Imita ciò che celebri
-Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote
(Saggi di teologia) [Libro in brossura]EAN 9788801048582
«Il sacerdote di domani sarà l’uomo dal cuore trafitto, ferito d’una ferita dalla quale gli verrà la forza per adempiere la sua missione. Un cuore trafitto, ferito dall’assenza di Dio nell’esistenza, ferito dalla follia dell’amore, ferito dalla coscienza che nasce dall’impotenza di riuscire, ferito dal sentimento di essere lui stesso degno di pietà, di essere messo in discussione; e, nello stesso tempo, un uomo persuaso che è da un tal cuore che scaturirà la forza della sua missione, l’autorità della funzione, il valore oggettivo della predicazione, l’efficacia dei sacramenti nell’evento della salvezza attraverso la grazia: il tutto mediato da un cuore trafitto. Dico ancora: il sacerdote di domani sarà l’uomo dal cuore trafitto, avendo per compito di condurre gli uomini nell’ambito, nel centro stesso del loro essere, nel fondo del loro cuore, e sapendo che non potrà arrivarvi se lui stesso non abbia trovato il suo proprio cuore e scoperto l’incomprensibilità dell’Amore, che solo, per vincere, è caduto nella morte» (p. 213).
Ben rendono le suggestive parole del grande teologo Karl Rahner, poste alla fine di questo libro sull’identità e la missione del presbitero, per comprendere che si è quello che si vive o, detto diversamente, si annuncia ciò che si vive.
Il saggio di Salvatore Esposito, docente di Liturgia presso la Sezione S. Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Napoli per la liturgia e il culto, è come un ventaglio di riflessioni disposte in otto diramazioni che raccolgono il vento nuovo dello Spirito e aprono nuove visioni sulla fedeltà del presbitero a partire dal dono di Cristo per i suoi discepoli.
Il primo capitolo funge da premessa per l’intero lavoro di ricerca che non consiste semplicemente nel commentare le parti del rito dell’ordinazione presbiterale, bensì nel marcare il senso più profondo dell’essere sacerdoti in Cristo. In tale prospettiva, con linguaggio semplice ma efficace, esortativo ed esistenziale, l’autore afferma che il sacerdozio è il “santuario” del ministero pastorale. Occorre ritornare a questa culla attraverso una sorta di pellegrinaggio interiore che ci permette di riscoprire il senso di gratitudine a Dio per il dono immenso della vocazione all’ordine sacro (cf. p. 17). Egli afferma che dopo il battesimo, «il giorno dell’ordinazione ha la preminenza su ogni altro giorno nella vita del sacerdote. In esso si ritrova tutta la propria esistenza condita di luce, di ombre, di vittorie, di sconfitte, di gioie, di amarezze, di momenti intimi con il Signore e di gesti eroici per il popolo di Dio. Attraverso la rilettura del rito di ordinazione viene offerta la possibilità di rivivere la gioia della chiamata e l’entusiasmo della risposta a seguire sempre il Signore. La rilettura del rito di ordinazione, inoltre, si rivela come una sorta di verifica del ministero e degli impegni assunti dinanzi alla chiesa per le mani del vescovo» (pp. 17-18). La vita del presbitero deve essere sempre illuminata dalla chiamata di Gesù che attirò a sé i discepoli. Diversamente, non avrebbe alcun senso o efficacia la stessa missione sacerdotale. Da qui la necessità di curare la vita spirituale e la formazione permanente. Per l’autore è chiaro un dato di partenza: identità e missione del presbitero non sono separabili (cf. p. 25). L’altro nome della santità personale del sacerdote è la fedeltà agli impegni assunti e al ministero di annunciare Cristo, altrimenti il presbitero si riduce a essere, secondo un’infelice ma efficace espressione di Eugen Drewermann, un “funzionario di Dio”.
Il secondo capitolo è dedicato alla formazione liturgica del presbitero e pone in rilievo il fatto che la liturgia è fonte e culmine della vita cristiana. L’ars celebrandi richiede preparazione, responsabilità, formazione, attenzione, partecipazione attiva sia del presbitero che dei singoli fedeli. «Il presbitero che presiede “fa segno”, “in-segna”, e per questo tutto il suo corpo, la sua mente e il suo cuore devono essere impegnati in un servizio che richiede uno stile, un’eloquenza che resti sempre al servizio della comunità, non al proprio servizio» (pp. 34-35). Chi presiede deve possedere il timor Domini, la consapevolezza cioè che, ogniqualvolta si celebrano i divini misteri, sa di essere alla presenza di Dio e della sua gloria. Non si può, dunque, non amare la divina liturgia. Molto mirata e da condividere la critica che Esposito fa a certi modelli celebrativi. A volte l’altare diviene una passerella che vede sfilare o apparire il teologo di turno, il missionario, il carismatico, il teatrale, il rubricista, il pio, il mistico. Certamente, il presiedere e il celebrare avviene sempre alla luce di quello che siamo, cioè della nostra personalità. Tuttavia, è bene far emergere non noi stessi ma il mistero che celebriamo.
Il terzo capitolo gira attorno alla grazia dell’ordinazione: il presbitero è servo e dispensatore del pane della vita. Uomo dell’eucaristia, il sacerdote offre ogni giorno al Padre, a nome di Cristo, il dono stesso del pane che riceve in grazia. L’eucaristia, allora, diventa il respiro del ministero presbiterale. Da qui la preparazione alla celebrazione quotidiana dell’eucaristia, come altresì la meditazione della Parola che sarà proclamata, il tempo di ringraziamento e di adorazione. Ma, soprattutto, la necessità di unire eucaristia e vita. In questo capitolo, l’autore si sofferma su alcuni momenti significativi del rito di ordinazione: la processione d’ingresso, il canto, l’altare, l’atto penitenziale, la liturgia della Parola… Importante il riferimento ai libri-segno: il Lezionario e l’Evangeliario. Il primo è il libro-segno della presenza del Signore che parla al suo popolo. Il secondo richiama il vertice della liturgia della Parola e indica il Verbo fatto carne. Ciò significa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, che il presbitero è, anzitutto, ministro-uomo della Parola (cf. PO 4): tutti i fedeli hanno il diritto di cercare sulle sue labbra la Parola del Dio vivente. Il presbitero deve lasciarsi spogliare e guidare dalla Parola, sull’esempio dell’apostolo Paolo e dei veri discepoli; deve essere uno che frequenta la Parola, fino a lasciarsi possedere dalla sua forza purificatrice, illuminatrice, redentrice. Nello stesso rito di presentazione e di elezione, la risposta del candidato (“Eccomi”) è il risultato dell’ascolto profondo e convinto della Parola di vita. Il quarto capitolo tocca uno degli aspetti più importanti del sacerdozio: gli impegni che il presbitero assume, i quali sono il modo concreto attraverso cui egli risponde alla chiamata divina. Si possono così sintetizzare: essere sacerdoti per sempre come fedele cooperatore dei vescovi, nel servizio al popolo di Dio; essere ministri della Parola nella predicazione del Vangelo e nell’insegnamento; celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo (soprattutto la celebrazione dell’eucaristia e del sacramento della riconciliazione); dedicarsi assiduamente alla preghiera; essere più intimamente uniti a Cristo come vittima pura offerta al Padre. Questa sezione del rito si conclude con la promessa di obbedienza fatta al vescovo (è l’immixtio manum, un gesto derivato da un rituale civile di tipo feudale). Cristo diviene il modello della perfetta e totale obbedienza al Padre (cf. pp. 127-129).
Il quinto capitolo mette in evidenza il rito della prostrazione, dell’imposizione delle mani, la preghiera di ordinazione: siamo nel cuore del sacramento dell’ordine sacro. La preghiera raggiunge il suo culmine nell’epiclesi, con la quale il vescovo chiede sugli eletti la presbyterii dignitatem (la dignità di appartenere al presbiterio; la rinnovazione del dono dello Spirito Santo; il sacerdozio di secondo grado; l’esempio di vita per i fedeli). Esercitando la funzione di Cristo capo e pastore per la parte di autorità che spetta loro, i presbiteri, in nome del vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità viva e unita e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Per questo ministero, così come per le altre funzioni, viene conferita al presbitero una potestà spirituale, che è appunto concessa ai fini dell’edificazione.
Il sesto capitolo riguarda i riti esplicativi e offre notizie di carattere storico-liturgico e teologico-rituale su determinati segni, tra cui la casula o planeta e la stola. L’unzione crismale del presbitero si ricollega a Cristo che è l’Unto del Padre. Importante anche il segno dell’abbraccio di pace che conclude il rito dell’ordinazione: manifesta il legame sacramentale che unisce il presbitero al vescovo e ai confratelli dello stesso presbiterio. È la comunione fraterna che apre nuovi significati sul contenuto del celibato come dono a Cristo e alla chiesa. È la dimensione sponsale del presbitero che agisce in persona Christi. Difatti, i presbiteri proclamano di fronte agli uomini di volersi dedicare esclusivamente alla missione di fidanzare i cristiani con lo sposo unico e di presentarli a Cristo come vergine casta, evocando così quell’arcano sposalizio istituito da Dio, e che si manifesterà pienamente nel futuro per il quale la chiesa ha come suo unico sposo Cristo. Essi, inoltre, diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio.
Il settimo capitolo si occupa della carità pastorale quale via per raggiungere la piena conformità a Cristo sacerdote, servo e maestro. La carità pastorale esprime, anzitutto, una dimensione interiore, una scelta radicale che rende i sacerdoti partecipi dell’amore di Cristo. Da qui la sollecitudine verso gli ultimi, i poveri, e il richiamo a uno stile di vita essenziale, semplice, secondo lo spirito del Vangelo. I sacerdoti, «senza affezionarsi in modo alcuno alle ricchezze, debbono evitare ogni bramosia e astenersi da qualsiasi tipo di commercio. Anzi, essi sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in un modo più evidente ed essere più disponibili per il sacro ministero. Cristo infatti da ricco è diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi» (PO 17). È chiaro, dunque, che nel volto dei sacerdoti, la comunità deve scorgere il volto del buon pastore e l’amore attento e appassionato del buon samaritano. L’attenzione al povero, al fratello, all’emarginato, agli ultimi, rende credibile la missione stessa del presbitero.
L’ultimo capitolo, l’ottavo, è dedicato a Maria, madre e maestra dei sacerdoti. «Nel canto del Magnificat, il sacerdote trova la gioia della preghiera nello Spirito, la forza per contrastare le ingiustizie, l’ispirazione per annunciare una fede che non aliena, ma libera da ogni forma di solipsismo e di intimismo, sino a condurre alla testimonianza estrema del Vangelo: il martirio. Ma il Magnificat provoca il sacerdote a operare la scelta preferenziale dei poveri sull’esempio della Vergine che è tra i poveri d’Israele» (p. 200).
Nelle conclusioni l’autore riprende la lunga preghiera di Benedetto XVI con la quale sii affidano a Maria i sacerdoti e, in sintesi, ritorna l’immagine del sacerdote come uomo dal cuore trafitto che sarà certamente un uomo che spende la sua vita per la missione, che si lascia guidare dallo Spirito, capace di leggere i segni dei tempi, fedele alla Parola; un uomo che fa dell’eucaristia quotidiana la sua ragione d’essere, un uomo riservato, schivo e serio, che valorizza i mezzi della comunicazione senza divenirne schiavo…
Il libro di Esposito, di lettura facile e immediata, è da consigliare a tutti coloro che si preparano all’ordinazione presbiterale, a quanti sono in formazione e a tutti i presbiteri che vogliono riscoprire la grandezza del loro ministero. Il saggio presenta una discreta bibliografia ragionata (fonti e studi). Dispiace non trovare l’indice degli autori. Non mancano imperfezioni metodologiche che riguardano, però, la scelta editoriale: perché i titoli dei libri, in bibliografia, non sono in corsivo? Il libro, poi, pur facendo parte della collana Saggi di teologia, non ha un numero proprio di serie.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-2/2011
(http://www.pftim.it)
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