Voci significative delle chiesa italiana si confrontano sulla situazione della vita consacrata oggi: tempo di grazia e di prova.
INTRODUZIONE
di Maria Marcellina Pedico
Nel 2004 il «Documento di lavoro» del Congresso internazionale della vita consacrata iniziava con queste parole: «In mezzo a tanti cambiamenti, avvertiamo la vitalità e l’attualità dei grandi valori costitutivi della nostra forma di vita e l’urgenza di viverli intensamente e in modo significativo per noi e per gli altri. Noi, consacrati e consacrate, viviamo giorni di grazia e di prova». E, nell’intervento conclusivo del Congresso, padre Álvaro Rodríguez Echeverría ricordava: «Mi sembra che il dovere più impellente che abbiamo nei confronti della vita consacrata sia quello di restituirle tutto il suo fascino. La parola “fascino” si riferisce a tutto ciò che produce letizia comunicativa, forte attrazione, freschezza e ottimismo. Essa suscita grazia e simpatia, immaginazione e fantasia. Per sua natura fa sorgere forza, entusiasmo e aspettativa».
Sono due suggestioni emblematiche. La prima sottolinea la consapevolezza dei consacrati di vivere un momento di prova e di disorientamento, come appunto evidenzia il sottotitolo di questo volume; l’altra manifesta l’urgenza di superarlo tornando al primo amore, che in definitiva vuol dire riscoprire Gesù, lasciarsi affascinare dalla sua persona e dalla sua proposta di vita. Un passo significativo dell’esortazione apostolica Vita consecrata l’aveva affermato: «L’invito di Gesù: “Venite e vedrete” (Gv 1,39) rimane ancora oggi la regola d’oro della pastorale vocazionale. Essa mira a presentare, sull’esempio dei fondatori e delle fondatrici, il fascino della persona del Signore Gesù e la bellezza del totale dono di sé alla causa del vangelo» (VC 64c).
In verità, non c’è niente di più semplice e nello stesso tempo di così esigente. «Ripartire da Cristo – scrive l’Istruzione della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica – significa ritrovare il primo amore, la scintilla ispiratrice da cui è iniziata la sequela. È suo il primato dell’amore. La sequela è soltanto risposta d’amore all’amore di Dio. Se “noi amiamo” è “perché egli ci ha amato per primo” (1Gv 4,10.19). Ciò significa riconoscere il suo amore personale con quella intima consapevolezza che faceva dire all’apostolo Paolo: “Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me” (Gal 2,20). [...] È questo amore che rende forti e coraggiosi, che infonde ardimento e fa tutto osare» (RdC 22).
Il punto di partenza e la fonte del dinamismo della vita consacrata nel cuore del mondo è dunque la sequela Christi, assunta sine glossa, senza concessioni. Non si tratta solo di una imitazione di Cristo, ma di una identificazione profonda con lui, a partire da un amore totale che permea tutte le dimensioni della vita: una vita «afferrata» da Cristo, «toccata» dalla sua mano, «raggiunta» dalla sua voce, «sorretta» dalla sua grazia (cf. VC 40). E l’autentico incontro con Cristo conduce al mistero trinitario. «Così la vita consacrata diviene una delle tracce concrete che la Trinità lascia nella storia, perché gli uomini possano avvertire il fascino e la nostalgia della bellezza divina» (VC 20b). Gesù ci affida al Padre, ci fa conoscere lo Spirito che lo anima nella sua missione, ci fa memoria del suo messaggio, e ci introduce al dinamismo della sua relazione con il Padre.
Come l’intera esistenza cristiana, anche la chiamata alla vita consacrata è in intima relazione con l’opera dello Spirito Santo. E lo Spirito Santo opera attraverso la seduzione: «È lui che, lungo i millenni, attrae sempre nuove persone a percepire il fascino di una scelta tanto impegnativa. Sotto la sua azione esse rivivono, in qualche modo, l’esperienza del profeta Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”» (VC 19b) o quella dell’apostolo Paolo: «Dio mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia» (Gal 1,15).
La vita religiosa non si comprende se non dall’esperienza di essere chiamati, conquistati, attratti dal Dio vivo e dal seguire Cristo in modo radicale, vincolante, per un’assimilazione progressiva dei suoi sentimenti. Il consacrato diventa punto di riferimento per il popolo cristiano solo se dimostra di essere stato «sedotto da Dio». E l’essere sedotti richiama alla testimonianza: «Compito primario di tutti i consacrati e le consacrate è dunque quello di proporre coraggiosamente, con la parola e con l’esempio, l’ideale della sequela di Cristo» (VC 64). Il fascino del Tabor: «È bello per noi restare qui» (Mt 17,4) è un passaggio obbligato. Certamente la vita è giù in pianura, tra la gente, tra ricchi e poveri, dotti e ignoranti, sani e malati, crocifissori e crocifissi, sulla strada verso il Calvario, verso la morte dell’uomo naturale, perché emerga in tutto il suo splendore l’uomo spirituale. La vita apostolica sta necessariamente tra il Tabor e il Calvario.
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Il discorso qui appena abbozzato viene ripreso e approfondito nel presente testo dal titolo provocatorio: «Sedotti e abbandonati? Giorni di grazia e prova per la vita consacrata». Esso è frutto del «Pomeriggio a più voci» – consueto incontro che da alcuni anni viene promosso dal Centro Studi-Consacrazione e Servizio dell’Usmi – svoltosi a Roma domenica 11 marzo 2011 presso la sede nazionale. Scopo dell’incontro era di offrire ulteriori sintesi vitali sulla tematica presentata dal volume Dio seduce ancora, edito dal Centro Studi Usmi3.
Tre relazioni e un’intervista vi sono raccolte. La prima: «Vita consacrata al futuro» è un contributo di ampio respiro di padre Ugo Sartorio, frate minore conventuale, direttore del fortunato e diffuso mensile «Messaggero di sant’Antonio» e del bimestrale «Credere Oggi». Il frate teologo traccia un itinerario seminato di salutari interrogativi: Ma Dio seduce ancora? Siamo gli ultimi religiosi? E se la vita consacrata finisse? Padre Sartorio invita a diventare «testimoni visibili dell’Invisibile» e a non sottovalutare la domanda: «Perché la gente non ci vede, nemmeno quando portiamo segni appariscenti?». La sua risposta è netta: «Perché non emerge nessun fascino, nessuna seduzione». E termina la sua coinvolgente e appassionata riflessione proponendo di liberarsi dalla preoccupazione per se stessi e immaginare il futuro della vita consacrata nella creatività dello Spirito.
La seconda relazione: «“Mi sono lasciato sedurre” (Ger 20,7). La vita consacrata come seduzione divina» di padre Amedeo Cencini, canossiano, noto formatore e psicoterapeuta da anni, aiuta a leggere in modo sapienziale il famoso testo biblico di Geremia 20,7. Come avviene per il profeta, Dio prima ci seduce e poi ci mette in una situazione di contraddizioni che non ci fanno sentire a nostro agio con lui. Dio ci sedu- ce, ci conduce a sé, e poi che cosa ci resta? Come per il profeta non possiamo sottrarci alla lotta irresistibile con Dio, perché Dio è un fuoco ardente, incontenibile: fuoco che purifica il cuore mentre sembra straziarlo, e soprattutto purifica l’immagine che abbiamo di Dio. Con vera passione formativa padre Cencini insiste infine sull’importanza di educare i sentimenti e i sensi: esterni e interiori, fisici e spirituali. Questo nostro tempo difficile è forse tempo privilegiato per tornare a dare alla nostra formazione il fuoco della seduzione.
La terza relazione: «Sedotte. Interpretazione al femminile» della dottoressa Paola Bignardi, coordinatrice del Forum internazionale dell’Azione Cattolica e dell’Associazione Retinopera, inizia con due storie di vita in cui la seduzione di Dio si consuma tra amore e dolore, tra preghiera e affidamento. Quindi la Bignardi si chiede: «C’è un modo femminile di vivere la fede e la relazione con Dio?». La sua risposta è, naturalmente, affermativa. In cinque passaggi, rivelatori di una ricca esperienza personale, ella declina la seduzione di Dio al femminile:
1. Nella fede delle donne vi è il senso della persona del Signore.
2. Le donne vivono la fede con i caratteri affettivi della loro personalità.
3. La fede delle donne capisce Dio con il cuore;
4. Le donne testimoniano che la logica pasquale è inscritta nella vita.
5. La fede delle donne conserva nel cuore e attende.
Il contributo termina con un interrogativo: Abbiamo oggi parole per narrare la seduzione di Dio?
Dopo questi puntuali e arricchenti contributi, il libro propone l’intervista dal titolo suggestivo: «Consacrati oggi, luce e lievito del mondo». Tra gli interrogativi che Sabina Fadel, caporedattore del «Messaggero di sant’Antonio», rivolge a monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini e presidente della Commissione Cei per il clero e la vita consacrata, ne rileviamo due: Quale apporto specifico dei consacrati alla nuova evangelizzazione? Quale futuro della vita consacrata è visto dall’osservatorio privilegiato del presidente della Commissione Cei?
Un testo dunque che fa bene a tutti, consacrati, laici e presbiteri, perché mostra – tra i numerosi volumi editi in questi ultimi anni – come sia avvincente la riflessione sulla vita consacrata.