Un testo inedito di Enrico Chiavacci che propone un'esplorazione ad ampio raggio intorno all'etica contemporanea, alle sue possibilità di interpretare le complessità di questo tempo, alla sua importanza in un futuro da costruire.
PRESENTAZIONE
Quando Enrico Chiavacci ci ha lasciato il 25 agosto 2013, in Fondazione Lanza ci siamo subito ricordati di un magistrale intervento, che il teologo morale fiorentino ci aveva donato in occasione del decennale di attività della stessa Fondazione nel campo dell’etica applicata. L’anniversario era stato per noi un’occasione per vagliare il lavoro svolto e soprattutto per tentare di comprendere come rispondere meglio alle nuove domande che incalzavano le coscienze di fronte all’avvento di nuovi scenari di vita. A don Enrico era stato chiesto il non facile compito di provare a esplorare e a tracciare le linee di sviluppo che la riflessione etica era chiamata ad affrontare in un momento storico segnato da un passaggio epocale: si chiudeva il Novecento e si apriva un nuovo secolo, denso di novità ma nello stesso tempo confuso e incerto.
Egli, da vero amico ed estimatore della Fondazione Lanza, rispose prontamente inviandoci il ricco e lucido saggio che qui ora pubblichiamo, non solo per un sincero segno di riconoscenza nei suoi confronti, ma soprattutto perché ci siamo accorti che dopo più di dieci anni esso non ha perso nemmeno una virgola della sua attualità. Il «futuro dell’etica» veniva riassunto da don Enrico nell’esortazione ad avere il «coraggio di andare oltre», a «non arenarsi riproponendo all’infinito le dispute del passato». Andare al di là «di un’etica tendenzialmente dogmatica», sganciarsi da un «sistema monofilosofico indiscutibile», ma andare al di là anche di quella «frantumazione dell’etica in mille rivoli» che era scaturita dalla messa in crisi del dispositivo teorico e normativo della riflessione tradizionale. La sua non era certo – non lo è mai stata – una furia decostruttiva: egli partiva sempre dalla vita morale delle persone, oggi «molto più travagliata che nel passato, data la crescita esponenziale delle possibilità di impatto delle mie scelte sull’altro e sugli altri, presenti e futuri»; proprio di fronte a tale travaglio egli sentiva la responsabilità dell’eticista di offrire «sostegno e proposte convincenti».
Particolarmente preziose risultano alcune raccomandazioni, da mettere a frutto oggi ancor più di ieri. Anzitutto «nulla perdere e nulla ripetere» nel lavoro della riflessione etica. In secondo luogo, tanto in filosofia che in teologia, «l’etica teorica deve essere umile»: «non deve mirare a decidere per l’altro ma invece aiutare e quasi accompagnare l’altro a decidere su se stesso». Sono indicazioni che non hanno bisogno di commenti, così vere da apparire un dato immediato per la coscienza etico-pedagogica, ma che meritano di essere evidenziate perché oggi proprio su questi due punti molto spesso vediamo arenarsi l’opera etica, a favore di improvvisati quanto abili «life coach» che riducono l’accompagnamento etico a cinque regole per star bene con se stessi… Consegnare in mano a una platea di lettori, che speriamo ampia, questo autentico «saggio» del teologo morale fiorentino, significa però soprattutto raccogliere l’appello che egli rivolge agli studiosi di etica: «Vi è una grande domanda di etica, quale forse mai prima vi è stata nella storia dell’umanità, ma abbiamo qualcosa che non sia il puro nulla o una pia illusione per rispondere a tale esigenza? Su questa domanda si apre il secolo XXI per lo studioso di etica».
Come Fondazione Lanza vorremmo anche ricordare un altro aspetto della ricca e multidisciplinare intelligenza di don Enrico, emerso nitidamente quando – conoscendo i suoi interessi – gli abbiamo chiesto di scriverci un articolo per la nostra rivista «Etica per le Professioni» sulla Mobilità sostenibile. Anche in quel caso egli mise in campo un linguaggio e una concettualità informata tecnicamente e competente moralmente, facendo emergere – in un settore apparentemente così distante – la ricchezza e la varietà delle implicazioni etiche. Al contro quel «bene comune» che egli riteneva il cuore della proposta morale cristianamente ispirata, allorché la si libera dalle strettoie dell’ideologia individualistica.
Vorremmo concludere sottolineando che il pensiero etico di don Enrico Chiavacci costituisce un punto di riferimento per l’intera teologia morale italiana post conciliare; per questo siamo particolarmente grati all’Associazione Teologica Italiana per lo studio della Morale (ATISM), di cui egli è stato anche presidente, di aver patrocinato la presente pubblicazione. È anche questo un modo per continuare a intrattenere con la stessa opera di don Enrico la sua prima raccomandazione sopra ricordata: «nulla perdere e nulla ripetere».
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Enrico Chiavacci: una teologia morale, per pensare oltre
La riflessione etico-teologica degli ultimi cinquant’anni è stata indubbiamente segnata in Italia da forti elementi di novità. Chi ne ricostruirà la storia, dovrà certo considerare il contributo di Enrico Chiavacci (1926-2013), indubbiamente uno dei protagonisti del rinnovamento postconciliare, non solo a livello nazionale. Una profonda conoscenza della tradizione cattolica si intrecciava in lui con una cultura ad ampio raggio, vasta e attenta alla complessità del fenomeno morale, permettendogli di elaborare una riflessione creativa fortemente strutturata, ma anche dinamica e sempre pronta all’approfondimento (al pensare oltre).
Queste pagine intendono solo richiamare alcune coordinate fondamentali del suo pensiero, per consentire una miglior fruizione del saggio che costituisce il corpo principale di questo testo. Esse costituiscono anche un tributo a un autore di assoluta rilevanza per la ricerca morale in Italia: basti pensare alla sua azione nell’ambito dell’ATISM (Associazione Teologica Italiana per lo studio della Morale) di cui è stato presidente dal 1979 al 1984 e alla sua collaborazione, fin dalla fondazione, con la «Rivista di Teologia Morale» (e con numerose altre riviste specialistiche). Da ricordare, però, soprattutto i suoi testi – e, in particolare, i quattro volumi del manuale Teologia morale – determinanti per la formazione di più di una generazione di studiosi di etica.
Partire dalla fine?
Non possiamo certo pretendere in poche pagine di presentare la biografia teologica di una figura così complessa; vale però almeno la pena di richiamare la varietà di dimensioni che ha caratterizzato la sua esistenza, a partire dal momento conclusivo. Nell’estate 2013, infatti, l’ultimo saluto a don Chiavacci ha visto una piccola folla convergere nella piccola pieve di San Silvestro a Ruffignano, posta sui colli attorno a Firenze, dove era parroco da oltre mezzo secolo. La chiesetta era davvero stracolma, di parrocchiani, di amici fiorentini, di tanti che erano stati in rapporto con lui in contesti diversi e talvolta apparentemente eterogenei. È come un’icona, che ben esprime la pluralità di direzioni in cui ha trovato espressione il suo ministero: la cura pastorale – svolta con affetto e passione –, l’insegnamento e l’attività di divulgazione nella sua città, la ricerca che lo ha messo in contatto con i maggiori centri di pensiero nazionali e internazionali.
Un’icona che invitava a ricordare Chiavacci rievocando un percorso radicato in un contesto familiare intellettualmente ricco – il padre, il filosofo Gaetano Chiavacci, è stato a lungo vicedirettore della Scuola Normale di Pisa – e inizialmente orientato a studi di area tecnico-scientifica (donde la passione per l’ingegneria ferroviaria, coltivata per tutta la vita). La decisione di entrare in seminario lo condusse però su un versante ben diverso, introducendolo in un mondo che nella Firenze degli anni ’60 vedeva la presenza di figure come Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani, padre Davide Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci… È in tale contesto che sorge l’interesse per la morale, in primo luogo come strumento per comprendere meglio le dinamiche socio-economiche del tempo, ma ben presto anche come disciplina di insegnamento – dapprima in seminario e poi nello Studio Teologico Fiorentino. Inizia così una ricerca di lungo periodo, che giungerà a collegarsi con le grandi correnti della riflessione europea e non solo: la continuativa frequentazione della Societas Ethica consentiva una vivace interlocuzione con le grandi figure dell’etica contemporanea, mentre la collaborazione con Pax Christi Internationalis orientava a una riflessione etico-sociale davvero globale.
Ma per chi scrive il ricordo di don Chiavacci era venato anche di toni ben più personali; era l’occasione per lasciar riemergere tante memorie – di un prete che celebrava in modo austero e intenso, di una personalità intellettualmente ricca e coraggiosa, di un insegnante che preparava meticolosamente ogni lezione. Che si rivolgesse a studenti di teologia, a parrocchiani, a colleghi di istituzioni accademiche – interpellandoli comunque col memorabile «lor signori comprenderanno» – ascoltarlo era sempre esperienza stimolante, ed estremamente impegnativa. Era un essere condotti sui sentieri dell’etica, alla scoperta di cosa significhi oggi esperienza morale, di come tale realtà venga illuminata dalla luce del Vangelo, di come essa si declini nei diversi ambiti dell’esperienza umana. Era, davvero, scoprire – ben al di là della mera discussione sul lecito e sull’illecito – «l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo» e il loro «obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo»: la prospettiva di Optatam totius 16, tante volte richiamata da Chiavacci per qualificare ciò che può e deve essere oggi teologia morale.
Nello spazio del concilio
In tale orizzonte conciliare si collocava un serrato argomentare, che intrecciava il riferimento denso e pregnante alla Scrittura e alla tradizione con l’esplorazione – competente e supportata da studi ampi e approfonditi – di numerose aree disciplinari. L’invito allo studio, tante volte indirizzato a chi lo ascoltava, esprimeva la convinzione che la complessità della realtà morale vada interpretata «alla luce del Vangelo e dell’umana esperienza». Non casuale qui il richiamo a Gaudium et spes 46, da sempre considerato da Chiavacci come centrale per la sua ricerca, quasi indicazione di una metodologia in grado di dar corpo a quelle intuizioni che la Costituzione conciliare su «La Chiesa nel mondo contemporaneo» offriva così abbondanti alla riflessione etica.
Proprio Gaudium et spes, infatti, era riferimento chiave per la riflessione di Chiavacci, che già a due anni dalla promulgazione vi dedicava un commento analitico: fin da subito egli aveva colto in tale testo alcuni nodi, su cui svilupperà la meditazione di una vita. La sua profonda conoscenza della Costituzione pastorale gli permetteva, infatti, di cogliervi – al di là della varietà dei temi trattati – un’unità concettuale di grande rilievo per la ricerca morale. Nella sua analisi essa dispiegava una logica nuova, indicatrice di un vero e proprio punto di svolta della riflessione etica cattolica, che con essa superava quei limiti che in precedenza ne avevano bloccato le ricche potenzialità. Il riferimento al magistero conciliare non era mai inteso, dunque, come mera ripetizione, ma piuttosto come indicazione di piste da esplorare, per una ricerca innovativa sempre tesa a pensare oltre, con fedeltà e rigore. Anche le critiche indirizzategli attestano, in effetti, soprattutto della natura pionieristica di una riflessione, che ha contribuito in modo essenziale alla recezione di temi che oggi – a mezzo secolo dal concilio – sono spesso acquisiti.
Attraverso Gaudium et spes
A quasi cinquant’anni dalla Costituzione pastorale, un buon modo di attraversare il pensiero di Chiavacci, così articolato, può essere quello di esaminare cosa egli vi abbia colto, quali siano i nodi sui quali più ha lavorato. Certo, egli non sembra aver mai mostrato interesse per il dibattito sul rapporto tra gli elementi di continuità e i fattori di novità con i quali il concilio si inserisce nella tradizione magisteriale. Quello che gli appare palese – alla luce di un esame puntuale e articolato dei testi – è che con Gaudium et spes il concilio colloca la riflessione etico-sociale cattolica in un orizzonte ampio, che si lascia decisamente alle spalle le ristrettezze di fasi precedenti. Un orizzonte profondamente biblico e proprio per questo capace di confronto con gli stimoli più vivaci della ricerca contemporanea, a disegnare una figura ricca e complessa di riflessione etica.
Una dimensione costitutiva dell’umano
Con Gaudium et spes, Chiavacci muove dalla considerazione della dimensione morale come costitutiva dell’essere umano, un essere libero, capace di scegliere, e proprio per questo bisognoso di dare un senso alle proprie scelte. È per questo che il suo Invito alla teologia morale si aprirà sottolineando che «l’annuncio del Vangelo, e con esso l’annuncio cristiano in materia di morale, è stato rivolto fin dagli inizi a un’umanità che si è sempre posta il problema morale». È pure per questo che per Chiavacci il ruolo della riflessione etica (teologica o filosofica che sia) non può ridursi all’elaborazione di un sistema più o meno dettagliato di precetti, ma deve piuttosto prendere le mosse dalla meditazione di un’esperienza che è di ogni essere umano. In tal senso orienta la stessa Costituzione pastorale, che al n. 16 indica la coscienza come luogo in cui risuona la stessa voce di Dio, interpellazione rivolta – in forma spesso anonima – a ogni essere umano. Proprio nel confronto con tale appello, sottolinea il teologo fiorentino, si assumono quelle opzioni che danno forma all’esistenza personale, orientandola anche nella concretezza quotidiana di situazioni specifiche.
Si tratta, dunque, di qualcosa che si esprime nel nucleo più intimo della persona, ma anche di una realtà che dà da pensare, avviando un’elaborazione riflessa, per comprendere quali pratiche consentano di meglio rispondere a tale appello. Se, cioè, la vita morale ha una componente di immediatezza che precede ogni argomentazione razionale, tuttavia, sottolinea con insistenza Chiavacci, essa orienta a una ricerca di ciò che è giusto, che attraversa l’intero esistere e che non può realizzarsi che nella forma della razionalità. Solo così è possibile, tra l’altro, tenere adeguatamente conto delle conseguenze dei nostri atti, essenziali per la valutazione morale. Ecco, dunque, il tema del discernimento – il paolino dokimazein – di cui il moralista fiorentino ha incessantemente richiamato la centralità per l’esistenza morale.