Supportando il discorso teorico con l’ascolto di testimonianze emblematiche, il libro porta in primo piano gli interrogativi morali, l’esigenza di giustizia, la domanda di senso che la condizione disabile evoca in tutti. Accostandosi ai disabili in quanto persone, mette in luce ciò che l’handicap dice a proposito della condizione umana universale, segnata tanto da una dignità inestimabile quanto da una ineluttabile vulnerabilità.
In questo libro affiorano gli interrogativi morali, l’esigenza di giustizia, la domanda di senso che la condizione disabile evoca in tutti.
Ciò che dà significato alle soluzioni istituzionali in favore dei disabili – integrazione, diritti, pari opportunità – sono i princìpi di fondo che le ispirano e la visione della persona e dell’umanità cui essi rinviano. L’itinerario di riflessione proposto in queste pagine unisce all’analisi teorica l’ascolto di testimonianze significative e si accosta ai disabili anzitutto in quanto persone, più che come ‘categoria’ svantaggiata, affetta da particolari deficit.
Il fine è richiamare l’attenzione su ciò che l’handicap ci dice a proposito della condizione umana universale, segnata comunque da una dignità inestimabile e da una ineluttabile vulnerabilità.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Questo libro tenta di riflettere sugli interrogativi morali, sull’esigenza di giustizia, sulla domanda di senso che la condizione disabile evoca.
Il presupposto cui queste pagine sono ancorate è che i disabili sono molto più che una minoranza affetta da uno speciale svantaggio: sono anzitutto persone. Ogni essere umano è una persona e ogni persona è imago Dei.
Il fine di questa riflessione è riavvicinare le persone con disabilità a tutte le altre persone, richiamando l’attenzione su ciò che la disabilità ci dice a proposito della condizione umana universale: condizione segnata per chiunque da una dignità inestimabile e da una ineluttabile vulnerabilità.
L’itinerario percorso è di tipo teorico: il libro non propone soluzioni operative né risultati di indagini empiriche, ma semplicemente riflessioni, che scaturiscono dall’analisi di alcune teorie, ravvivata e suppor-tata dall’ascolto di testimonianze significative.
Certo, un’indagine teorica non può accostarsi alla condizione disabile se non con una speciale forma di cautela e rispetto. Ben prima che un possibile tema di studio, la disabilità è il dramma che segna l’esistenza di milioni di persone e delle loro famiglie; un limite oggettivo, ma anche una condizione personale dalla quale si accede a un mondo popolato per lo più da soggetti ‘abili’, costruito a loro misura. Una realtà così eccedente rispetto a qualunque tentativo di disamina critica spassionata può certo trovare espressione più adeguata nelle testimonianze direttamente o indirettamente autobiografiche; e dovrebbe interessare la legislazione, le riforme sociali, la ricerca medica, più che la teoria. Non a caso l’handicap, oggetto tipico di politiche assistenziali e di indagini sociologiche, è assunto raramente come tema di riflessione filosofica; esso, si potrebbe dire parafrasando Jeanne Hersch, «ha implicazioni così dirette e concrete sulla vita degli esseri umani che una digressione filosofica in proposito può sembrare inutile o persino inaccettabile, quasi indecente»1.
La disabilità, inoltre, è anzitutto un’esperienza: il senso di disagio e di esclusione che può provocare, ma anche il tesoro di significati e di piccole-grandi conquiste di cui può essere costellata l’esistenza di chi la vive personalmente non sono mai interamente condivisibili né immaginabili da chi non ne è colpito. Un universo da incontrare con umiltà e partecipazione, dunque; al quale non si addicono né l’indifferenza tecnica né il paternalismo e la commiserazione. Tanto più difficile trovare dall’esterno, nella teoria, la legittimazione e i termini adeguati per parlarne.
Ma accanto a queste ragioni intuitive che sconsiglierebbero di fare della disabilità un oggetto di discorso teorico, ve ne sono altre altrettanto forti per dedicarle una riflessione. Tra le molte prospettive da cui si potrebbe accostare il tema, quelle adottate qui (etica e giustizia) non sono forse le più immediate. La sfida è appunto avvalersi delle risorse teoriche proprie di questi due tipi di discorso, depurandole il più possibile da ogni artificiosità, gratuità e astrattezza, per tentare di illuminare il significato profondo di una realtà umana ardua e misteriosa, ma pur sempre molto concreta: refrattaria alla retorica, alle apologie, ai proclami ideologici.
Non si può negare che alla radice della disabilità vi sia (anche) un problema peculiare di giustizia. Se fino a tempi non molto lontani essa era percepita come una sventura individuale, cui si rispondeva con la medicalizzazione e l’istituzionalizzazione in strutture preposte (cioè, di fatto, con l’esclusione), la cultura del Welfare e l’affermarsi del principio di uguaglianza sostanziale hanno progressivamente riplasmato la questione come un problema eminentemente pubblico, ineludibile per le democrazie costituzionali contemporanee. L’integrazione sociale dei disabili e la promozione della loro autonomia sono divenute così, negli ultimi decenni, una priorità nell’agenda dei governi e degli organismi internazionali.