Gli esercizi spirituali di papa Francesco predicati dal carmelitano p. Bruno Secondin. Sulla trama del cammino di Elia profeta, p. Bruno propone la sua «lectio divina» in tre movimenti: - Il primo basato sul «capire»: un risalire al testo, al suo significato di base, allo scavo esegetico. - Il secondo, il «meditare», fa fiorire il testo svelandone tutte le sue potenzialità spirituali ed esistenziali. - Infine il terzo, l'«applicare a noi», alla nostra storia presente, alle nostre scelte, e qui p. Bruno propone lo stile di Elia la cui voce turba e ferisce la nostra coscienza facendola persino sanguinare. Il lettore potrà ripetere l'esperienza che papa Francesco e i membri della Curia romana hanno fatto, lasciandosi condurre fino «alle radici della fede, avendo il coraggio di dire no all'ambiguità, passando dagli idoli vani alla pietà vera, dalla fuga al pellegrinaggio», per usare ancora le parole indirizzate a p. Secondin dal Papa.
PREFAZIONE
di Card. GIANFRANCO RAVASI
L’umanità non riconosce i suoi profeti e li massacra: ma gli uomini amano i propri martiri e venerano coloro che hanno torturato. (Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov).
Era giovedì 9 settembre 1993 e a Milano ero stato invitato a presentare, col maestro Gianandrea Gavazzeni – una delle figure di spicco della musica, scomparso nel 1996 – l’oratorio Elias op. 70 di Felix Mendelssohn Bartholdy: una settimana dopo, il 16 settembre, avveniva l’esecuzione di questo capolavoro musicale nella chiesa milanese di San Marco. Ebbene, in quel duplice incontro riuscii a scoprire quanto potesse ancora emozionare un profeta così rude e rigoroso in una società così fluida e persino apatica. L’opera imponente – sia per durata (almeno due ore e un quarto) e per organico (nella prima esecuzione il 26 agosto 1846 a Birmingham erano stati convocati un coro e un’orchestra che totalizzavano un effettivo di oltre quattrocento persone), sia per lo splendore del tessuto musicale («magnificamente grande e di una sontuosità indescrivibile», confesserà un altro grande musicista, Hector Berlioz) – riesce infatti a far emergere a tutto tondo la straordinaria potenza di questo padre della profezia di Israele.
Ho voluto evocare questa mia esperienza personale perché, pur non avendo mai scritto un testo esplicito su di lui, se non piccoli ritratti o analisi settoriali divulgative, Elia ha spesso incrociato la mia vita, soprattutto durante i miei frequenti itinerari in Terrasanta. Ascendere sul Carmelo che si proietta nel Mediterraneo o sul Tabor che domina la pianura di Izreel in Galilea, oppure entrare nella chiesa del monastero di Santa Caterina al Sinai dominata nell’abside dalla scena della Trasfigurazione, o visitare la Samaria e l’antica Fenicia, scenari della missione del profeta, sono soprattutto avventure dell’anima, certamente vissute anche da molti lettori delle pagine che ora seguiranno. Ogni presentazione di un’opera comprende, infatti, due dimensioni che s’incrociano, quella che esprime il legame personale con l’autore e quella oggettiva che si connette col contenuto.
Alla prima dimensione più «soggettiva» – oltre a quella già evocata della mia particolare consuetudine con Elia, soprattutto sul versante esegetico e culturale (mi è caro anche il dramma Elijah che nel 1963 Martin Buber ha dedicato al profeta, e nel mio studio privato occhieggia un’antica icona tradizionale con la scena dell’ascensione di Elia al cielo sul cocchio di fuoco) – devo aggiungere un’esperienza particolare. Essa s’intreccia intimamente con la seconda prospettiva, quella legata al tema del libro. Come si dice nella Lettera di papa Francesco, posta in apertura del volume, quest’opera nasce dalla predicazione che p. Bruno Secondin, carmelitano, e quindi posto idealmente sotto il patronato di Elia, ha tenuto allo stesso pontefice e alla curia romana dalla sera del 22 alla mattina del 27 febbraio 2015 per l’annuale Corso di Esercizi spirituali.
Tra gli ascoltatori anch’io ho seguito quei «cammini» lungo i quali, sulla scia del profeta «la cui parola bruciava come fiaccola», per usare l’espressione di un suo ammiratore e primo agiografo, il Siracide biblico (48,1), p. Bruno ci ha guidati. «Cammini» che ora sono aperti davanti a tutti i lettori, invitati a «uscire dal villaggio» della loro quotidianità forse un po’ stanca e dal loro sguardo appannato, per avventurarsi con Elia lungo strade d’autenticità, sentieri di libertà, percorsi ove Dio è in agguato e pronto a sorprenderci, vie d’altura ove la giustizia impone le sue invalicabili esigenze, vette celesti ove avviene l’incontro finale con Dio, e dalle quali il mantello dell’eredità profetica viene lasciato cadere sulle nostre spalle perché, come Eliseo, abbiamo a continuare la missione dell’annuncio efficace della Parola lungo le strade della nostra esistenza.
Il citato filosofo e scrittore ebreo Martin Buber nella sua opera Israele e i popoli (1933) dichiarava che «compito del profeta è opporsi al re e, ancor più, alla storia». Ed è proprio questo atteggiamento da punta di diamante che Elia assume imbracciando come arma la Parola divina. È, infatti, curioso che egli entri in scena nella Bibbia senza antecedenti e genealogia ma solo come voce: «Elia di Tisbe, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Acab: Per la vita del Signore Dio d’Israele, alla cui presenza io sto...» (1Re 17,1). Contro il potere corrotto e violento egli si ergerà solitario, scegliendo la via del confronto implacabile. Sfiderà sul monte Carmelo i sacerdoti pagani di Baal; sfiderà la coppia reale di Acab e Gezabele, la principessa fenicia, inesorabile avversaria del profeta; sfiderà i falsi profeti succubi del regime; sfiderà l’indifferenza e il silenzio complice degli stessi Israeliti.
Figura solitaria, quindi, simile a una quercia tormentata dalla bufera, ma anche persona umana che conosce la depressione, anzi, la tentazione di abbandonarsi a una dolce morte sotto il sole incandescente del deserto, ove è solo il suo Dio a risollevarlo fino all’incontro supremo ed emozionante dell’Oreb-Sinai. Ed è in questo pellegrinaggio alla culla natale di Israele come popolo e alle sorgenti della fede biblica che egli viene di nuovo investito della sua missione. Una missione che conosce il registro veemente del confronto col potere (si pensi all’implacabile denuncia contro l’abuso perpetrato dal re Acab e da sua moglie ai danni del contadino Nabot, episodio che darà la sostanza a uno degli scritti più potenti e severi di sant’Ambrogio), ma anche la tenerezza nei confronti della sofferenza degli ultimi incarnati in una povera vedova straniera di Sarepta, la cui storia è simile a un delizioso «fioretto» francescano.
Su tutta questa trama, molto articolata e affidata a una narrazione biblica libera e talora pittoresca, p. Bruno Secondin impone la sua griglia interpretativa che segue tre movimenti. Il primo è basato sul capire: è una sorta di percorso «centripeto», un risalire al testo, al suo significato di base, allo scavo «esegetico», cioè scoprendo ed estraendo dalla pagina sacra le genuine componenti tematiche. Subentra, così, la seconda tappa, il meditare, che fa fiorire il testo svelandone tutte le sue potenzialità spirituali ed esistenziali. Infine, ecco quello che potremmo classificare come un movimento «centrifugo»: da quel cuore che è la Parola di Dio si passa nel reticolo delle vene e delle arterie della persona fedele, giungendo fino alle ramificazioni più periferiche. È l’applicare a noi, alla nostra storia presente, alle nostre scelte, e qui p. Bruno non esita ad adottare lo stile di Elia la cui voce turba, anzi, tormenta e fin artiglia la nostra coscienza facendola persino sanguinare.
Molti potranno ora ripetere l’esperienza che noi, membri della curia romana, abbiamo fatto con papa Francesco, lasciandosi anch’essi condurre per mano fino «alle radici della nostra fede, di avere il coraggio di dire no all’ambiguità, passando dagli idoli vani alla pietà vera, dalla fuga al pellegrinaggio», per usare ancora le parole indirizzate a p. Secondin dal papa. Il filosofo Karl Jaspers era convinto che la profezia biblica fosse «un evento cardine nella storia del mondo». Nei suoi Pensieri il grande filosofo e scienziato Blaise Pascal immaginava l’uomo immerso «in un universo muto e senza luce, abbandonato a se stesso e come smarrito in questo angolo dell’universo, senza sapere chi ve l’ha messo, che cosa vi è venuto a fare, che cosa diventerà morendo, incapace di una qualsiasi conoscenza, sgomento come chi fosse portato nel sonno in un’isola deserta e spaventosa, svegliato senza sapere dove e senza veder mezzo per uscirne».
Ebbene, Pascal concludeva che in questo orizzonte così indecifrabile e oscuro si leva la voce della profezia che indica un senso e una meta. È ciò che ha fatto Elia per il suo tempo e per noi, e la sua parola e la sua azione rivivono attraverso le pagine che ora seguiranno. A noi tocca di lasciarci ferire da quella testimonianza soprattutto all’interno del grigiore della consuetudine abitudinaria e superficiale, aprendo l’orecchio dello spirito otturato dall’esteriorità e dalle chiacchiere a quella voce inquietante e consolante. Un po’ come scriveva la poetessa ebrea tedesca Nelly Sachs (1891-1970) nella sua ballata dedicata ai profeti: «Se i profeti irrompessero per le porte della notte, / incidendo ferite nei campi della consuetudine, / se i profeti irrompessero per le porte della notte, / cercando un orecchio come patria, / orecchio degli uomini, ostruito di ortiche, / sapresti ascoltare?».
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Claudia Berto il 11 settembre 2015 alle 15:18 ha scritto:
Ho letto alcuni stralci di questi esercizi spirituali quando sono stati fatti ad inizio anno e mi aveva molto incuriosito. Stavo attendendo che uscisse il testo. Finalmente. Libro molto interessante e provocatorio.
Rosario Ranzani il 16 settembre 2017 alle 00:01 ha scritto:
Il volumetto invita alla conoscenza del profeta Elia.
Lo stile discorsivo e l'utile ripresa di ogni capitolo con domande, fanno del libro un efficace strumento per la meditazione e la preghiera.