Il vangelo di Marco
(Sacra Pagina) [Libro in brossura]EAN 9788801028263
«Quando cominciai ad insegnare Nuovo Testamento trentacinque anni fa, il Vangelo secondo Marco era al centro di grandi controversie tra i biblisti del tempo. Gran parte della loro attenzione era concentrata sulla comunità nella e per la quale il Vangelo era stato scritto, e sulla situazione storica soggiacente al Vangelo (...). Ma i tempi cambiano, anche per gli studi del Nuovo Testamento. Il centro dell'attenzione nella ricerca su Marco si è spostato dalle figure, dalle situazioni e dagli eventi che stanno dietro il testo, al testo stesso e ai suoi lettori. Allo stesso modo, il più sorprendente sviluppo negli studi biblici è stato il proliferare di approcci letterari, socio-scientifici ed ermeneutici al testo». Così si esprimeva D.J. Harrington, meno di due anni fa, introducendo una bibliografia ragionata sul Vangelo secondo Marco .
La sua presentazione è limitata alla produzione in lingua inglese, ma allargando lo sguardo ai titoli usciti negli ultimi dieci anni anche in altre lingue non si può che ritenerla fondata, anzi confermata. Alcuni esempi. In italiano potremmo ricordare due lavori per il dottorato di ricerca: E. SALVATORE, «E vedeva a distanza ogni cosa». Il racconto della guarigione del cieco di Betsaida (Mc 8,22-26) (Aloisiana, 32), Gregorian University Press-Morcelliana, Roma-Brescia 2003; M. VIRONDA, Gesú nel Vangelo di Marco. Narratologia e cristologia (Supplementi alla Rivista Biblica, 41), EDB, Bologna 2003. In francese non si può tralasciare il lavoro di Y. BOURQUIN, Marc, une théologie de la fragilité; obscure clarté d'une narration (Le monde de la Bible, 55), Labor et Fides, Gèneve 2005. In inglese, ai titoli citati da Harrington si può aggiungere P.L. DANOVE, The Rhetoric of the Characterization of God, Jesus, and Jesus' Disciples in the Gospel of Mark (JSNT.S, 290), T & T Clark, New York 2005. Infine un titolo tedesco, uscito da poco, significativo anche se molto ristretto come ambito di studio: C. ROSE, Theologie als Erzählung im Markusevanglium: eine narratologisch-rezeptionsästhetische Untersuchung zu Mk 1,1-15 (WUNT II, 236), Mohr Siebeck, Tübingen 2007.
Tra i titoli possibili, nell'elenco appena proposto sono stati scelti quelli che presentano un approccio letterario al testo, tralasciando tutto il ramo sociologico; più precisamente quelli che si identificano in modo più o meno esplicito con la cosiddetta analisi narrativa o narratologia (fa sempre più effetto scientifico dirlo in inglese: Narrative Criticism). Ormai il mondo esegetico ha riconosciuto un suo spazio all'analisi narrativa del Vangeli, anche se permangono sospetti e salutari dubbi; è particolarmente provocatoria la domanda che si poneva S.D. Moore alla fine degli anni '80: ma i Vangeli sono una narrazione unificata ? Cioè: è lecito leggere il Vangelo secondo Marco, ad esempio, come se fosse un libro? Non è difficile trovare al suo interno temi trasversali e le opere citate sopra lo fanno in modo interessante. Ma si può fare un commentario «narrativo» a Marco, dall'inizio alla fine?
Negli ultimi anni almeno due (tre) autori hanno dichiarato l'intento: JOHN R. DONAHUE - DANIEL J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco (Sacra Pagina, 2), LDC, Leumann (To) 2006, pp. XII+435, € 32,00 (originale inglese del 2002); e CAMILLE FOCANT, L'évangile selon Marc (Commentare biblique: Nouveau Testament, 2), Cerf, Paris 2004, pp. 662, € 49,00 . Entrambi questi volumi si presentano come commentari che intendono tener conto delle dinamiche della narrazione; nell'analizzarli ci chiederemo dunque: in che cosa consiste concretamente il loro approccio al testo? È così diverso rispetto ad un commentario «classico»? E poi: quale utilità in un tale modo di affrontare il testo evangelico? Per rispondere a queste domande, converrà non solo sfogliare i due commentari in questione, ma anche confrontarli con altri due, ormai classici nell'esegesi di Marco: J. Gnilka (1979) e S. Légasse (1997) .
Impostazione generale
Il volume di DONAHUE-HARRINGTON segue lo schema della collana, «Sacra Pagina»: il commento vero e proprio è preparato da una cinquantina di pagine di introduzione e seguito da tre indici (principali paralleli antichi, argomenti, autori). L'introduzione è molto ampia; inizia precisando il metodo che verrà seguito per l'analisi, quindi propone i temi classici: genere letterario, fonti, redazione, stile, temi di teologia (cristologia, discepolato, giudaismo, escatologia, Paolo e Pietro), data, destinatari, schema. Alcuni paragrafi potrebbero essere usati come introduzione generale ai Sinottici, tanto sono ampi e ben impostati. Per quanto riguarda l'analisi narrativa, gli A. dedicano un paragrafo, l'ottavo: Marco come narratore e autore implicito, il lettore implicito e il reader response criticism, altri aspetti dell'analisi narrativa ; oltre a questo spazio specifico (a dire il vero un po' veloce), è interessante la lettura d'insieme della trama, che mette in luce una cristologia narrativa e l'importanza dell'essere discepoli.
«Il metodo usato nei confronti del Vangelo di Marco in questo volume si può esprimere in due termini comunemente usati nella critica letteraria: intratestualità e intertestualità (...). Per ‘intratestualità' intendiamo leggere Marco in quanto Marco, da parte di Marco. Nel leggere Marco in quanto Marco esprimiamo il nostro interesse per la forma finale del vangelo (non per le sue fonti o per la storia letteraria) e per la terminologia e le immagini usate, per gli artifici letterari, le forme e le strutture letterarie, le caratterizzazioni e l'impostazione. Nel leggere Marco da parte di Marco vogliamo prestare particolare attenzione alla terminologia e ai temi distintivi che sono una costante di tutto il vangelo e che servono a tenerlo insieme come una produzione letteraria unificata (...). Useremo ‘intratestualità' per evidenziare i legami tra il testo del Vangelo di Marco ed altri testi (in particolare l'Antico Testamento) e tra il testo e la vita della comunità marciana e della comunità cristiana al giorno d'oggi» (p. 1).
Era opportuna una così lunga citazione per capire l'impostazione del commento: gli A. suddividono il testo di Marco in sessantadue parti, per ciascuna delle quali viene presentata prima una traduzione, quindi alcune note versetto per versetto (o quasi) e infine un'interpretazione globale. Le note forniscono le informazioni basilari per comprendere il testo (da un punto di vista sia intratestuale che intertestuale), «le interpretazioni sono incentrate sul posto che il singolo passo occupa nella narrativa e nella teologia di Marco» (p. 2). È dunque nelle interpretazioni che si vede di più la dimensione narrativa del commentario; è in esse inoltre che vengono di tanto in tanto tirate le fila del discorso, mettendo in evidenza la struttura d'insieme del Vangelo, presentata alle pp. 44-47. Alla fine di ogni brano c'è inoltre una bibliografia specifica, che va ad aggiungersi alla bibliografia generale offerta nell'introduzione (quest'ultima aggiornata in italiano).
Passando ora a FOCANT, notiamo anzitutto che ha un'impostazione molto simile: introduzione, commento, indici, bibliografia iniziale e alla fine di ogni pericope. Iniziando dall'ultimo elemento dell'elenco: la bibliografia è molto ben curata, sono presenti pure alcuni titoli italiani (ricordiamo che si tratta di un commentario in lingua francese). Altrettanto minuziosamente sono compilati gli indici: autori moderni, citazioni antiche bibliche e non, argomenti trattati.
Il commento si differenzia da Donahue-Harrington per tre motivi: inverte le parti (prima la bibliografia, poi l'interpretazione e per finire le note); commenta pericopi più brevi ma raccogliendole in sei grandi sezioni, che peraltro non vengono solo presentante nell'introduzione: all'inizio di ogni sezione è dedicata una pagina a descriverne gli elementi principali; il livello di approfondimento scientifico è maggiore. Quest'ultima osservazione si fonda non solo sul numero di pagine, che in parte dipende anche dall'edizione; ma specialmente perché Focant si pone in costante confronto con gli altri esegeti, cosa che per Donahue-Harrington è più saltuaria (entrambi comunque producono parecchi riferimenti alla letteratura antica). Nonostante queste differenze, rimane comune nei due commenti il fatto che le note servono per fornire molti elementi «classici» di analisi, mentre è nell'interpretazione di ogni pericope che si vedono maggiormente i frutti dell'analisi narrativa.
Siamo giunti, per finire, all'introduzione; anche Focant propone i temi abituali: genere, autore, data, luogo, destinatari, fonti, struttura, trasmissione del testo, piano teologico; conclude con un paragrafo dedicato a spiegare il metodo usato nel commentario. Sono chiare in proposito le sue parole: «L'obiettivo principale della serie nella quale si inserisce questo commentario è di far apparire la dinamica del testo preso come un insieme. Per raggiungere questo obiettivo nello studio di una narrazione evangelica, è parsa la via migliore quella di inserire l'interpretazione nel quadro dell'analisi narrativa. Questa accorda, per metodo, una attenzione privilegiata al mondo della storia raccontata (story world) e non alla storia tout court (history). Salvo indicazioni contrarie, si tratterà dunque sempre dei personaggi, dei luoghi e degli avvenimenti tali quali appaiono nel mondo del racconto di Marco (...). In sintesi, la spiegazione attraverso le maglie interne del testo di Marco sarà sempre privilegiata. La brevità di Marco lo rende talora difficile da comprendere, addirittura emblematico. Se alcuni elementi del contesto storico dell'autore e dei primi lettori possono aiutare la comprensione, saranno considerati. Non è affatto possibile interpretare un tale testo senza ricorrere all'extratesto (il contesto storico). Tuttavia questo ricorso rimarrà sempre soggetto il più possibile all'opzione che favorisce l'intertestualità. Questa è una scelta metodologica» (p. 48).
Queste dunque le prese di posizione dei due volumi in questione, più genericamente sincronico Donahue-Harrington e più marcatamente narrativo Focant; visto come la pensano, passiamo ora a confrontare metodo e risultato con i lavori di Gnilka e Légasse. Procederemo molto praticamente, confrontando il modo diverso con cui i quattro autori spiegano una pericope (Mc 1,16-20, la chiamata dei primi quattro discepoli).
Confronti
Il primo in ordine cronologico è GNILKA (1979); inizia come sempre con alcuni spunti di tipo diacronico («analisi»), a cui segue la spiegazione delle due scene: sottolinea come il racconto sia dominato da Gesú, che determina tutto quanto accade; vari confronti con l'AT e il mondo giudaico permettono di chiarire meglio il posto occupato dai pescatori nella società del tempo, il significato dell'espressione «pescatori di uomini», somiglianze e differenze con altri tipi di discepolato; in particolare, il confronto con la vocazione di Eliseo in 1Re 19 invita a leggere il nostro brano come racconto di vocazione. Dopo la spiegazione, un paragrafo è dedicato ad una valutazione storica: vengono notati molti dettagli interessanti, che rendono assai verosimile l'episodio, anche se probabilmente l'adesione a Gesú sarà avvenuta in modo più graduale. Per concludere, prima della bibliografia specifica, un paragrafo di sintesi da cui possiamo cogliere il senso del brano in due righe essenziali: «dopo il sommario del v. 14s. la storia acquista un marcato significato paradigmatico. Essa spiega in che modo si possono realizzare conversione e fede nell'incondizionata sequela di Gesú» (p. 90).
LÉGASSE (2000) cerca anzitutto una struttura per il brano (richiamando 1Re 19). Segue poi l'analisi delle due parti in cui si articola, più dettagliata rispetto a Gnilka; tra le molte cose che sottolinea notiamo che: Gesú è un personaggio attivo, che decide cosa fare e dà ordini in modo incondizionato; per capire il significato dell'espressione «pescatori di uomini» non basta guardare all'AT (è sempre negativo), ma bisogna concentrarsi particolarmente nel contesto evangelico, in cui la missione dei discepoli è sempre qualcosa di positivo; alla chiamata segue una obbedienza immediata, che richiede alcuni abbandoni (anche se l'ordine di abbandonare non viene espresso; nella seconda scena del brano, tale aspetto è più marcato). «Posto all'inizio della vita pubblica, questo racconto indica subito le condizioni nelle quali questa si svolgerà. Marco non può concepire Gesú solo, se non nel momento della Passione. Se gli capita di isolarsi nella preghiera, i discepoli cercano subito di riportarlo in mezzo a loro (1,35-38). Da qui il nostro racconto nel posto che occupa. Gesú inizia il suo ministero solo dopo aver chiamato dei discepoli perché fossero ‘con lui' (3,14). Il lettore cristiano ha bisogno della loro presenza» (p. 100).
DONAHUE-HARRINGTON (2002) iniziano con le note, come abbiamo visto; qui vengono offerte precisazioni sul fatto che Marco usa la parola «mare» al posto di «lago», sul significato del nome dei discepoli, sulla formulazione grammaticale tradotta con l'imperativo «seguitemi», sul rapporto tra discepoli e maestro nel mondo antico, ecc. Moti dettagli, dunque; in gran parte già presenti nei due commentari precedenti. Nell'interpretazione della pericope si possono riconoscere tre sottolineature: il ruolo nell'insieme del Vangelo; un possibile sfondo nei racconti di chiamata dell'AT o nei maestri rabbinici o nelle vite dei filosofi; spunti per un'applicazione alla vita di oggi. Fermiamoci a vedere meglio il primo dei tre punti: «dopo il prologo con il suo marcato contenuto cristologico, questo primo atto pubblico di Gesú nel chiamare degli uomini al suo seguito è un'indicazione che il lavoro di Gesú quale ‘il più forte' (1,7) che proclama il lieto annunzio di Dio è destinato a coinvolgere altra gente in un senso del tutto radicale»; inoltre, il riferimento a Pietro alla Galilea e al seguire prepara il parallelo con la fine del Vangelo in 16,7; infine, «questa prima chiamata diventa un paradigma per i racconti di successive chiamate (2,13-15; 3,13-19; 6,6b-13)»: seguono dettagli sulle caratteristiche di questo primo racconto di vocazione e su un breve confronto con le altre chiamate appena citate, per concludere che «nel corso del vangelo sorgeranno i drammatici interrogativi del vedere se i discepoli saranno capaci di «stare con» Gesú in tutte le circostanze e se prenderanno la loro croce come ha fatto Gesú. Vedi 8,31-38, che fa da «narrativa della chiamata» che inaugura la seconda parte principale del vangelo» (tutte e tre le citazioni sono da p. 70).
Concludiamo la rassegna con FOCANT (2004). Dopo la traduzione affronta alcune sfumature filologiche; poi la bibliografia specifica e quindi l'interpretazione. Qui l'A. va subito al punto centrale: dai Padri della Chiesa a Bultmann, in molti hanno notato che i quattro pescatori si mettono a seguire un perfetto sconosciuto, nel senso che questo è di fatto il primo episodio del Vangelo (Luca, per esempio, pone la sequela dopo una serie di miracoli e insegnamenti di Gesú in Galilea). E allora si chiede: «Quale motivo ha potuto spingere il narratore ad iniziare così il suo racconto, contro ogni verosimiglianza?». Ecco la risposta: «Marco non si preoccupa della verosimiglianza storica o psicologica. Egli non esita a dare risalto ex abrupto ad un elemento che egli ritiene essenziale. La sua scelta narrativa manifesta l'importanza che egli accorda ai compagni che Gesú si è scelto. E il seguito del Vangelo mostrerà che il destino di un gruppo di discepoli preoccupa l'evangelista tanto quanto quello di Gesú. Egli non è solo, ma in relazione continua con coloro che saranno inviati a continuare la proclamazione del buon annuncio» (82-83).
Affrontata così la questione fondamentale, Focant continua la spiegazione: anzitutto confronta le due scene (i vv. 16-18 e 19-20) scoprendo somiglianze e differenze; quindi passa ad alcuni dettagli: sottolinea che i pescatori sono in due, che Gesú ha tutta l'iniziativa, che l'immagine «pescatori di uomini» è narrativamente aperta («il suo carattere enigmatico sveglia di nuovo l'attenzione del lettore che dovrà attendere il seguito [6,7-13; 13,10] per conoscere la sua portata esatta», p. 83). Conclude annotando il legame stretto tra il nostro episodio e i versetti precedenti, il sommario di 1,14-15: «L'insistenza del narratore non è tanto sull'ingaggio dei discepoli e sui sacrifici che questo comporta, quanto sull'iniziativa di Gesú. Questa va compresa in funzione della sua missione di proclamare il Vangelo e la conversione (1,15). Il lettore non conosce ancora la piega concreta che prenderà questa missione. Ma viene a sapere che, per la sua riuscita, Gesú ha scelto di affiancarsi un piccolo gruppo di persone, tolte dal loro lavoro quotidiano per diventare ‘pescatori di uomini'» (p. 84). Le note concludono l'analisi aggiungendo dettagli e rimandi, niente di più di quello che già c'è negli altri.
Confrontando ora i quattro commentari possiamo rispondere alle domande che ci eravamo posti in partenza. Notiamo anzitutto che hanno molto in comune. È vero che Gnilka ha uno spazio notevole per l'analisi diacronica del testo e un paragrafo sulla storicità; ma a parte questo, quando si tratta di filologia, di paralleli con l'AT o il mondo antico, di annotazioni grammaticali o logiche, le distanze tra un commentario e l'altro sono così esigue che non si vede la differenza. Contro l'analisi narrativa aleggia ancora un pregiudizio: sarebbe completamente estranea a tutto ciò che sa di storico; ma non è assolutamente vero: conoscere l'ambiente socio-culturale del I sec. d.C. è un presupposto necessario per lo studio del racconto; i due commentari analizzati lo hanno dimostrato. Non interessarsi della formazione del testo non significa rigettare ogni questione storica; del resto, lo stesso Légasse - che pure non fa analisi narrativa - dichiara apertamente che non è sua intenzione affrontare questioni diacroniche .
Dove sta dunque la differenza principale, che caratterizza l'approccio narrativo all'episodio studiato? Talora nella spiegazione di un dettaglio, ma prevalentemente nella ricerca del senso globale del testo. Un esempio per i dettagli: Gnilka si accontenta di citare paralleli all'espressione «pescatori di uomini», affermando che di solito ha un valore negativo ma qui no; Légasse fa un passo in più: motiva il fatto che sia un'immagine positiva aprendo un confronto con il resto del Vangelo, in ci i discepoli sono sempre inviati a compiere qualcosa di buono; Focant fa un passo in più ancora, affermando che l'immagine è narrativamente aperta: non solo sarà chiara quando giungeremo ben oltre la metà del Vangelo, ma serve ora da stimolo a proseguire la lettura, invito a tenere desta l'attenzione nell'attesa che venga colmata la non-conoscenza iniziale. L'analisi sincronica di Légasse è molto interessante, perché considera il Vangelo come un insieme; l'analisi narrativa di Focant lo considera anche da un punto di vista pragmatico, come un testo che interpella il suo lettore. Légasse apre al resto del Vangelo per capire un'espressione iniziale; Focant si chiede perché Marco abbia usato all'inizio un'espressione non chiara, quale sia la funzione nell'insieme del racconto di un tale modo di dire.
Notiamo la stessa differenza se passiamo a considerare il senso globale del brano. Gnilka dice che il nostro è un brano paradigmatico (un insegnamento: cosa significa, nel contesto escatologico di Marco, convertirsi ed essere discepoli); il Vangelo appare, sotto le lenti del suo commento, come un'interessantissima banca dati: che la cosa venga detta al cap. 1 o 10 di Marco poco importa. Légasse fa un passo in avanti, sottolineando come questo primo episodio del Vangelo dica lo stile di Gesú per tutto il resto del racconto: Egli non è mai da solo; in questo caso viene data non poca attenzione al fatto che questo episodio sia il primo e funga in un certo senso da paradigma dello stile pastorale di Gesú, ma è ancora un discorso statico. Focant, ma ancora di più Donahue-Harrington, sono invece dinamici: notano come il brano così essenziale se da una parte sottolinea l'importanza del fatto (che ci siano dei discepoli con Gesú), dall'altra apre i lettori al non-ancora-detto (come saranno questi discepoli; e, in particolare, se poi porteranno a compimento il progetto di Gesú su di loro).
Per concludere: se consideriamo i Vangeli solo come un contenitore di affermazioni teologiche, non ci sono differenze tra i commentatori che abbiamo confrontato e l'analisi narrativa ha poco o nulla da dire; siamo ancora negli anni '50 del secolo scorso quando M. Kähler, certo esagerando nella sua vena polemica, notava come Marco sia assolutamente orientato verso la passione e la morte in croce di Gesú - e nessuno dei commenti, qualunque sia il suo modello ermeneutico, dice diversamente. Ma l'analisi narrativa non considera i Vangeli come un contenitore, e neppure come una raccolta di episodi orientata teologicamente. Il contributo che può dare - ne sono testimoni i due commentari analizzati - è quello di far percepire la dinamica interna al racconto evangelico; Marco non ha raccolto dati, ma scritto le tappe di un itinerario: letterario prima e teologico poi. L'analisi narrativa si chiede come il narratore stia cercando di muovere il suo lettore, di farlo camminare su un determinato percorso.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2008, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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