Una proposta concreta e innovativa per la catechesi di adulti e ragazzi. Una riflessione che coglie le sfide della società attuale, propone percorsi e applicazioni concrete e note di metodo.
INTRODUZIONE
«Ripartire da Gesù Cristo»: è stata questa la consegna affidata da Giovanni Paolo II alla chiesa del nuovo millennio (Novo millennio ineunte 2001). Al medesimo programma alludono anche i due volumi Gesù di Nazaret di Benedetto XVI. L’indicazione del magistero da anni è chiara e coerente: «La Chiesa deve fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario» (CL 35).
«Ripartire da Cristo» è anche il proposito delle parrocchie che vogliono rinnovarsi in senso missionario. Esse cercano di affermare il primato della parola di Dio e della vita spirituale, di ribadire in ogni modo la loro finalità esclusivamente religiosa, dunque di evangelizzazione e di formazione alla vita cristiana. Queste parrocchie cercano, spesso con immane fatica, di resistere a quanti si vogliono servire della chiesa per altri scopi: per bisogni aggregativi, per la loro gratificazione affettiva, per le scadenze e le pressioni della «religione civile». Esse insegnano ai fedeli a reagire al disorientamento provocato dallo scoprirsi minoranza, non attraverso l’ostentazione di identità forti di fronte al mondo e di regole rigide al proprio interno, ma insistendo sulla testimonianza della vita e sullo stile umile e attento della loro presenza sul territorio in dialogo con i non praticanti, gli indifferenti e i contrari.
Il linguaggio della fede s’impara (non si finisce mai d’imparare) attraverso il primo annuncio e la catechesi con cui la chiesa evangelizza, nel suo modo di vivere, di organizzarsi, di relazionarsi all’interno e all’esterno dei suoi confini. Lo fa attraverso le catechiste e i catechisti, gli animatori della comunità e gli operatori missionari, i ruoli e i ministeri, che tuttavia sono secondari rispetto all’insieme del popolo di Dio.
Le grandi parole del Vaticano II (GS 4,11 e 34): «assumere» (il discernimento dei segni dei tempi), «purificare» (la comunione che si realizza nello stare insieme e nel comunicare tra cristiani), «elevare» (la missione della chiesa che guarda al di là di se stessa) mobilitano tutti i cristiani.
In questo testo racconto la fatica, il limite (ma anche la passione) di un parroco nel pensare il percorso catechistico della comunità. La catechesi è un cantiere sempre aperto, costantemente ha bisogno di revisione, di confronto, di completamento. La rapida e imprevedibile evoluzione della società complessa rende in poco tempo obsoleti i linguaggi, inefficaci gli strumenti pedagogici, indifferenti le ritualità liturgiche, su cui si costruiscono gli itinerari di generazione alla fede.
Le sfide della catechesi sono soprattutto due: l’iniziazione cristiana (IC) dal battesimo fino alla mistagogia postsacramentale (adolescenza) e la catechesi permanente degli adulti.
Le parrocchia missionaria non s’arrende ma cerca di far crescere figure di cristiani capaci di assumere in modo attivo il primato dell’evangelizzazione da parte di tutti.
[I laici] diffondano anche la fede di Cristo tra coloro, ai quali sono legati da vincoli di vita e di professione; questo obbligo è reso più urgente dal fatto che moltissimi uomini non possono né ascoltare l’evangelo né conoscere Cristo se non per mezzo di laici, che sono loro vicini (AG 21).
La parrocchia è il luogo di tutti: tutti inviati, tutti accolti. Attraverso le sue persone e i suoi gruppi, le sue strutture e le sue azioni, essa accompagna l’accesso alla fede cristiana. La comunità parrocchiale dà visibilità al cristianesimo perché coloro che la frequentano o l’avvicinano possano incontrare e celebrare l’invisibile presenza del Signore.
La pluralità delle analisi e dei discorsi sulla parrocchia di oggi impedisce ogni discorso definitivo. La parrocchia è un mondo vasto, proviene da una memoria antica e gloriosa, riportabile alla storia delle comunità cristiane delle origini, ma oggi vive una crisi istituzionale profonda di presenza e di rappresentanza. Il radicamento nella vita della gente ha permesso finora alla parrocchia di svolgere una pluralità di funzioni in una molteplicità di ruoli. Questa sua capacità, unica per ampiezza e flessibilità, riconosciuta e amata dal popolo cristiano, è stata definita il principio parrocchiale del cattolicesimo. Costituisce ancora oggi un immenso terreno da esplorare e da considerare come spazio sociale per l’annuncio del vangelo. La maturazione conciliare l’ha arricchita di nuovi valori considerandola innanzitutto una comunità di persone che si riconoscono nella memoria cristiana vissuta e trasmessa in un luogo o come «comunità eucaristica» chiamata a farsi carico della totalità dei cristiani che abitano un territorio.
Le parrocchie sono luoghi in cui il cristianesimo istituisce relazioni, inizia ad abitare le culture in cui si sta inserendo, crea riti ed istituzioni (o ne modifica di esistenti), perché la trasmissione della memoria cristiana non venga meno, grazie alla capacità di trasformare legami e di far nascere nuove figure sociali.
Nella frammentazione della società complessa postmoderna, però, la parrocchia non riesce più a rappresentare una scala di valori e un’autorità di riferimento per tutti e non costituisce più un orizzonte religioso condiviso; spesso non è più percepita come un soggetto sociale attivo e riconosciuto. Numerose famiglie non educano più i figli alla fede e affermano di non avere più bisogno di una pratica religiosa. Le persone sembrano spesso scegliere in modo libero e autonomo forme e modi di espressione religiosa, comunità religiosa di riferimento, contenuti del credo e regole etiche di vita.
Il primato della fede, cioè l’intelligenza della Scrittura, la conoscenza sacramentale del mistero di Cristo e il discernimento spirituale della vita, possono plasmare l’identità della coscienza del cristiano e rigenerare di conseguenza la comunità, facendo della parrocchia un’«eterotopia in azione»4, cioè un «luogo che parla da sé», un simbolo che non solo rappresenta ma che opera. Il ripiegamento della parrocchia sulla «religione civile», invece, rende inafferrabile la sua testimonianza evangelica, svilisce la sua capacità profetica.
«Ripartire da Cristo» cambia quindi lo stile della parrocchia. Stile e contenuto di un messaggio sono, infatti, inseparabili.
«Le nostre comunità devono diventare una comunità attraente, accogliente ed educante» sintetizzava il documento dei vescovi in occasione dei quarant’anni del documento base.
Il cristiano può vivere la fede solo immergendosi nella storia, attraversando le sue contraddizioni. La storia, infatti, resta l’ambito del manifestarsi dell’azione di Dio.
La missione è il contrario dell’autosufficienza e del ripiegamento su se stessi, della mentalità dello status quo e di una concezione pastorale che ritiene sufficiente continuare a fare come si è sempre fatto.
La fede cristiana può diventare un punto di riferimento della ricerca religiosa nella società postmoderna entrando nei processi culturali e simbolici della vita della gente e ricuperando coraggiosamente lo strappo che si è consumato nelle rappresentazioni fondamentali del cristianesimo di oggi.
Propone questo percorso il programma ecclesiale del convegno di Verona (2006) quando addita l’obiettivo di «una testimonianza dell’unità inscindibile tra una fede amica dell’intelligenza e un amore a servizio».
La complessità sociale dei mondi postmoderni è una difficile sfida per la catechesi. Oggi non è dato nulla di semplice e lineare: la domanda religiosa persiste ma è di difficile interpretazione ed esige accoglienza e discernimento. Le relazioni tra religione civile e fede cattolica sono anch’esse complesse e richiedono valutazioni articolate. Alla proposta di una fede amica dell’intelligenza corrisponde un amore che si pone al servizio, testimoniato nella comunicazione tra cristiani e nella conduzione collegiale della comunità parrocchiale.
Il discernimento comunitario […] edifica la Chiesa come comunità di fratelli e di sorelle, di pari dignità, ma con doni e compiti diversi, plasmandone una figura, che senza deviare in impropri democraticismi e sociologismi, risulta credibile nell’odierna società democratica.
Ripartire da Cristo, l’«uomo Dio», comporta l’esercizio della doppia fedeltà alla sua umanità e alla sua divinità. La vita bella, buona e felice di Gesù è stata la rivelazione di Dio al mondo (Gv 1,18). L’evento di salvezza, l’incarnazione, è un invito ad amare la terra come l’ha amata Gesù, anche nelle sue tradizioni e nei suoi riti (religiosi e civili). Fedeltà a Dio è credere, però, fermamente che la vita non può ridursi all’orizzonte mondano. La trascendenza escatologica inaugura quel «relativismo cristiano» che fa del cristiano un cittadino del cielo (Fil 3,20).
Il rinnovamento della parrocchia parte così dalla testimonianza dei cristiani maturi nella fede, frutto e criterio di verifica dei percorsi formativi e mistagogici della IC e della catechesi degli adulti.
Per l’evangelizzazione è essenziale la comunicazione della fede da credente a credente, da persona a persona. Ricordare a ogni cristiano questo compito e prepararlo ad esso è oggi un dovere primario della parrocchia, in particolare educando all’ascolto della parola di Dio, con l’assidua lettura della Bibbia nella fede della Chiesa.
La cosa più povera e semplice, la comunicazione a tu per tu, è anche la più efficace e preziosa, praticabile da tutti.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
1. Fede e religione civile
La chiesa continua a ritenere la parrocchia come una formula ancora valida, oggi, per l’attività religiosa di base. Le affida la cura della fede dei cristiani che abitano un territorio, in una società complessa e secolarizzata, e la considera come un’esperienza di riferimento per tutte le età e le condizioni.
Una parte maggioritaria di cristiani non ha una pratica regolare, ma non per questo rinnega esplicitamente la fede. La religione, normalmente, è intesa da questi cristiani in senso tradizionale: i vissuti e le immagini sono per lo più legati alla socializzazione religiosa infantile, alle pratiche tradizionali, a esperienze marginali o sporadiche, rimaste nella coscienza quali indicatori di una fede possibile ma sempre rimandata.
Soprattutto il rito oggi fa problema. La maggioranza degli italiani si dichiara cattolica ma non praticante: è divenuta «normale» la figura di una fede senza pratica rituale. Lo sforzo profuso dalle comunità parrocchiali per recepire il rinnovamento liturgico voluto dal concilio non è riuscito a correggere la disaffezione ai riti della fede cattolica.
Il vangelo è ancora apprezzato, non tanto come chiamata alla conversione personale o come rinnovamento del vivere collettivo, ma per l’opportunità che lascia intravedere di immaginare un possibile senso da dare alla vita.
La fede è quindi distorta da un pregiudizio: è cercata come esperienza individuale e affettiva più che come adesione al significato che assume la morte e risurrezione del Signore Gesù. La fede è, così, stravolta nel suo significato e diventa «religione invisibile», dove i simboli e i riti del cristianesimo non si traducono nella vita quotidiana o «religione civile» quando i riti sono ricercati solo in alcuni momenti evolutivi (nascita, crescita, matrimonio, morte) quando la domanda di senso appare più avvertita ed evidente. In alcuni casi si assiste a una certa ripresa dei riti religiosi tradizionali, ma in un’ottica che rimane soggettiva («quando me la sento») ed emozionale («se mi piace»).
La comunità cristiana viene in questo modo considerata prevalentemente da un punto di vista umano e sociale («la frequento se mi trovo bene», «vado quando mi è utile»).
Una parrocchia piena di iniziative è molto apprezzata oggi ma come risorsa per la socializzazione, molto meno come luogo della celebrazione della fede.