Trattati d'amore cristiani del XII secolo. Testo latino a fronte
(Scrittori greci e latini)EAN 9788804573913
Il secolo XII è passato alla storia come il secolo dell’amor cortese. Romanzi, novelle, rime, diffondono una cultura, che non di rado sfiora l’erotismo, in ambienti dominati dalla ricerca di successo nelle armi e di conquiste territoriali, fra amoreggiamenti e tradimenti coniugali. A tale clima universalmente diffuso, e favorito in ambienti colti soprattutto dalle riedizioni dell’Ars amatoria di Ovidio, si opposero letterati e uomini di Chiesa, ma in special modo i consacrati nelle varie forme di vita religiosa del tempo, che ci hanno lasciato dotte trattazioni sull’amore, che superano lo sforzo dei trobadores di presentarlo solo come un sentimento capace di nobilitare e affinare l’uomo, esaltandolo invece come via mistica di unione con Dio, ponendo a fondamento del loro dire la Scrittura.
E proprio tali autori e scrittori ecclesiastici sono stati fatti oggetto di attenzione nei due volumi di Zambon, docente di filologia romanza all’Università di Trento, che ci fa gustare (è il caso di dire) i trattati di Aelredo di Rievaulx, Ivo e Riccardo di San Vittore, Guglielmo di Saint-Thierry, Bernardo di Clairvaux, insigni nemici del razionalismo di Abelardo, iniziatori e divulgatori di una specie di apologetica e di teologia dell’amore, destinata ad avere larga risonanza. All’inizio del De natura et dignitate amoris di Guglielmo (Willelmus abbas Sancti Theodorici) si legge: «L’arte dell’amore è l’arte delle arti. Del suo insegnamento si sono incaricati la stessa natura e il suo autore, Dio – Ars est artium ars amoris, cuius magisterium ipsa sibi retinuit natura, et Deus auctor naturae». Posto a confronto con l’ovidiano: Si quis in hoc artem populo non novit amandi, | hoc legat et lecto carmine doctus amet, risalta il tecnicismo erotico dello scrittore pagano e la chiara tendenza al misticismo di quello cristiano, portata al vertice da Bernardo (Bernardus de Claravalle) nel Liber de diligendo Deo. Il commento sobrio di Zambon, relegato alla fine dei singoli volumi, è preceduto però da un’ampia e articolata introduzione generale, nella quale, tra l’altro, viene puntualizzato il significato dato al biblico «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza», l’agostiniana “regione della dissomiglianza”, il rapporto ragione-amore, l’unione mistica. Di ogni singolo autore si fa quindi un preambolo sintetico, cogliendo il tema centrale di Guglielmo nel progresso dell’amore, quello di Bernardo nei quattro gradi dell’amore, quello di Aelredo (Aelredus Rievallensis) nei tre sabbati, quello di Riccardo di San Vittore (Richardus de Sancto Victore) nei quattro gradi della violenta carità, per finire con l’agostiniano amare amorem. Dopo la bibliografia generale e le notizie relative alle edizioni di ogni singolo trattato, ogni autore è inquadrato dal punto di vista esistenziale, culturale, letterario, con ampie note bibliografiche e critiche.
Trattandosi di opere che hanno come punto di riferimento la Bibbia, o il suo sostrato, non è stata piccola impresa darne la traduzione che rispettasse tanto il senso vero quanto quello accomodatizio attribuitole dagli autori delle singole opere; valga come esempio l’inizio della Epistola ad Severinum de caritate di Ivo di San Vittore (Frater Ivo): «Al mio amico amato nel cuore di Gesù Cristo. “La mano sinistra dello Sposo sia sotto il tuo capo, e la destra ti abbracci” – Amico in Ihesu Christi visceribus dilecto. “Levam sponsi sub capite et dexteram in amplexu” (Cant. 2.6 e 8.3)». Non possiamo che augurare un’ampia diffusione a questi trattati, che indubbiamente hanno anche un aspetto di attualità e forse potranno essere di aiuto per districarsi nei contraddittori teoremi e nelle intricate vicende della odierna società, in ogni parte del mondo.
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 3, 578-579
(http://las.unisal.it)
Il primo volume raccoglie e propone, all’attenzione dei lettori, alcuni brani tratti da tre opere scritte da due autori cristiani del XII secolo, sul tema dell’amore. I primi due sono: La contemplazione di Dio e Natura e dignità dell’amore di Guglielmo di Saint-Thierry. Il terzo riguarda L’amore di Dio di Bernardo di Clairvaux. Un’ampia e articolata introduzione generale considera l’amore come tema centrale per comprendere il grande rinnovamento spirituale e culturale dell’Europa del XII secolo: tutte l’esperienze letterarie filosofiche e teologiche, infatti, intendono illustrare l’amore, dai romanzi d’amor cortese alla riflessione della teologia monastica, che si sviluppa – in particolare – nel primo ventennio del secolo con Guglielmo di Saint-Thierry e di Bernardo di Clairvaux.
L’intenzione è quella di proporre l’amore in senso cristiano. Il punto di partenza è, naturalmente, costituito dal commento al Cantico dei Cantici, del quale erano già state fornite delle interpretazioni da parte di Origene e di Gregorio di Nissa. Il Cantico è interpretato in chiave allegorica: lo sposo è il simbolo di Cristo e la sposa quello dell’anima del credente e della chiesa. Tale posizione è accettata dagli autori cristiani che, invece, in Ovidio e Salomone, vedono le espressioni dell’amore meramente sensuale e solo spirituale. Il passaggio dall’amore carnale all’amore spirituale resta l’argomento centrale nella ricerca dell’epoca, come dimostra la storia d’amore tra Abelardo ed Eloisa, dove l’amore dettato dall’impulso è sostituito dalla gratuità dell’agape che, rivolgendosi a Dio, diventa capace di sacrificarsi e dedicarsi completamente all’altro. Tutta la teologia monastica sull’amore nasce dalla creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, secondo la Genesi. Tuttavia, a causa del peccato, l’uomo ha perso questa somiglianza, che è diventata dissomiglianza, come condizione di lontananza da Dio, per cui l’anima vive una deformazione e, rivolgendosi su se stessa, cerca solo la voluntas propria, che diventa cupiditas per l’uso cattivo del libero arbitrio. Certamente, la perdita della somiglianza non determina la scomparsa dell’immagine che, come condizione ontologica presente nell’uomo a motivo della creazione, lo rende capace di amare Dio e di ricercare l’unione con Dio.
La teologia dell’amore, nel Medioevo, è paragonata a una cattedrale gotica, i cui muri di pietra poggiano saldamente sul terreno, ma in cui tutto sembra aspirare ad elevarsi: nell’amore c’è sempre qualcosa di terreno, ma nello stesso tempo vi è presente la tendenza verso Dio. La ricerca di Dio dentro l’uomo coincide con lo sviluppo del naturale desiderio umano di perfezione, che spinge l’uomo nella direzione discendente e che raggiunge in Dio il suo culmine. Fu Dante a esprimere pienamente questa continuità tra amore terreno e amore celeste, trasfigurando la donna della poesia d’amor cortese nella figura angelica di Beatrice. Nel XXXI canto del Paradiso, infatti, san Bernardo subentra a Beatrice, simbolo della teologia, come terza e più alta guida nel viaggio ultraterreno. L’amore, proprio per la sua origine divina, porta l’uomo verso Dio, in modo tale che, se non è deviato dal peccato, cerca sempre la beatitudine che riguarda sempre la ricerca di Dio. Per l’uomo, la conoscenza di Dio è sempre un’esperienza della caritas, dell’amore divino e diventa, così, conoscenza mistica. Secondo Gugliemo, nella caritas, che è la vista di Dio, vi sono due occhi per vedere la luce che è Dio: amor e ratio (amore e ragione); quando uno dei due opera senza l’altro, non si possono avere progressi nella conoscenza di Dio, ma quando si aiutano a vicenda, la ragione guida l’amore e l’amore illumina la ragione e così la ragione passa nell’amore e si trasforma in intelletto spirituale e divino. La ratio diventa scientia e l’amor diventa sapientia e la collaborazione tra loro è intesa come unione tra due istanze entrambe necessarie alla teologia, quella razionale e quella affettiva.
La volontà umana non potrebbe da sola elevarsi a Dio se non fosse mossa dallo Spirito Santo: in Guglielmo e in Bernardo viene presentata una teologia mistica che nasce dall’amore di Dio, inteso come essenza divina e, nello stesso tempo, come dono che Dio rivolge agl’uomini, spingendoli ad amarlo con lo stesso amore, presente nel mistero della Trinità. Scrive san Bernardo: «la causa per cui si deve amare Dio è Dio stesso» (De diligendo Deo VII,22); questo amore, come caritas divina, segna tutto il cammino dell’amore umano, nel quale Dio cerca l’uomo e l’uomo lo cerca solo se prima si è lasciato trovare. Anche per san Guglielmo amare Dio significa amare l’amore; egli esprime questo tema ricorrendo all’immagine delle nozze mistiche tra lo sposo e la sposa, per indicare l’unione sponsale tra Dio e l’anima. E, dove si descrive il quarto e più alto grado dell’amore, quello in cui «l’uomo ama se stesso in Dio» (De diligendo Deo X,27), si spiega il vero significato dell’amore cristiano, provocato e mosso dallo Spirito Santo. Scrive san Bernardo: «lo spirito, inebriato dall’amore divino, si slancia tutto intero verso Dio e, unendosi a Dio, diventa un solo spirito con lui» (De diligendo Deo XV,39). Tra i due autori medioevali, Guglielmo e Bernardo, c’è una profonda affinità spirituale sull’amore e sul modo in cui esso è inteso; solo nella caritas come amore divino, donato all’uomo, il cristiano incontra l’amore vero e fa esperienza di un amore purificato, perché non intorbidito da nulla di personale, in grado così di poter deificare l’anima e farle raggiungere il suo vero fine, che consiste nella vita eterna in Dio.
Esaminando i testi di Gugliemo, così come sono proposti in questa edizione critica, lo schema prevalente resta quello comune agli altri autori cristiani: la purificazione dell’amore fino alla restaurazione della somiglianza con il Creatore, perduta con il peccato, attraverso gradi progressivi, che corrispondono alle tappe della vita umana. Il primo momento, che corrisponde all’infanzia, è quello di una volontà incapace di dirigersi sia verso il bene, sia verso il male; poi, con la fase della giovinezza, la creatura ha bisogno di essere guidata da chi può istruirla, perché l’anima avverte forte il desiderio di Dio, ma risente delle tentazioni. Solo con la maturazione l’amore inizia a fortificarsi, ad essere illuminato e a diventare carità, in quanto l’ascesa per gradi verso Dio si trasforma in accoglienza della grazia divina, che porta all’ultima fase, corrispondente alla vecchiaia, in cui la caritas si trasforma in sapientia. L’amore sfocia nell’unione con Dio, nella deificazione, con cui la mens restaura la somiglianza, che rispende nell’imago divina: in Guglielmo l’amor si trasforma in dilectio e in Bernardo si giunge al terzo grado dell’amore, ma è sempre presupposto il dono della grazia per l’opera dello Spirito Santo, che agisce nell’uomo. Il secondo volume contiene l’edizione critica dei testi di tre teologi medioevali, vissuti nel XII secolo, sul tema dell’amore cristiano: Speculum caritatis di Aelredo di Rievaulx, Epistola ad Severinum de caritate di Ivo, De IV gradibus violentae caritatis di Riccardo di San Vittore. Nella prima opera si vuole riflettere sulla teologia dell’amore di Bernardo, ma non con intento speculativo, ma secondo un fine didattico e pedagogico per la formazione del monaco, mostrando particolare interesse per l’esperienza mistica, considerata nel suo progresso spirituale.
Lo schema principale proposto è quello dei tre sabati, in senso allegorico, che sviluppa soprattutto nel terzo libro: dopo i sei giorni della creazione, il sabato, come giorno del riposo di Dio, è il simbolo della carità e di Dio stesso. Come nell’universo ogni cosa contiene un vestigio della carità di Dio, così tutte le cose tendono verso il sabato, il riposo spirituale. I sei giorni della creazione sono le virtù: i primi due giorni sono le prime due virtù teologali, la fede e la speranza, gli altri quattro giorni, le quattro virtù cardinali, temperanza, prudenza, fortezza e giustizia. Il settimo giorno, è la più grande di tutte le virtù, la carità; essa è simbolo di tre forme di amore, che sono l’amore per sé, l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Il primo sabato consiste nella sui dilectio, in cui la ricerca spirituale avviene all’interno dell’uomo, il secondo sabato è la fraterna dilectio, con cui molti si uniscono tra loro nella carità e, infine, il terzo sabato, consiste nella contemplazione, come pieno compimento della carità. I tre sabati sono, per Aelredo, caratterizzati da un intreccio costante, nel senso che ciascuno aiuta l’altro e se uno viene meno, anche gli altri due sono compromessi nel continuo movimento d’amore verso Dio. Il secondo testo, scritta da Ivo, autore medioevale, di cui non si conosce la vera identità, essendo uno pseudonimo molto diffuso tra i monaci del tempo, non ha finalità didattica, ma si presenta come un inno alla grandezza dell’amore divino, di cui Cristo ha dato l’esempio più grande. Ivo vuole mettere in evidenza la forza dell’amore, che in Cristo ha vinto la morte con la risurrezione e che nei cristiani si manifesta con la capacità di amare nella testimonianza del martirio. L’anima del credente, infatti, attirata dall’amore di Dio, tende tutta verso Dio, ma questa attrazione risente anche della condizione umana, segnata dalla debolezza del peccato, dalla quale può salvarsi solamente grazie alla preghiera rivolta con amore a Cristo. Dio ascolta le invocazioni degl’uomini, perché è l’Amore senza misura, che ama gratuitamente coloro che si mostrano ingrati, perché il suo amore previene l’uomo e perché, grazie al suo amore come dono, l’umanità riceve la salvezza. Il terzo autore, Riccardo di San Vittore, organizza tutta la sua trattazione sulla base di un preciso percorso mistico di ascesa verso Dio.
Il progresso nell’amore viene descritto secondo quattro gradi. Il primo è quello dell’amore, che ferisce e, dal punto di vista spirituale, al passaggio dal Mar Rosso, dopo l’abbandono dall’Egitto e corrisponde alla rinuncia al peccato. Nel secondo grado l’anima assapora la gioia, che proviene da Dio nella contemplazione dei misteri, inaccessibili per l’uomo, ma accolti solo per rivelazione. Il terzo, definito amor languens, l’amore che fa languire, rende nel credente l’amore divino unico ed esclusivo, in quanto rapisce l’uomo, che perde la coscienza di sé e passa tutto nel suo Dio. Il quarto e ultimo grado è quello dell’amor deficiens, dell’amore, che viene meno, nel quale l’anima si abbandona spontaneamente alla volontà di Dio e si conforma perfettamente al modello di Cristo: l’imitatio Christi rappresenta il grado più alto dell’amore. Nei tre autori proposti è comune l’idea fondamentale che solo l’amore spirituale realizzi pienamente la vocazione all’amore presente nell’uomo, consentendo la liberazione dalla prigione dell’egoismo e l’elevazione a Dio nella comunione con lo Spirito Santo, ma sempre nella continua tensione, nell’anima umana, tra cielo e terra, tra aspirazioni alte e limiti umani. Quest’edizione critica ha, indubbiamente, il pregio di proporre all’attenzione dei lettori dei testi della teologia monastica medioevale e di renderli fruibili anche allo sguardo del teologo del nostro tempo.
Ogni testo è presentato nell’originale latino e nella traduzione corrispondente in italiano, preceduta da un’introduzione sulla vita, le opere e il pensiero teologico dell’autore con le note al testo e vaste indicazioni bibliografiche. Ai brani proposti segue, nella seconda parte della pubblicazione, un commento dettagliato dei testi con citazioni bibliche, spiegazioni chiare sui singoli termini in latino, usati dagli autori, precisazioni e chiarimenti sull’idee teologiche prevalenti e ricorrenti nelle loro trattazioni teologiche, sulle convergenze e possibili differenze tra i due autori legati da una profonda amicizia e da un desiderio sincero di contribuire al rinnovamento e allo sviluppo della riflessione teologica. Il tema dell’amore, scelto dal curatore dell’edizione, soprattutto per il modo trattato dai due autori, si presenta anche oggi di sorprendente attualità. La perdita del senso dell’amore autentico, oblativo e diffusivo, richiede una riscoperta dei testi della spiritualità cristiana.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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