Una provocazione dirompente dedicata al mondo dei bambini. Un inno contro le violenze di ogni tipo perpetrate contro i più deboli.
NOTA INTRODUTTIVA
di Carlo Bellieni
Abbiamo voluto editare questo saggio di Jonathan Swift, polemista arguto irlandese, di 300 anni fa, perché ci sembrava che le satire dei geni spesso sono delle vere profezie. Swift pensava ad un mondo in cui i bambini sarebbero stati cannibalizzati per il compiacimento dei benestanti, e non è andato lontano da quanto si è avverato, o si avvererà. Certo Swift non avrebbe pensato alla cannibalizzazione degli embrioni, e nemmeno alla giocattolificazione dei bambini che oggi vediamo, al loro “uso” televisivo come casi strappacuore o come richiami pubblicitari. Tuttavia è stato profetico e realista. Abbiamo voluto affiancare alla satira di Swift una “profezia moderna” fatta da Umberto Folena, giornalista e scrittore; vista l’aria che tira, ci sembra fatta a pennello. Ci farà riflettere. Per parte nostra, spesso ci domandiamo quale freno ci sia oggi ad una mercificazione in termini mercantilistici di chi nasce (come vedremo nel saggio di Folena): se sono solo “oggetti”, e se l’unico metro è l’interesse, perché non usarli come giocattoli e alla fine, se qualcuno volesse, come cosmetici o nutrimento?
PREFAZIONE
di Mons. Domenico Pompili
«Modeste proposte» o «voti di vastità»?
Quello di Jonathan Swift è uno scritto satirico. Termine alquanto appropriato, dato che la satira, etimologicamente, indica in origine un manicaretto ripieno (da saturus, pieno) offerto agli dèi. E di un macabro manicaretto ci parla appunto Swift, “cucinando” una serie di luoghi comuni, obiettivi minimi, bassi orizzonti entro un’apparente ragionevolezza, fino a ottenere uno scenario raccapricciante. La satira, infatti, è proprio questo: una rappresentazione su una questione di costume dai risvolti etici, che motteggia con arguzia, e non senza amarezza, passioni, stoltezze e vizi del genere umano, mettendoli in ridicolo, spesso attraverso una censura beffarda in forma di apprezzamento (nello stile dell’ironia socratica). Portando alle estreme conseguenze la logica dell’utilità e della possibilità senza altro criterio di riferimento che la fattibilità (e la tecnica aumenta a dismisura il regno della fattibilità, come ci ricorda anche Folena) si arriva con un passo brevissimo al macabro e al disumano, per quanto semplice, socialmente funzionale ed economicamente vantaggioso possa apparire.
Come già ricordava Hannah Arendt in La banalità del male, e più tardi Zygmunt Bauman in Modernità e Olocausto, il male non è necessariamente il prodotto di menti malvagie e perverse, ma è spesso, piuttosto, la conseguenza inevitabile, quasi l’effetto collaterale imprevisto, di tante piccole scelte apparentemente ragionevoli, per certi versi le più logiche, che non tengono conto di altri criteri che non siano la fattibilità e il vantaggio; oppure è il frutto dell’applicazione alla lettera di procedure che astraggono dalla relazione io/tu, trasformando l’altro nel membro di una categoria e promuovendo quella routine procedurale e ottusa che esonera dalla valutazione morale. Un sistema apparentemente razionale, portato alla sua più radicale ed efficiente realizzazione, produce effetti mostruosi e disumanizzanti.
Siamo nell’ambito del cattivo paradosso: il senso comune diffuso, la doxa portata alle sue estreme conseguenze e radicalizzata, genera mostri. Oggi non è il sonno della ragione che genera mostri, secondo la celebra frase di Goya, ma il sonno della nostra umanità ormai incapace di ribellarsi all’insensato, per quanto ragionevole possa sembrare.
E non bastano nemmeno le buone intenzioni (l’assenza di vantaggio personale, i vantaggi collettivi) a impedire la mostruosità. Mostruosità del “buon senso”, che Swift dipinge a chiari tratti, a cui contrapporre la gioiosa follia cristiana: il bambino, il povero, il malato e lo straniero come icone di Cristo, manifestazioni del suo volto in mezzo a noi, anziché elementi da rimuovere chirurgicamente con operazioni di ingegneria sociale.
È la perdita del senso del limite, che si accompagna alla perdita di umanità, a lasciare via libera a ciò che è disumano e disumanizzante. La razionalità economica e quella strumentale non possono, da sole, fornire i criteri. Il limite è l’interfaccia tra possibilità e libertà, nella forma della responsabilità, Come ci ricorda Paul Ricoeur, assumere liberamente il senso del limite significa dirsi: “tutto posso, ma qui mi fermo”. Una scelta liberamente assunta per consentire la libertà e l’umanità dell’altro, senza la quale la mia libertà e la mia stessa vita non possono esistere, o non hanno senso.
Viviamo purtroppo in un’epoca che si accontenta di “modeste proposte”: le utopie, giudicate come “inutili e oziose”, sono cadute, i sogni sono prefabbricati dagli immaginari dominanti, i progetti sono vincoli per la libertà e fastidiose ipoteche sul futuro, gli orizzonti schiacciati su un presente angusto; tutto è a breve termine, conveniente, poco rischioso, e così la nostra umanità si spegne e si cancella.
Attraverso la lente di Swift, come prova a fare Folena, vediamo ingigantita la mostruosità della nostra modestia quotidiana e, rovesciata, la possibilità di immaginare diversamente, in grande, e rigenerare così la nostra umanità. Quello che Folena applica all’eugenetica (riconoscendo l’assenza del limite, e una concezione mutilata di libertà che produce mostri) è un esercizio traducibile in tanti altri ambiti del nostro vivere insieme: dallo sfruttamento scriteriato dell’ambiente a quello di altri esseri umani (con le condizioni disumane di lavoro, le nuove forme di schiavitù, il turismo sessuale e molto altro) per il nostro benessere e, ancora più banalmente, il nostro quieto vivere.
Abbiamo come esseri umani un dovere verso noi stessi: quello di non rinunciare a neppure un grammo della nostra umanità e della nostra grandezza: noi siamo grandi perché Dio si è fatto piccolo e vicino; noi siamo divini perché Dio si è fatto uomo. E ogni oltraggio alla grandezza dell’umano è un oltraggio a quel Dio che, amandoci, ha immaginato per noi la grandezza dell’amore e la vastità degli orizzonti della vita.
E poiché a ogni voto è compagno un desiderio oltre che una promessa e un impegno, a ciascuno la possibilità di immaginare una possibile applicazione di questa satira, per poter sottoporre a critica severa tutte le modeste proposte di cui siamo fatti continuamente destinatari, e per non smettere mai di desiderare quell’eccedenza che continuamente sfonda i nostri angusti orizzonti di apparente buon senso, e che solo l’amore di Dio può farci gustare e sperare.