Il viaggio è un grande archetipo. Tutte le culture hanno attinto ad esso per esprimere il rapporto dell’uomo con il mondo, la sua relazione con Dio, per ridurre a un’immagine unica, ma non certo facile, l’esperienza della vita. Perciò Omero e Ulisse, Virgilio ed Enea, il pellegrino Dante della Commedia. Il tema è sconfinato e in questo libro l’autore ha raccolto alcune pagine di saggezza, quasi tutte di autori antichi, cristiani e non. Il volumetto è diviso in due parti: la prima si focalizza sul viaggio inteso come cammino interiore e spirituale, la seconda sul viaggio materiale e concreto come ad esempio il tour in Italia di Teresa di Lisieux (1887), i pellegrinaggi di Egeria attraverso il Medio Oriente, il trasferimento di Melania a Gerusalemme oppure la Siberia attraversata dal Pellegrino russo. Nell’oggi scientifico e laico il bisogno di interiorità non è sopito, e quale rivelazione scoprire testi antichi e freschi capaci di portare lontano l’uomo tecnologico solo se muore a se stesso, senza andare lontano, guardando dentro di sé: in fondo questo è l’unico vero viaggio.
Autore
LUCIO COCO, studioso della tradizione patristica, come saggista rivolge il suo sguardo al presente, indagando i vissuti di fede dell’uomo contemporaneo alla ricerca di risposte che diano verità, consistenza e valore all’esistenza. Tra i suoi ultimi libri: "Piccolo lessico della modernità" (Qiqajon 2009), "Figure spirituali" (EMP 2010), "Interrogare la fede" (Lindau 2011), "I grandi temi del Concilio Vaticano II" (LEV 2012), "Non smettere mai di cercare" (EMP 2014), "A pranzo con i Padri del deserto" (EMP 2015), "Animalia" (EMP 2015), "In viaggio" (EMP 2015).
PREMESSA
Percorrete la via maestra, contate le miglia e non siate negligenti.
Detti dei padri del deserto
Il viaggio è un grande archetipo. Tutte le culture hanno attinto a esso per esprimere il rapporto dell’uomo con il mondo, la sua relazione con Dio, per ridurre a un’immagine unica, ma non certo facile, l’esperienza della vita. Perciò Omero e Ulisse, perciò Virgilio ed Enea, perciò il pellegrino Dante della Commedia. Il tema è sconfinato e dunque in questo lavoro si sono volute raccogliere, per offrirle al lettore, alcune pagine di spiritualità sul tema del viaggio.
Il viaggio spirituale
Idealmente il volumetto può essere diviso in due parti: quella del viaggio spirituale (capitoli 1-4) e quella del viaggio materiale (capitoli 5-8). Più distintamente nel primo caso l’attenzione è rivolta al viaggio verso l’interiorità, al cammino verso Dio, al viaggio di conversione, che può essere considerato come una sorta di viaggio di ritorno, e al viaggio della fede. Si tratta di movimenti soprattutto dello spirito, in cui non è necessario cambiare realmente luoghi, anzi talvolta è sconsigliato. A un monaco piuttosto ansioso un padre severamente ricorda che «Dio è qui e Dio è dappertutto» (Detti dei padri del deserto, Bessarione, 1). L’itinerario verso Dio non richiede spostamenti, piuttosto approfondimenti: più che un andare verso è un tornare a. Il credente partecipa di un moto centripeto più che centrifugo. Il viaggio di conversione, descritto nella parabola del «figlio prodigo» (cf. Lc 15,11-33), oppure le istruzioni di Agostino – che a loro volta ricalcano perfettamente lo schema evangelico – a tornare in se stessi ne sono un esempio evidente (cf. La vera religione, 39,72).
La direzione del viaggio
Ma anche l’ascesa verso Dio, le varie ascensioni spirituali di tanta mistica, non devono ingannare. L’elevazione molto spesso non dipende dalla capacità di portarsi in alto, semmai questo ci spinge al peccato, il peccato di orgoglio, quello che ci vuole come Dio, ma non ci porta a Dio. Il viaggio verso Dio è un’elevazione solo nella misura in cui siamo capaci di abbassarci, di farci piccoli, di entrare nel tessuto delle cose, della vita nostra e dei fratelli. Folgorante a questo proposito sant’Agostino: «Dovete scendere per salire fino a Dio» (Confessioni, IV.12.19). L’ascesa vera, ancora una volta improntata all’esempio di Cristo, deve prevedere necessariamente e paradossalmente un abbassamento per essere davvero tale. Allora il viaggio si fa serio e concreto, allora prende forma e non è solo un vago e superficiale aggirarsi tra vane sembianze che possono lasciare la persona solo insoddisfatta.
Tappe
I testi qui raccolti ci dicono che in questo tipo di viaggio l’uomo può trovare se stesso solo se si perde, se muore a se stesso come il chicco di grano nella terra (cf. Gv 12,24). La sua fecondità deriva dalla particolare capacità di dover affrontare un viaggio in cui si mette in gioco, in cui egli scompare a se stesso per diventare se stesso. Sono queste le tappe del cammino verso l’interiorità. È ancora una volta la sapienza dei padri del deserto a specificare la virtù sottesa a questo sacrificio, la carità, la virtù teologale che più ci mette in comunione con Dio perché Dio stesso è carità (cf. 1Gv 4,8). Nel viaggio verso Dio – racconta infatti un apoftegma – la prima tappa è quella dell’ascesi, «che ti mette sulla strada», la seconda è quella della castità, «che ti porta fino in cielo», la terza è la carità, «che ti conduce con sicurezza davanti a Dio re» (Detti dei padri del deserto, Poemen, 109).
Il viaggio della fede
Naturalmente la suddivisione proposta per questa antologia non può che essere strumentale. Il viaggio spirituale non è solo un viaggio verso Dio, verso l’interiorità, esso è sempre anche un viaggio della fede. In questo senso, riepilogata da Gregorio di Nissa, l’esperienza di Mosè, al quale «Dio cominciò a mostrarsi nella luce, poi parlò con lui nella nube e infine divenuto più profondo e perfetto poté vederlo nella tenebra» (Omelie sul Cantico dei cantici, 11) si salda con quella di Abramo, citata a esempio dal Crisostomo, che scopre, nell’incomprensibilità (la «tenebra» del Nisseno) della prova a cui Dio lo sottoponeva, la possibilità di sperimentare, mediante la fede, un altro effetto della sua potenza, quello di «trovare un passaggio là dove la via è impraticabile» (A Stagirio, I,6). Mosè, Abramo, la Croce di Cristo comprendono in sé la stessa angoscia, esprimendo il senso dell’abbandono di Dio, ma dischiudono anche la stessa promessa di futuro e di risurrezione.
Itinerari
La seconda parte del lavoro raccoglie, come si è accennato, testi che più si accostano al viaggio materiale e concreto. Il tour in Italia di Teresa di Lisieux (1887), oppure i pellegrinaggi di Egeria attraverso il Medio Oriente, il trasferimento di Melania a Gerusalemme oppure la Siberia attraversata dal Pellegrino russo sono stati riportati quasi a titolo di esempio tra i tantissimi altri che hanno lasciato la traccia di un resoconto scritto o che possiamo solo immaginare si siano compiuti senza che ce ne sia stata affidata una memoria scritta. Ma anche in tal caso l’itinerario facilmente si trasforma in metafora, in qualcos’altro. Gerolamo da Betlemme è prontissimo ad avvertire il suo corrispondente Paolino che la sua fede non manca di qualcosa per non aver visto Gerusalemme e a non pensare che chi l’abbia fatto sia migliore: «Qui o altrove – concludeva il dottore della chiesa – il Signore ti ricompenserà allo stesso modo per le tue opere» (Epistola, 58,4).
La filosofia del viaggio
In tal modo san Gerolamo comunicava uno scetticismo sull’utilità dei viaggi che attraversa non solo la riflessione morale latina di un Orazio, per il quale chi viaggia «cambia cielo non animo» (Epistole, 1,11,27), o di un Seneca, secondo cui «più che il luogo dove si arriva è importante lo stato d’animo» (A Lucilio, 28,4), ma anche di un Pascal, che mette in guardia dal peccato di orgoglio di cui si macchia il viaggiatore. La sua infatti – egli dice – è solo curiosità e «la curiosità non è se non vanità» (Pensieri, 265). In questa prospettiva il viaggio perde la sua dimensione concreta e si presta a una lettura filosofica. Esso diventa così sempre il viaggio della vita, descritto da Giovanni Crisostomo (cf. Omelie sul Vangelo di Matteo, 81,5), da affrontare con l’equilibrio e la saggezza di chi si trova sempre davanti a uno scenario incerto e a un orizzonte mutevole (cf. Pascal, Pensieri, 223).
Etimologie
L’istruzione e il motivo di fondo di questi testi sono spesso simili. Il proprio vissuto interiore viene sovente accostato a un viaggio per esprimere un personale percorso di avvicinamento alla autenticità e alla verità di sé, cosa che non sarebbe possibile se a ciò non fosse sottesa parallelamente una esperienza di Dio che guida e rende certo questo cammino. Il viaggio che intraprendono questi autori non è dunque mai una vacanza, una forma di distrazione o un divertimento, nel senso etimologico di de-vertre, cioè di abbandonare o lasciare un cammino intrapreso. O forse lo è nel senso più pregnante che ancora l’etimo attribuisce al termine vacanza. Il verbo latino vacare deriva infatti da vacuum e sta per «essere vuoto». Il vacare Deo, una delle espressioni più note della spiritualità cristiana, sta a significare proprio questo «svuotarsi per Dio», il «tenersi liberi per Dio», il «fare posto a Dio», creando appunto uno spazio oppure un vuoto. Secondo questa etimologia il viaggio si costruisce come una vacanza, ma non nel senso che associamo comunemente oggi a questa parola. La modernità infatti fa della vacanza (e del viaggio, vissuto quasi come un suo doppio) un rito collettivo senza approfondire la dimensione interiore che accomuna queste due situazioni di vita e da cui dipende: quella di un andare verso di sé per ritrovare un contatto con Dio.
In interiore homine
Non è necessario quindi portarsi lontano, come diceva Petrarca riprendendo in mano il libro delle Confessioni di sant’Agostino, ma basta cercare, guardare dentro di sé, perché la ricerca di Dio può avvenire proprio nella nostra coscienza (Familiari, IV,I,27). In fondo questo è l’unico vero viaggio e a esso continuamente i testi raccolti alludono. Il moto molto spesso è solo un’illusione, anzi talvolta può essere un ostacolo, come fa notare Seneca, che invita ad andare oltre il viaggio per ritrovare «la vita buona» (A Lucilio, 28,4). Per tutti si tratta di affrontare la via che porta all’interiorità per poter ascoltare più nitidamente la voce di Dio che parla nella coscienza di ognuno. Ogni giorno, in quanto uomini, siamo interpellati da questa esigenza e volerla mettere a tacere, con la forza oppure con il frastuono, significherebbe, non meno che un mancare alla ricerca di Dio, un difettare e un venir meno a noi stessi, questo sì, tra tutti i viaggi possibili, quello più infruttuoso, che coincide con un errare e un errore, nel quale rischiamo di perdere non solo la speranza della meta ma anche la realtà di noi stessi.
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Prof. Marco Vismara il 14 maggio 2015 alle 15:54 ha scritto:
Il tema del viaggio è metafora innanzitutto della vita. Il testo suggerisce, attraverso i testi di antichi autori filosofici e cristiani, interessanti spunti di riflessione sulla vita dell'uomo e della sua dimensione di essere in cammino.