Il testo offre un contributo all'analisi dei valori morali che ispirano i criteri di gestione delle risorse nella sanità, in una prospettiva solidarista e universalista.
PREFAZIONE
di Antonio Spagnolo
Il tema della relazione tra etica ed economia nell’organizzazione sanitaria sembra oggi segnato da una specie di paradosso. Per un verso, il richiamo ai valori etici nel campo dell’allocazione delle risorse sanitarie è così frequente da essere diventato quasi scontato. Per altro verso, l’organizzazione della Sanità appare incapace di sottrarsi a una sorta di «fatalismo economicistico», che conduce a ritenere non superabili sillogismi di questo tipo: i cittadini chiedono sempre più servizi sanitari; per offrire più servizi occorrono risorse; dunque la questione dei servizi sanitari non può che essere una questione legata alle risorse, e dunque di tipo meramente economico-organizzativo. Sembrerebbe, in questo modo, preclusa qualsiasi altra considerazione nell’ambito dei servizi sanitari che non sia di tipo economico, assumendo più o meno esplicitamente che le speculazioni etico-filosofiche rivelerebbero un approccio ingenuo, se non irrealistico, alle questioni sull’impiego delle risorse. Etica ed economia finiscono così per diventare un ossimoro irrisolvibile.
Per la verità, il rapporto tra economia ed etica non è un tema nuovo, ma anzi rappresenta un punto abbastanza controverso, per lo meno nella storia del pensiero occidentale1. L’approccio della cultura greca ai problemi di natura economica era, per esempio, quello di non considerarli disgiunti dall’etica ma, al contrario, come elementi di quest’ultima dimensione. In tale contesto va ricordato, ad esempio, Aristotele, il quale poneva l’economia in una posizione subordinata alla politica, sebbene entrambe rientrassero, secondo la sua prospettiva, nella visione etica della vita.
L’apice di una visione etica dell’economia si è avuto nel Medioevo, con il pensiero scolastico, che approfondì e diffuse il contenuto sociale del messaggio evangelico: l’avversione ai beni del mondo da parte della Chiesa primitiva venne, infatti, mitigata dal tentativo, operato dagli scolastici, di armonizzare le istanze metafisiche del cristianesimo con le tendenze insopprimibili dell’uomo, visto nella sua realtà quotidiana e nei suoi istinti materiali.
Va riconosciuto, in particolare, a san Tommaso il merito di aver saputo inquadrare la condotta umana in un sistema di norme morali che non negavano gli istinti, ma li correggevano e li adeguavano ai fini che trascendono la pura materialità dei rapporti tra la persona e i beni economici.
A partire dalla seconda metà del XV secolo si è assistito, tuttavia, a una progressiva disgregazione spirituale e politica, che ha condotto all’espressione di una cultura rinnovata (l’Umanesimo e il Rinascimento): tale cultura ha contrapposto, alla vocazione mistica e alle speranze oltremondane della civiltà medievale, l’immagine di un uomo libero da norme etiche e religiose, padrone di se stesso e del proprio destino (il c.d. homo faber).
Il prevalere della cultura rinascimentale, e con essa di un modello antropologico individualista, ha avuto effetti dirompenti sul rapporto etica-economia: in particolare, il diffuso abbandono alla ricerca di interessi individuali, in primo luogo pecuniari, non più arginati dalle antiche preoccupazioni oltremondane, ha messo in crisi la precedente visione etica dell’agire economico.
Parallelamente si è assistito nel corso del XVI secolo a una rivisitazione della concezione, in precedenza unitaria, del sapere e a una scissione di quest’ultimo in forme diverse e articolate, la cui chiave di volta non veniva più ritrovata nella religione.
Da qui si è fatta strada l’idea di un dualismo tra etica ed economia, che si è insinuato, seppur con sfumature diverse, nel pensiero economico dominante da A. Smith, attraverso l’Utilitarismo, sino al secolo XX, condizionando notevolmente gli studi di scienza economica.
Ancora negli anni ’30, l’impostazione epistemologica robbinsiana di matrice neopositivista, in linea con la valorizzazione della c.d. «legge di Hume» e della celebre tesi della avalutatività delle scienze sociali di Max Weber, poteva celebrare il definitivo divorzio tra economia ed etica.
Bisognerà attendere il 1967 con la pubblicazione del volume Logica delle scienze sociali2 di Jürgen Habermas per vedere confutata definitivamente la tesi weberiana della avalutatività delle scienze sociali, sulla base della teoria ermeneutica di Hans-Georg Gadamer.
Parallelamente lo stesso utilizzo dell’ermeneutica, permettendo un superamento della scissione fatto-valore, consentì di effettuare un’opera di ridimensionamento della «legge di Hume».
Con le premesse del superamento del paradigma weberiano e del ridimensionamento della «legge di Hume» si sono aperte nuove prospettive per le scienze sociali, in generale, e per l’economia, in particolare, da lungo tempo appiattitesi su schemi matematicistici che, di fatto, impedivano di entrare nel merito delle questioni decisive dell’agire umano per l’esclusione dal loro orizzonte degli elementi valutativi e prescrittivi.
Non è un caso allora che sempre più insistenti siano state, nella letteratura e nei dibattiti svoltisi a partire dagli anni ’60, le sollecitazioni volte a «riconsiderare criticamente la celebre tesi della presunta neutralità del sapere economico»3 e a sostenere conseguentemente la necessità di «uno speciale rapporto di buon vicinato tra economia ed etica»4. Sempre maggiore è stata, cioè, la necessità di una progressiva apertura dell’economia all’etica e la tendenza a considerare come connesse queste due discipline. E oggi, perciò, si può dire che, almeno sotto il profilo epistemologico, la tesi della presunta avalutatività della scienza economica sia di fatto superata.
Il volume di Gian Antonio Dei Tos va inserito nel quadro epistemologico di questo progressivo riavvicinamento della disciplina economica a quella etica, ovvero di affrancamento della prima da una prospettiva positivista. Detto in modo diverso, le scelte economiche, lungi dall’essere meramente di tipo tecnico, risentono sempre di una determinata impostazione etica ed esigono il riferimento a valori.
Merito del testo è di operare questa riconciliazione in un ambito come quello della tutela della salute, forse ancora più problematico dell’economia globalmente considerata e dove le scelte da prendere stanno oggigiorno assumendo contorni quasi drammatici.
Nel volume, dopo un utile chiarimento dei principali termini dell’economica sanitaria, la riconciliazione viene operata, anzitutto, approfondendo in maniera organica le principali prospettive etiche che fanno da sfondo all’«agire economico» in sanità, ossia la prospettiva libertaria individualista, la prospettiva utilitarista e la prospettiva egualitarista e comunitarista.
Di ciascuna di esse viene efficacemente ricostruito il percorso di elaborazione filosofica e vengono individuati punti di forza e limiti nella loro applicazione all’ambito della tutela della salute.
A questa parte segue l’esplicitazione dei principali modelli organizzativi di tutela della salute: si tratta delle assicurazioni private, dei sistemi mutualistici e dei servizi sanitari nazionali. Ampio spazio viene dato anche all’approfondimento delle successive evoluzioni di questi modelli classici e alla discussione di temi estremamente attuali come quello dei costi standard.
Particolare abilità dell’Autore in questa parte del libro è il far emergere in maniera evidente la relazione che intercorre tra questi modelli e l’impostazione etica che ne è alla base, ossia di mostrare come questi modelli altro non rappresentano se non l’«esito» di determinati presupposti valoriali di fondo.
La terza parte del volume, infine, è volta al tentativo di delineare una prospettiva etica per l’economia sanitaria a partire «dall’unico vero fine del sistema della cura che è il rispetto per la persona e la promozione della sua dignità» (p. 165). Si tratta, in altre parole, del tentativo di fornire quegli strumenti concettuali, in grado orientare i processi decisionali in tema di allocazione delle risorse sanitarie sulla base del primato della dignità della persona umana.
Tentativo questo perfettamente riuscito con l’elaborazione di un corposo set di principi e di criteri orientativi (come quelli di giustizia, socialità, universalità, equità, sussidiarietà, responsabilità solidale, proporzionalità delle cure, totalità, indisponibilità della vita, ecc.), funzionale a chi intenda prendere decisioni economiche in sanità «eticamente informate» e rispettose della dignità della persona umana.
In conclusione, si può affermare che il volume di Dei Tos riesca nell’intento di quell’integrazione tra competenze economico-sanitario e competenze etiche che, seppur ampiamente annunciata e auspicata dalla letteratura, è rimasta per lungo tempo lettera morta.
Dal suo lavoro è derivato un contributo prezioso e innovativo sia sul versante epistemologico e fondativo, sia sul versante operativo. Molteplici, dunque, le prospettive secondo cui il volume può essere letto e apprezzato: da quella dello studioso di filosofia della scienza a quella dello studioso di economia o di etica; da quella dell’esperto di economia sanitaria a quello dell’esperto di bioetica; da quella dell’operatore sanitario a quella del decisore nell’ambito dell’organizzazione della cura della salute, entrambi ambiti questi per i quali l’Autore può far valere una vasta esperienza personale diretta.
Il volume può risultare, infine, particolarmente efficace anche per i giovani che intraprendono i corsi di laurea triennale e specialistica in economia sanitaria e organizzazione dei servizi per cui se ne può proporre l’adozione fra i testi di riferimento.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Salute e Sanità è il binomio attorno al quale ruota il mondo della cura. La definizione di Salute fa ancora oggi riferimento a quanto contenuto nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) istituita nel 1948 allo scopo di consentire a tutte le popolazioni di raggiungere il più alto livello possibile di tutela delle proprie condizioni di vita. Sicuramente salute e malattia sono concetti che hanno anche una quota di relatività connessa ai contesti sociali, culturali e ideologici.
Per Sanità intendiamo la globalità dell’organizzazione e dei processi preposti alla tutela della salute individuale e collettiva. Essendo la salute un bene essenziale che condiziona lo sviluppo sociale, economico e personale, la sua promozione diventa impegno prioritario di ogni istituzione pubblica così come affermato nella Carta di Ottawa, sottoscritta dagli Stati appartenenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1986. Sono molti gli elementi che condizionano la salute e l’aspettativa di vita delle persone: i fattori socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il 50 %, lo stato e le condizioni dell’ambiente per il 20 %, l’eredità genetica per un altro 20 % e i servizi sanitari per il 10 %.
Anche se la sua influenza sulla longevità è stimata attorno al 10 %, l’organizzazione e il funzionamento di un sistema sanitario è molto importante ai fini della salvaguardia della salute e della qualità di vita di una popolazione. L’efficienza di un sistema sanitario è espressione, anche se non esclusivamente, delle risorse messe a sua disposizione, sopratutto se si ha l’obiettivo di minimizzare le disuguaglianze e le iniquità nella cura della salute. Siamo di fronte a sfide di grande complessità, dense di variabili difficili da controllare e che, spesso, si affidano a soluzioni diversificate; nascono così modelli diversi di sistema sanitario che sono espressione sia dei differenti assetti economico-istituzionali, ma sopratutto della visione antropologica e dei valori morali che fondano l’organizzazione dei vari Stati. Economia ed Etica diventano il binario su cui si sviluppa l’organizzazione sanitaria, anche se, non raramente, vengono considerate antinomiche, nonostante sia ormai chiara a tutti la necessità del reciproco riconoscimento fra sapere economico e sapere etico.
Da decenni ormai, i sistemi sanitari delle società industriali più evolute sono chiamati a sperimentare tentativi di riforma, conseguenti ai progressivi problemi di finanziamento che sorgono per organizzazioni che vedono crescere il loro impegno di spesa in modo sproporzionato rispetto all’andamento del prodotto interno lordo. In questo contesto sorge una doppia preoccupazione: da una parte la necessità di contenere la spesa entro i limiti imposti dalla sostenibilità della finanza pubblica, dall’altra l’urgenza di garantire l’equità nell’accesso ai servizi sanitari. La sfida si gioca sempre attorno a due visioni politico-economiche tradizionalmente antitetiche: l’idea del mercato libero contrapposta a una visione organizzativa che prevede la partecipazione attiva dello Stato. Da una parte quindi l’idea di affrontare l’organizzazione sanitaria con gli strumenti tipici della domanda e dell’offerta e dall’altra la convinzione che tale approccio sia iniquo e che sia, viceversa, necessaria la presenza di uno stato sociale che tuteli il rischio di malattia e l’assistenza sanitaria. In realtà oggi si guarda sempre più a soluzioni che possano rendere compatibili valori del mercato come l’efficienza, con un sistema che garantisca un accesso universale alle cure. Si converge quindi verso un’allocazione delle risorse che, seppur sottoposta ai vincoli di bilancio, sia fondata sui bisogni della popolazione; è su questa base che si fonda l’approccio su una quota capitaria ponderata, costruita sui profili epidemiologici e demografici della popolazione da tutelare; l’attenzione alla salute, intesa come bene pubblico, impone di anteporre l’esigenza dell’equità e della distribuzione delle risorse secondo i bisogni alla mera efficienza e massimizzazione dei risultati. Anche questa scelta è comunque determinata da un approccio etico al mondo della cura che vuole considerare al centro di ogni organizzazione sanitaria la persona e la sua dignità e la consapevolezza che la qualità etica di un sistema sanitario è data dalla capacità di risposta oggettiva al bene umano della persona che vi ricorre.