oppressione faraonica in Egitto, per approdare alle soglie della terra promessa. Grandi protagonisti sono, dunque, Abramo, Isacco e Giacobbe, cioè i padri fondatori, Mosè, la guida della liberazione, e Israele, il popolo dell'elezione divina.
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Ing. Lorenzo Benvenuti il 31 ottobre 2014 alle 22:45 ha scritto:
Un libro interessante per il lettore che vuole avvicinarsi al mondo della Sacra Scrittura sotto la guida, profonda ma mai difficile, di un esperto esegeta. Dall'Antico al Nuovo Testamento, oltre ad una visione panoramica e complessiva del grande libro della Parola di Dio, è possibile cogliere aspetti, caratteristiche e peculiarità dei singoli testi. L'abilità descrittiva di Ravasi è l'ingrediente in più che stimola il lettore ad un approfondimento personale, andando direttamente alla fonte del passo commentato.